Roberta Mazzanti, 'Sotto la pelle dell'orsa'
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Roberta Mazzanti, 'Sotto la pelle dell'orsa'

Un intimo memoir sull'eredità materna e il dono effimero della bellezza

"Non possiamo fingere di abitare comode nella bellezza, noi donne". Sotto la pelle dell'orsa di Roberta Mazzanti aggiunge un tassello alla biografia di una generazione che sta lentamente imparando a raccontarsi, con il suo carico di affetti e bilanci, promesse e contraddizioni, illusioni e disillusioni: le ragazze del boom, nate a metà del secolo scorso.

Dopo anni di analisi, saggi, testimonianze, film e romanzi centrati sulla figura paterna, la madre è tornata recentemente al centro dell'attenzione grazie fra l'altro a due opere mainstream: il film Mia madre di Nanni Moretti, capolavoro di identificazioni proiettive e delicata introspezione; e il saggio di Massimo RecalcatiLe mani della madre. Desiderio, Fantasmi ed eredità del materno, in cui lo psicanalista e bestsellerista di matrice lacaniana interroga il mistero della maternità alla luce del declino della sua rappresentazione patriarcale. Il piccolo e raffinato Sotto la pelle dell'orsa rappresenta invece una vibrante testimonianza in soggettiva, tesa e diretta, dell'evoluzione del rapporto madre-figlia dal secolo emancipatore fino a oggi.

Mentre l'eredità paterna ha a che fare con la trasmissione del desiderio nel suo rapporto con la Legge, l'eredità materna, spiega Recalcati, riguarda essenzialmente la "trasmissione del sentimento della vita". È la madre, con la sua fisicità innanzitutto, a salvare e proteggere il neonato dall'incontro col male che costituisce lo sfondo del nostro destino di naturalità - l'ananke di cui parlavano i greci, l'abisso del non-senso prefigurato da Sartre e Heidegger. Nella prima infanzia la madre normalmente devota, nell'accezione di Melanie Klein e Donald Winnicott, è colei che satura il bisogno primario di contenimento con la sua attitudine onnipotente e sacrificale.

La fine dell'infanzia apre nuovi scenari. Uno dei compiti evolutivi cui sono chiamate le famiglie è il taglio del cordone ombelicale arcaico fra madre e figlia, a partire dalle nuove simbolizzazioni imposte dall'adolescenza. Come rendere possibile una differenziazione tra madre e figlia, si chiede ancora Recalcati, non per opposizione ma per riconoscimento di una discendenza, di un debito simbolico con la madre? Come armonizzare in sé il codice materno e il codice femminile senza farsi schiacciare, confondere, traumatizzare dalla contrapposizione biologica insita nel processo generativo, quella fra la donna e la madre?

Nel solco di queste domande complesse si innesta la riflessione-confessione di Roberta Mazzanti. Una messa a nudo pudica ma senza falsi pudori, tesa a individuare l'ombra sfuggente del materno a partire dall'epoca in cui fiorirono le prime istanze libertarie, il tempo in cui le donne poterono finalmente raccontare "una favola nuova" esibendo come bandiera e scudo una sorta di narcisismo collettivo. Essere dissimili dalle proprie madri era diventato improvvisamente un imperativo anche politico, l'istituto familiare cominciava a disgregarsi, la liberazione sessuale esprimeva una carica genuinamente rivoluzionaria.

Sotto la pelle dell'orsa c'era però un risvolto difficile da ammettere. Nemmeno la nuova complicità femminile riuscì infatti a porre le più sensibili fra le donne in erba al riparo dalla crisi adolescenziale. Roberta Mazzanti ne fu investita come un ciclone. L'eredità di mia madre è la generosità, conclude la scrittrice, un impasto di bontà e sollecitudine la cui parola chiave è abnegazione. Ma il flashback sugli anni della giovinezza racconta un percorso di crescita complesso, tormentato e doloroso nel quale la figura materna si staglia come una divinità ambigua: "Lei che pareva addomesticata, covava invece un'anima da gatta selvatica".

Prigione e inganno, strumento di seduzione e subdola ossessione, gioco di potere ed effimera illusione. Per la Bella Bambina che si scopre improvvisamente in pericolo, dotata di un potere del quale intuisce confusamente la pericolosità, la bellezza è ansia, paura. La trappola del controllo si insinuò sotto pelle come un virus, la pelle dell'orsa incapace ormai di proteggere un corpo in sboccio, un corpo sconosciuto. Negli anni Sessanta, racconta l'autrice in un passaggio particolarmente doloroso della sua storia personale, l'anoressia aprì "una crepa nei nuovi simulacri della bellezza femminile", prima di allargarsi come un'epidemia.

Mascherare ed esibire. Il nervo scoperto della femminilità, il rapporto fra affettività e corporeità erotica, appare in questo libro drammaticamente nudo e fragile, ma anche umanissimo come il verso di Ovidio che lo introduce, riferito alla bellezza: "Del suo stesso durare si consuma".

Roberta Mazzanti
Sotto la pelle dell'orsa
Iacobelli Editore
72 pp., 8 euro

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Michele Lauro