Televisione, di Carlo Freccero
Il guru della tv italiana ne racconta vita, morte (presunta) e miracoli
Ha ancora senso parlare di televisione nell'era della frammentazione digitale e di Youtube? Per rispondere a questa domanda bisogna affidarsi a Carlo Freccero, l'intellettuale della tv italiana, in questi giorni in libreria con Televisione (Bollati Boringhieri, 7,65 euro).
Freccero, oggi direttore di Rai 4, rete leader dei canali del digitale terrestre, è stato il guru della tv commerciale in Italia negli anni 80 e a lui si deve anche la versione "rivoluzionaria" di Raidue (quella con Fazio, Luttazzi, Santoro, Chiambretti e i fratelli Guzzanti). Assieme ad Angelo Guglielmi, è uno dei pochi uomini della tv ad essere riuscito a contaminare critica e prodotto, conciliando l'Auditel con un progetto culturale. Per questo, Televisione non è solo un saggio documentato e brillante sul senso della tv e sul suo futuro, ma ha il valore di una biografia intellettuale. Non a caso si tratta del primo libro effettivo di Freccero di cui si contano molte interviste, ma pochssimi interventi scritti, tra articoli e qualche prefazione importante (celebre quella a La società dello spettacolo di Guy Debord, ndr).
Televisione racconta la storia sociale della tv proprio nel momento in cui il mezzo sta mutando nella forma e nella sostanza (basti pensare alla moltiplicazione dei canali digitali e alla smart tv). E' un bliancio importante, perché ci mostra i tratti di continuità tra la tv del passato e quella del futuro e ci spiega perché il piccolo schermo non è affatto destinato a perdere centralità nel nostro immaginario, come predicano gli apocalittici della rete. Se amate le tesi suggestive, apprezzerete il confronto tra testi degli antichi filosofi e serial tv americani, come strumento di interpretazione e conoscenza del reale. E converrete con l'autore quando scrive che ancora oggi "la tv generalista rappresenta la società, il suo inconscio, i suoi tic o le sue tendenze".
Ma leggere Televisione serve anche a capire perché la generazione nata dopo l'avvento della tv sia diversa da quelle dei padri. E cosa significa davvero postmoderno, espressione che ricorre spesso nel libro, come del resto servizio pubblico, a cui Freccero restituisce il significato perso negli anni intitolandogli un intero capitolo. E la sua non è nostalgia, ma un progetto ("Verso un nuovo modello di servizio pubblico") che forse chi manovra i fili della tv pubblica dovrebbe prendersi la briga di leggere.