Home » Personaggi » Celebrities » Andrea Delogu: «Da saltimbanco distraggo il mondo dai suoi dolori»

Andrea Delogu: «Da saltimbanco distraggo il mondo dai suoi dolori»

Andrea Delogu: «Da saltimbanco distraggo il mondo dai suoi dolori»

La conduttrice tv, ora in onda con Ricomincio da RaiTre, è cresciuta nella comunità di San Patrignano. «Avere un’infanzia particolare come la mia ti fa sentire diversa» dice a Panorama, «ma ti dà il valore del gruppo». In questa pandemia, poi, trova il senso autentico del suo lavoro.


Io sono di Rimini. La sai che Rimini di notte è fosforescente?

Ne sei certa?

C’è tanta energia, tanta luce: la mia città la riconosco dall’odore.

Quale?

Salsedine e miele miscelati insieme. Per me è quello l’odore della notte.

Che c’entra il miele?

Lo sappiamo solo noi. È l’effetto di alcune nostre piante aromatiche.

Tu sei cresciuta lì, a San Patrignano.

È stato il mio romanzo di formazione, e infatti ci ho scritto un libro.

Il primo.

S’intitola La collina, sta lì, è la storia della mia infanzia felice nella comunità. Ci tengo moltissimo. Te ne parlerò tra poco.

Dopo anni di gavetta sei arrivata alla consacrazione: la Vita in diretta prima e oggi Ricomincio da RaiTre.

Sono contenta anche della tanta gavetta, e non so se questa sia «una consacrazione». Ma sono felice.

Duetti sul palco con un mattatore, Stefano Massini, il re del monologo.

Per portare a casa una puntata giriamo ci lavoriamo tre giorni. Era impossibile la diretta, per via del Covid, ma questo ha esaltato il sapore teatrale del programma.

Come se fossero le repliche di un cartellone.

La nostra è… una brochure. Sono assaggi di teatro: è come provare dei piatti, sapendo che prima o poi li potrai di nuovo gustare.

Fammi un esempio.

Mio fratello, 13 anni. Ha scoperto Shakespeare e dice che è molto più intrigante di Beautiful.

Incoraggiante.

Guardala con il suo occhio: gelosia, sentimenti, tradimenti, delitti e omicidi. Persino gossip.

Senza snobismi.

Sono pop, quindi la persona meno snob del mondo. Forse grazie alla tv si può scoprire che il teatro è una figata pazzesca.

Andrea Delogu, 38 anni, sta vivendo il momento cruciale della sua carriera. Spiritorosa, autoironica, adrenalinica. A Radio2 con La versione delle due. Per sei anni musa e volto di Stracult, il più geniale programma di nicchia della tv italiana. Ma proprio ora per la giovane conduttrice romagnola piovono opportunità. La Vita in diretta le ha dato la particolare notorietà per cui «la signora che incontravo da anni al supermercato mi fa: “Ma tu sei la Delogu!”». Però Andrea ha anche una vita parallela da scrittrice: due anni fa ha avuto un successo editoriale con un libro sulla sua esperienza di ex bambina dislessica: «In questi mesi» annuncia «sto lavorando a un romanzo folle, che uscirà nel 2021».

Giorni di super lavoro.

La mattina in radio, a via Asiago, quindi di corsa al Sistina. Mi riposo solo il martedì. Faremo Ricomincio da RaiTre fino al 5 gennaio. Poi si vedrà.

Quattro puntate. Un super esperimento.

Sai, nessuno pensava che avremmo fatto il 5 per cento. Il servizio pubblico accoglie il teatro, e io spero di crescere ancora.

C’è un bel clima?

Incredibile. Tutti gli attori che abbiamo contattato si sono resi disponibili.

E con Massini?

Lui porta il cioccolato e io la frutta. Ma faccio anche cose fuori copione.

Per esempio?

(Ride). Lo vesto.

Sarà molto invidiato.

Non in quel senso! Pretendeva di fare monologhi con il golfino. Mi sono imposta: «Mettiti una giacca!».

Si è sdebitato?

È molto generoso. Ha scritto tutti i monologhi per me, rubando quello che gli raccontavo, e quel che trovava sui miei social.

Come vestiti su misura.

Vedi? In fondo è uno scambio.

E il tuo preferito?

Impossibile scegliere. Ma uno, bellissimo, è nato parlando dei malati di patologie non Covid, oggi spesso abbandonati.

E cosa c’entra questo con te?

Io sono immersa in questa tragedia, perché tutta la mia famiglia è impegnata nel sistema sanitario, in questi mesi durissimi.

Tuo padre era noto per essere l’autista di Vincenzo Muccioli.

Nella sua prima vita lo era: ecco perché sono cresciuta a San Patrignano. Oggi guida ambulanze.

E tua madre?

Lavora all’ospedale di Rimini. Mia sorella Barbara, al Buzzi di Milano.

Incredibile.

Non solo. La seconda compagna di mio padre, madre del mio fratellino, lavora anche lei in ospedale. Per questo Stefano dice che sono sempre al telefono con il Servizio sanitario nazionale.

Sei preoccupata per loro?

Soprattutto per mio padre, autista e soccorritore, quindi in prima linea.

Cosa ti hanno trasmesso che non sapevi?

Quando si diceva che non esistesse il Covid erano furibondi: «Racconta che noi li vediamo intubati!».

I tuoi due grandi maestri sono stati Marco Giusti e Renzo Arbore. Come li hai conosciuti?

Sono loro che hanno trovato me.

Cominciamo da Arbore.

Renzo mi pesca sui social, perché cercava una… annunciatrice che raccontasse Arbore Channel.

Il canale tematico con tutti i suoi capolavori.

Lo aveva appena aperto, voleva un’assistente video vocale.

E cosa accade?

Mi chiama un suo collaboratore, mi dice «Arbore vuole incontrarti a casa sua». E io temevo due cose.

Quali?

Se era una balla, di restare delusa. E se fosse stato vero, di non poter andare all’appuntamento.

Non capisco il secondo timore.

Loro mi avevano visto con un look su Instagram, ma quando mi avevano chiamato ero tutta… ehhhm… diversa.

Ma eri sempre tu!!

Insomma… Avevo un taglio un po’ particolare. I capelli erano tutti sparati e fucsia. Per metà testa.

Oddio. E l’altra metà?

Tutta rasata a zero.

E che hai fatto?

Prima ho pensato di raderli tutti, poi a una parrucca, ma non avevo tempo: non fai aspettare Arbore.

E cosa hai fatto?

Sono andata conciata com’ero.

Cos’è accaduto?

I casi della vita. Renzo sembrava impazzito. E ripeteva: «Così ti volevo! Così! Sei perfetta, sei bellissima!».

Doveva vedere anche altre candidate?

Sì. Ma disse al suo collaboratore: «L’abbiamo trovata».

Raccontami un’altra cosa buffa.

Io mi ripetevo: appena finito questo lavoro mi taglio i capelli e ritorno normale.

E lui?

«Ti do un consiglio: non cambiare look almeno per un anno».

Gli piaceva da morire il tuo taglio punk?

No, vecchia saggezza televisiva. Se cambi prima di affermarti nessuno si ricorderà di te.

Fantastico. Poi avete a parlato a lungo, vi siete conosciuti meglio.

Renzo è un curioso, un indagatore: mi ha chiesto qualsiasi cosa di me. Siamo diventati amici.

Per esempio, ha scoperto perché parli senza nessuna inflessione dialettale?

(Ride). A 14 anni guardando Sanremo decisi: devo fare questo nella vita.

Però, che caratterino.

Iniziai con il classico corso di teatro della scuola. E a vent’anni mi iscrissi a dizione.

Senza ancora avere nessun lavoro.

Sono fatta così, e mi ripetevo: «È il mio destino, devo arrivare preparata».

Nel frattempo eri una bambina dislessica, e hai commosso i tuoi lettori raccontando la fatica che hai fatto, in un tempo in cui da noi non esistevano certificazioni e letteratura scientifica.

Dillo meglio. In quegli anni, se avevi queste difficoltà, ti dicevano che non volevo studiare, o che eri «ritardato». Talvolta, purtroppo, ad alcuni bambini accade ancora.

Per questo Dove finiscono le parole è diventato un piccolo best seller.

Per me il momento più traumatico fu il giorno in cui pensavo di scrivere «mamma», e invece avevo scritto «mucca».

Anche il tuo esordio, La collina, è stato un successo, per te non meno importante.

È un pezzo di storia, sta lì. È la fotografia di un mondo irripetibile. Sono contenta di essere riuscita a rappresentare cosa è stato, per me, quel pezzo di vita. Non è stato facile. Per tanti anni avevo paura di dire che venivo da lì.

Per quale meccanismo?

Avere un’infanzia bizzarra, particolare, ti porta sempre a pensare molto. Ti senti diversa, temi che un giorno qualcuno lo scopra e ti guardi come un diverso.

E quell’infanzia «bizzarra», ora che ci hai fatto i conti, cosa ti ha dato?

La coscienza che non siamo singoli: siamo in un gruppo, un unico mondo, legati da un destino che non è mosso solo dalle esigenze personali. Siamo una comunità, e vedi che, non a caso, siamo finiti su quella parola.

È qualcosa che ti porti dentro.

Noi siamo quello. Non è un caso che i miei facciano quel lavoro, con un’idea di servizio. Nel mondo in cui sono cresciuta ero abituata a vedere le persone che si davano una mano, che si facevano la spesa. La famiglia reale era molto più ampia della famiglia con cui mi sedevo a tavola. Quella è la mia porta sicura.

Cosa pensi della chiusura di Stracult?

Sono in lutto.

Non mi hai ancora raccontato l’incontro con Giusti.

Anche quello è un film.

Cioè?

È complicato. Non ridere. Cercavo Il cd originale di Ambra – Ti appartengo – per la mia collezione. Lo avevo scritto su Facebook: un appello.

E poi?

Giusti mi telefona. Non lo avevo mai sentito prima in vita mia.

E che ti dice?

«Io ce l’ho».

E poi?

Prosegue: «È quasi ora di pranzo. Perché non mi raggiungi da Dante, dietro piazza Mazzini? Sarò lì con i miei autori».

Ci vai.

Ovvio. Avevo appena ordinato puntarelle con le alici. Avevo detto forse due battute, avevo la forchetta nel piatto, e a quel punto Marco mi fulmina.

Come?

Dicendomi: «Tu da oggi conduci Stracult». Pensi a un battuta, una cosa detta così. È stato il mio principale lavoro per sei anni!

Però prima hai fatto tanta gavetta.

Uhhh!!!

Cominciamo dal primo passo.

Ero una «letteronza»!!!

Un inizio cult.

Ero fan della Gialappa’s e del Mago Forrest. Avrei pagato per stare con loro. E invece loro pagavano me.

Racconta una musata che ancora fa male.

Mi propongono di co-condurre il Dopofestival online, con Saverio Raimondo.

Ottimo.

Tutto dato per certo. Poi silenzio.

Un classico.

A pochi giorni dalla partenza chiamano e mi dicono: «Grazie, ma il tuo nome non è ancora spendibile». Hanno preso un’altra.

Brrr. Il salto della popolarità lo hai fatto quest’estate.

Volevano, per La vita in diretta, una accoppiata pop, del tipo donna di spettacolo-uomo di notizie.

E come è andata con il tuo partner «serio», Marcello Masi?

Benissimo. Solo che alla fine io ero intrippata per la «nera», e lui voleva fare intrattenimento.

Regala a chi sta cominciando alcuni consigli. Il più bello di Giusti?

Mi fa una strigliata, dicendomi: «Con gli ospiti che conosci dai tutto per scontato».

Ed era vero?

Sì. Sono ripartita dal suo mantra: «Guarda e stupisciti con gli occhi del pubblico».

E Arbore?

È l’uomo del dettaglio minimo ma cruciale.

Del tipo?

«Qualcuno ti ha detto che devi parlare più piano?».

Ah ah ah. Dimmi il più bello.

«In televisione non mentire mai, perché il pubblico se ne accorge sempre».

Ti rendi conto che sei cresciuta con i mostri sacri della tv e stai facendo un programma anti-televisivo?

Il nostro sottotesto dovrebbe essere: «Spegnimi e vai a teatro».

Ti senti cambiata in questo anno di Covid?

Per tutto quel che ti ho detto sono stati mesi lunghi e difficili. Come dieci anni.

E i tuoi che ti dicono?

Dopo ogni programma c’è una riunione di famiglia e si fa il punto.

Su tutto?

Sì. Mia madre, poi, è sempre preoccupata per le mie acconciature.

E tuo padre?

È lui che mi ha fatto capire quanto possiamo essere utili, anche noi, in questi giorni di pandemia.

Perché?

(Sospiro. Pausa). Noi siamo saltimbanchi, i mattatori: noi intratteniamo il mondo per aiutarlo ad attraversare il dolore.

© Riproduzione Riservata