Mps: ecco il piano con cui Passera voleva salvare la banca
Con UBS l'ex ad di Intesa SanPaolo avrebbe proposto un aumento di capitale di 2,5-3 miliardi e molte commissioni in meno. Un piano oggi tornato di attualità
Un aumento di capitale in cash tra i 2,5 e i 3 miliardi di euro, un altro miliardo di introiti dalla conversione volontaria di obbligazioni subordinate, la destinazione a riserva dell’intero risultato d’esercizio 2017 e lo stesso apporto finanziario di circa 1,6 miliardi da parte di Atlante nella “società veicolo” che gestirà le sofferenze, la bad-bank: era questa la griglia degli interventi finanziari nel Monte dei Paschi di Siena prevista da Corrado Passera e dal suo partner Ubs secondo il piano che l’ex amministratore delegato di Intesa San Paolo e di Poste avrebbe voluto illustrare personalmente a fine luglio ai consiglieri d’amministrazione del Monte, dove era stato invitato dallo stesso presidente della banca Massimo Tononi e che ora è tornato di forte attualità dato che pare la banca lo stia riprendendo nella definizione del piano di salvataggio.
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L'aut aut di JpMorgan e Mediobanca
Perchè non ha potuto farlo? Facile scommessa: JpMorgan e Mediobanca hanno posto un aut aut, potendolo fare visto che il loro piano era più avanti nell’iter istituzionale presso la Bce, e hanno fatto capire ai vertici senesi che non avrebbero accettato di essere messi in gara con nessuno.
Il presidente del Montepaschi ha ritenuto di dover preferire il certo all’incerto. E ha mandato a monte il rendez-vous con Passera. Che ha dovuto così rinunciare alla trasferta in Toscana, nonostante – autorizzato da Tononi – fosse già stato anche a New York ad incontrare informalmente un gruppo di grandi investitori finanziari che si sarebbero detti disposti a intervenire a fronte del piano.
Ma “scripta manent”, e le slide essenziali del progetto e la traccia di quello che avrebbe dovuto essere il suo ”speech” di presentazione sono nelle mani dei consiglieri del Montepaschi.
Il piano industriale
La premessa del piano industriale era che l’ex banchiere si poneva come garante gestionale di una “forte discontinuità” rispetto alla pur benemerita gestione d’emergenza finora firmata dall’amministratore delegato Fabrizio Viola. Visto che la “sua” Intesa Sanpaolo, ancora guidata da suoi ex collaboratori e proprio venerdì classificata dagli stress-test ai vertici del sistema bancario europeo per solidità, rappresenta un’ottima referenza; e visto che la più grande novità nel mercato creditizio italiano l’ha lanciata lui, cioè Bancoposta, Passera riteneva di aver buon diritto nel considerarsi come un “elemento chiave” per una gestione di svolta. Un po’ come Urbano Cairo per Rcs: fidatevi, io vi salverò.
La sua proposta bollava inoltre come “non condivisibile” l’ipotesi, invece poi approvata, dell’aumento di capitale da 5 miliardi: “Gli effetti negativi potrebbero a nostro avviso estendersi all'intero sistema”, si legge nell’appunto: “Non riteniamo che servano 5 miliardi di aumento di capitale in contanti per mettere in sicurezza la banca: come abbiamo illustrato si possono raggiungere gli stessi risultati complessivi con circa la metà di ricorso al mercato. Un aumento di capitale di 5 miliardi proietterebbe una immagine di banca "a rischio" (mentre ad oggi, e anche in prospettiva, MPS mostra ratios di capitale superiori ai requisiti regolamentari). "Azzererebbe" di fatto tutti gli attuali azionisti. Essendo pari a 6 volte la capitalizzazione attuale della banca”, recita ancora l’appunto, “sarebbe molto difficilmente collocabile non solo per svariate ragioni tecniche, ivi inclusa l’implicazione di un multiplo valutativo di molto superiore alle medie di settore, ma, soprattutto, perché la banca non è ragionevolmente in grado di assicurare rendimenti adeguati ad un capitale di questa portata. Abbiamo visto anche recentemente cosa succede quando gli aumenti di capitale sono spropositati rispetto alle dimensioni della banca. Non ci risulta, infine, che a fronte di una nuova macro richiesta di capitale - a valle di altri 8 miliardi in pochi anni - sia stato predisposto un nuovo Piano d'Impresa che segni una sufficiente discontinuità”.
Invece – era ancora l’idea dell’ex ministro dello Sviluppo economico del governo Monti come avrebbe voluto illustrarla al cda – “l'aumento di capitale che proponiamo ha, secondo noi, la quasi certezza di essere realizzato, perché 2,5-3 miliardi sono una dimensione molto più accettabile per il mercato, e si basa su valutazioni implicite più attraenti e su un piano molto credibile. Avrebbe la garanzia di Ubs vincolata solo ad alcune condizioni in linea con la prassi di mercato e con quelle dei precedenti aumenti di Mps. Verrebbe probabilmente coperto, almeno in parte, da primari investitori internazionali di lungo termine che ci hanno già dato chiare manifestazioni di interesse. Verrebbe presentato al mercato da chi personalmente si farebbe poi garante dei risultati attesi (cioè da me - se così azionisti e amministratori vorranno - e da una squadra di management molto forte)”.
Nel suo discorso, Passera spiegava anche che la conversione volontaria dei prestiti subordinati non sarebbe stata garantita perché “le offerte di scambio volontarie di questo tipo non sono normalmente garantite, ma la storia di quasi tutte dimostra la loro realizzabilità se ben disegnate. È coerente con altri progetti di ricapitalizzazione relativi a rilanci di banche europee portati a buon fine, condivide in modo bilanciato il profilo di rischio / rendimento tra azionisti e possessori di debito subordinato e, per il formato in cui sarebbe strutturato con l'utilizzo di titoli a garanzia statale, offre maggiori protezioni al retail, permettendo loro di salvaguardare quasi per intero i risparmi investiti nei subordinati anziché rischiare di perderli in caso di fallimento di un progetto eccessivamente ambizioso”.
Le promesse
A fronte di tutto questo, l’antagonista di JpMorgan e Mediobanca sottolineava una serie di promesse: 1 miliardo di utili dopo le tasse per un Roe intorno al 10% entro tre anni, 200 milioni di investimenti tecnologici rilevanti per rinnovare l’offerta retail, una serie di ottimizzazioni e, soprattutto, molte commissioni in meno rispetto a quelle che rastrelleranno Mediobanca e JpMorgan, sia per l’aumento di capitale che, soprattutto e molto prima, per gli interessi legati alla bad-bank, la quale peraltro valuterebbe le sofferenze – dice sempre il testo – al 18%, appena 0,4% in più di quanto sono state valutate quelle delle quattro banche “in risoluzione”, quindi la metà della media dei realizzi registrati sul mercato negli ultimi anni.
Insomma, a sentire Passera il suo piano era per Mps molto più conveniente di quello approvato. Che peraltro andrà in attuazione con ragionevole rapidità solo per la lucrosa parte relativa alla bad bank e all’intervento di Atlante, mentre il più incerto aumento di capitale andrà in esecuzione nell’autunno inoltrato. Dopo il referendum costituzionale, tanto per capirsi.