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Economia

Doppino contro fibra, la vera storia della sfida fra Enel e Telecom

Il gruppo telefonico cerca di proteggere il valore della rete in rame dalle nuove tecnologie. La débâcle industriale di una privatizzazione sbagliata

È il vecchio doppino di rame, con il suo valore imprescindibile per i conti di Telecom Italia, la vera chiave della sfida in corso fra l’ex monopolista telefonico e l’Enel sulla banda ultralarga. Difficile che la faccenda possa chiudersi in breve con una stretta di mano. Al contrario, la guerra iniziata con la vendita di Metroweb da parte della Cassa depositi e prestiti sarà lunga e senza esclusione di colpi, come sempre quando la posta in gioco è alta. E qui sono in ballo denaro, potere, politiche industriali e perfino quel che ciascuno di noi potrà fare con internet nei prossimi anni.

Fibra ottica: Italia indietro
Tutto questo e molto altro passa per le nuove reti di telecomunicazioni in fibra ottica, un campo in cui l’Italia è tragicamente indietro: terzultima in Europa subito prima di Grecia e Cipro. Ma non è stato sempre così. Anche se nessuno sembra ricordarsene, c’è stato un tempo in cui il nostro paese era all’avanguardia grazie a una rete chiamata Socrate realizzata proprio da Telecom Italia e alla lungimiranza con cui l’azienda elettrica di Milano diede vita proprio a Metroweb con la collaborazione di eBiscom (poi divenuta Fastweb) per fare del capoluogo lombardo la città più cablata del pianeta.

Privatizzazione
Fra l’eccellenza di allora e il ritardo di oggi ci sono eventi che hanno cambiato l’Italia e il mondo, come lo sgonfiamento del mercato delle telecomunicazioni, troppo affollato di operatori per garantire profitti a tutti, e la crisi economica che ha colpito il nostro paese più di altri. Ma soprattutto c’è la gigantesca debacle industriale determinata da una privatizzazione sbagliata: quella di Telecom Italia, che prima era una macchina da profitti e investimenti fra le più potenti d’Europa e dopo è stata costretta a fare i salti mortali per non crollare sotto il peso dei debiti fatti per acquistarla.

Enel vs Tim-Telecom
Che cosa c’entra tutto questo con la competizione fra Enel e Tim-Telecom Italia? C’entra, perché è proprio la penuria di capitali privati da investire nelle nuove reti a inchiodarci agli ultimi posti nella banda ultralarga. Ed è stata la medesima mancanza a suggerire al governo di mettere in campo un colosso a maggioranza pubblica come l’Enel contro un privato ex monopolista pubblico e tutt’ora detentore della fetta più grande del mercato delle telecomunicazioni fisse, com’è la Tim-Telecom Italia. Mossa che l’operatore telefonico non ha preso affatto bene, tant’è che ha risposto annunciando un ingresso nel mercato dell’energia che sa molto di ritorsione.

Vecchia e nuova rete, del resto, sono legate in modo assai stretto, anche da un punto di vista finanziario. Per avere velocità di banda davvero elevate occorre avvicinare la fibra almeno agli edifici. Ma il doppino che entra nelle nostre case è quasi sempre di Telecom Italia e rappresenta una bella fetta del patrimonio con cui questa garantisce il suo debito, ancora oggi decisamente alto rispetto agli utili. Che cosa succederebbe al valore delle azioni se quella ricchezza venisse azzerata da una nuova rete molto più potente?

Metroweb
La semplice domanda basta a spiegare perché la Cassa depositi e prestiti ha preferito cedere la sua quota in Metroweb, a cui sarà affidata la realizzazione della rete, all’Enel piuttosto che a Telecom (il cui titolo ha per altro salutato con un buon rialzo l’annuncio della presunta sconfitta). Senza dimenticare la “melina” fatta per anni in questa partita dall’allora amministratore delegato Franco Bernabè, che a ogni avvio di dialogo con Cassa depositi e prestiti faceva seguire l’immancabile bocciatura, motivata con l’impossibilità di gestire la rete in condominio o con la scarsità della domanda dei potenziali clienti. Questa era la linea quando nel cda sedeva (insieme con Mediobanca, Intesa San Paolo e Generali) la spagnola Telefonica e tale sembra essere anche oggi che al volante ci sono i francesi di Vivendi. Non per niente appena il successore di Bernabè, Marco Patuano, ha provato a cambiare strada è stato accompagnato alla porta.

Le mappe
Sono il frutto anche di questa storia le due mappe che mostriamo qui sotto, con le previsioni, al novembre 2015, della fibra ottica che sarà disponibile nelle varie regioni italiane al 2018, fornite a Panorama.it da Infratel Italia, la società del ministero dello Sviluppo economico che attua le politiche del governo per la banda larga e ultralarga.
La prima indica la copertura cosiddetta Fttn (dove la fibra arriva al nodo, ossia ancora abbastanza lontana dall’utente finale) e la seconda la presenza di varie tecnologie che portano la fibra nelle case o almeno in prossimità degli edifici. La copertura nella prima tecnologia è nettamente più ampia al Sud (con punte del 95,2 per cento in Puglia e del 93 in Calabria), dove in teoria dovrebbe esserci meno mercato.

Come mai? Semplice: a fare la parte del leone non sono i privati, ma lo Stato, attraverso i bandi gestiti da Infratel. Per le tecnologie che avvicinano la fibra alle case, invece, le percentuali di copertura sono modeste in tutte le regioni.
[Clic sulle immagini per ingrandire].


La banda ultralarga, in tantissime aree d’Italia non c’è e non è prevista neppure per il 2018. Questa, in barba ai roboanti piani tante volte annunciati, è la realtà. E questa, al di là di gossip o presunte personalizzazioni, è la sostanza del duello fra l’amministratore delegato di Tim Flavio Cattaneo, subentrato a Patuano due mesi fa, e quello dell’Enel, Francesco Starace: il primo spera di far durare il più a lungo possibile la rete di rame, magari integrandola con le tecnologie più avanzate del mobile, e il secondo farà del suo meglio per renderla obsoleta attraverso la fibra. Al momento con la benedizione del governo.

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Stefano Caviglia