Aime-Pietropolli Charmet, 'La fatica di diventare grandi'
La svalutazione dei riti di passaggio costituisce il tratto saliente della mutazione antropologica in atto nella società contemporanea: il malessere di crescere, oggi
Quali risvolti sociali, psicologici, pedagogici, culturali, antropologici e perfino economici si accompagnano alla scomparsa dei riti di passaggio nella nostra società? Come l'allentarsi delle tradizionali coordinate di riferimento ha modificato i rapporti intergenerazionali, rendendo fragili e disorientate le nuove generazioni di figli e genitori? Quali compiti dovrebbero proporsi gli educatori per non lasciare ai giovani un percorso di crescita in balia delle corporation dei consumi?
Sono alcuni degli interrogativi a cui cercano di rispondere Marco Aime e Gustavo Pietropolli Charmet, in un saggio significativamente intitolato La fatica di diventare grandi. È un lavoro a quattro mani di straordinaria chiarezza divulgativa, malgrado la complessità e lo spessore delle questioni in campo. Nel presente rarefatto di conflitti tra le generazioni a bassissima intensità, l'alleanza silenziosa fra giovani e adulti ingloba la crescita in un continuum dai confini opachi e incerti. Ma è venuto il momento, dicono chiaro e tondo gli autori, che il compito di educare torni nelle mani consapevoli degli educatori.
Antropologia, sociologia dei consumi, psicologia delle masse e psicoanalisi dell'età evolutiva si incontrano qui in un orizzonte di domande aperte ed esperienze sul campo, dall'osservazione e studio dei riti iniziatici nelle società del mondo (Aime) alla trentennale pratica terapeutica con adolescenti (Charmet). La scomparsa dei rituali a scandire simbolicamente le fasi di passaggio corrisponde all'immagine di una società impegnata a negare la fatica e la sofferenza che il crescere comporta.
Del resto è un grande rimosso collettivo, il tempo che passa. Come spiega Marco Aime, "la fine delle ideologie e delle grandi narrazioni ha portato a un eterno presente" di cui il passato e il futuro non sono che semplici ancelle. Bene lo esemplifica un'icona della nostra quotidianità digitale: la homepage dei siti di informazione come questo che state leggendo. Se un tempo la fotografia in prima pagina era uno scatto d'autore che aspirava a divenire racconto, magari addirittura simbolo di un'epoca, ora l'immagine della homepage dura al massimo qualche ora e poi sparisce fagocitata nelle maglie della rete.
Così lo stimolo visivo non viene rielaborato, non riesce a sedimentare nel nostro bagaglio mnestico e culturale. L'immanenza del presente conduce dritta al mito dell'eterna giovinezza, al tabù della vecchiaia e all'azzeramento delle gerarchie. Alla confusione e addirittura all'intercambiabilità dei ruoli all'interno della famiglia. "Il potere dei padri è stato redistribuito tra le varie figure della famiglia", annuncia Charmet, "e ai figli ne è toccata una quota significativa".
All'evoluzione della figura paterna gli autori dedicano pagine molto belle, perfino commoventi. La scomparsa del padre distaccato e autoritario – ancora prevalente una-due generazioni fa – ha coinciso non solo con la rinuncia a un modello educativo fondato su regole morali indiscutibili e un regime sostanzialmente punitivo, ma anche con la perdita di uno dei riti cruciali nella marcia di crescita attraverso la pubertà: l'uccisione simbolica del genitore.
Come diceva Giorgio Gaber in I padri miei, citato da Aime, "i padri tuoi che sembrano studenti un po' invecchiati... viene fuori una figura pulita quasi bianca, dissanguata, una presenza con pochissimo spessore che non lascia la sua traccia, una presenza di nessuna consistenza che si squaglia..." Non si può uccidere un fantasma! Però: viva i padri usciti finalmente dalle odiose catene di un ruolo che li condannava a fare paura. Da quando puntano a farsi obbedire per amore, racconta Charmet, la relazione con i figli adolescenti è caratterizzata sempre più dalla "ricerca dell'approvazione reciproca e da un'irrinunciabile tenerezza".
L'altro lato della medaglia è la perdita della frattura generazionale condivisa, la scarsa percezione dei limiti, la fragilità narcisistica come approccio tipico verso il mondo. Oggi i passaggi evolutivi sono presidiati da due entità, diverse ma complementari: il gruppo dei pari età, di cui Charmet sviscera in maniera lucidissima i processi di socializzazione dalle prime relazioni amicali alle derive sadomasochistiche del branco, e gli oggetti transizionali proposti di continuo dal merchandising consumistico giovanile.
Riaffermare la fatica di diventare grandi è, anche, rivendicare anche la soddisfazione di esserci riusciti. Vale per padri e figli in ugual misura, in questa stagione di famiglie allungate e adolescenze interminabili. Basta perciò delegare le funzioni iniziatiche al mercato dei consumi o al gruppo. Questo libro lancia un messaggio forte a tutte le figure adulte di riferimento.
Un messaggio romantico e nello stesso tempo molto concreto: i nostri figli hanno ancora bisogno di mentori. A casa e a scuola, dove un gruppo-classe adeguatamente stimolato può diventare alleato della mission educativa. Perché se c'è da cambiare le cose, conclude Charmet, i giovani non sono annoiati né disorientati. Sono disponibili. Spesso entusiasti.
Aime-Pietropolli Charmet
La fatica di diventare grandi
Einaudi
pp. 172, 12 euro