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La cultura Yiddish che sopravvive in Ucraina

La cultura Yiddish che sopravvive in Ucraina

Dieci anni di ricerche per intervistare oltre 400 ebrei rimasti negli shtetl: le loro storie meravigliose e terribili in un libro

In the shadow of the Shtetl: Small Town Jewish Life in Soviet Union di Jeffrey Veidlinger è uno dei libri più belli che mi siano capitati fra le mani negli ultimi anni.

È un libro che ci riporta davanti a un mondo che pensavamo scomparso: quello degli shtetl yiddish dell’Ucraina, i villaggi delle popolazioni ebraiche assassinate dai nazisti nella prima fase della Shoah, l’olocausto perpetrato con le pallottole dalle truppe tedesche – SS e Wermacht – che invasero l’Unione Sovietica e che spazzavano via la vita degli ebrei in ogni angolo del paese conquistato.

Questo libro ci rivela l’esistenza, nel ventunesimo secolo, di alcuni sopravvissuti di questo mondo, che hanno continuato a vivere in quei luoghi. Questi sopravvissuti si sono raccontati e il libro ne evoca la vita e la memoria, con le parole, la musica e i balli, i sentimenti e le emozioni, il tragico e il comico di quel mondo “scomparso”.

Ci rivela l’esistenza, nel ventunesimo secolo, di alcuni sopravvissuti di questo mondo, che hanno continuato a vivere in quei luoghi

Sono rimasti in quei luoghi, i luoghi dell’omicidio di massa di familiari e amici, i luoghi dove in questi anni hanno vissuto accanto ai fantasmi ma anche vicino a chi collaborò con i nazisti per perpetrare i massacri.

In the shadow of the Shtetl è frutto del lavoro di ricerca, viaggio, raccolta di interviste e documenti scritti e visivi durato 10 anni – dal 2002 al 2012 – di Veidlinger insieme a Dov-Ber Kerler. Entrambi sono professori alla University of Indiana e curatori di una parte del grande Archives of Historical and Ethnographic Yiddish Memories (AHEYM) della stessa università.

La raccolta di questo prezioso patrimonio è stata possibile grazie all’estroso contributo di Kerler, un linguista cresciuto nella Russia sovietica e figlio di un poeta Yiddish che passò anche cinque anni di detenzione in un Gulag. Kerler, insieme con Veidlinger, è riuscito a trovare oltre 400 persone di lingua Yiddish, soprattutto in Ucraina ma anche in Ungheria, Romania, Moldovia e Slovacchia.

Kerler, con il suo carattere ingenuo e spontaneo, fantasioso e imprevedibile, riusciva sempre a far parlare queste persone

On the road sul furgone
Il loro è stato un on-the-road fantastico, a bordo di furgoni presi a noleggio, guidati da un villaggio all’altro, a volte su indicazioni precise dell’esistenza in vita di ebrei sopravvissuti. A volte semplicemente facendosi guidare dall’istinto: entravano nel villaggio, si fermavano nella piazza o nella via centrale e incrociando un passante chiedevano conto dell’eventuale esistenza di qualche anziano che ancora parlasse l’Yiddish, e ricevendo risposte sorprendenti che li guidavano da questi depositari di una storia erroneamente creduta “scomparsa”.

Kerler, con il suo carattere ingenuo e spontaneo, fantasioso e imprevedibile, riusciva sempre a far parlare queste persone, di sé e del loro meraviglioso e terribile passato.

Persone nate quasi tutte fra gli anni immediatamente precedenti la Grande guerra e i primi anni dell’Unione Sovietica. Individui che hanno vissuto la storia delle bloodlands ucraine (Timothy Snyder) fra gli anni Trenta e il 1945 con la carestia imposta da Stalin con la collettivizzazione e con l’olocausto nazista, ma prima sono anche sopravvissuti ai pogrom del 1919, alle convulsioni della guerra civile, e non sono emigrate: strada scelta da una parte consistente della popolazione Yiddish per sopravvivere.

Un libro che ci riporta davanti a un mondo che pensavamo scomparso: quello degli shtetl yiddish dell’Ucraina

Kerler e  Veidlinger danno voce, cogliendo l’ultima possibilità, prima che il tempo li avesse definitivamente cancellati, a storie che più volte sono state occultate, nascoste, condannate al silenzio: dalla propaganda sovietica che a lungo ha negato qualsiasi specificità alla vicenda ebraica durante la seconda guerra mondiale. Ma anche quasi ignorate a lungo, dalla storiografia e dal giornalismo occidentale, concentrati sull’olocausto delle camere a gas di Auschwitz ma dimentichi della parte iniziale del genocidio del popolo ebraico: il genocidio delle fucilazioni di massa nelle fosse comuni ai margini di questi villaggi ucraini (e in Polonia e in Bielorussia).

Silenzio che però porta anche la responsabilità di parte della cultura ebraica del dopoguerra, che troppo spesso ha trattato la vita e la cultura degli shtetl come una faccenda conclusa.

Non perdetevi questo libro.

Jeffrey Veidlinger
In the shadow of the Shtetl: Small_Town Jewish Life in Soviet Union 
Indiana University Press

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