Pmi, un fisco più leggero per ripartire
Il governo pensa a sgravi sui pignoramenti. La Confapi chiede tagli all'Ires e moratoria fiscale
“I governi che in questi anni si sono susseguiti non hanno mai adottato provvedimenti specifici considerando le dimensioni delle aziende. In questo senso le piccole e medie imprese, che rappresentano la spina dorsale produttiva del nostro Paese, non sono mai state davvero considerate nelle giusta misura”. Non usa davvero mezze parole Maurizio Casasco, presidente di Confapi, associazione di categoria che raggruppa migliaia di Pmi, per lanciare il proprio preoccupato allarme circa la situazione in cui versano tanti piccoli e medi imprenditori italiani. E lo fa in un momento decisamente critico: siamo infatti nei giorni, se non nelle ore, in cui il governo del presidente Letta si appresta ad approvare il cosiddetto decreto del fare, nel quale si prevede l’inserimento di norme specifiche proprio a favore delle piccole e medie imprese, soprattutto sul fronte fiscale.
IMPRESE, ECCO A COSA PENSA IL GOVERNO LETTA
“Ci tengo a precisare in questo senso – dice Casasco – che le misure messe in cantiere dal governo sono sicuramente un elemento positivo”. Il riferimento è in particolare alle maggiori tutele che avranno gli imprenditori in momentanea difficoltà ai quali, secondo le idee del governo, sarà più difficile pignorare i beni strumentali, con un ulteriore obbligo per Equitalia di attendere comunque almeno 300 giorni prima di mettere all’asta macchinari produttivi. “Si tratta certamente di una buona idea – sottolinea il presidente di Confapi – ma di sicuro non basta. Ci vorrebbero altri provvedimenti che tengano appunto conto delle reali dimensioni delle aziende”. E in questo senso Casasco sembra avere le idee molto chiare sui provvedimenti che andrebbero adottati “d’urgenza”, come sottolinea egli stesso, “ossia senza lungaggini dovute a progetti di legge, ma attraverso lo strumento di un decreto che renda subito esecutive le misure adottate”.
E quel che serve è innanzitutto una moratoria fiscale per le piccole e medie imprese. “Bisognerebbe prevedere cioè che le aziende da 15 a 50 dipendenti – sostiene Casasco – siano messe nelle condizioni di pagare subito il 40-50% dei propri oneri fiscali, con il resto che viene invece posticipato e rateizzato”.
Altro punto su cui occorrerebbe mettere le mani, sempre con una logica definita “dimensionale”, riguarda l’Ires. “Oggi tutte le imprese, indipendentemente dalla loro grandezza – attacca Casasco – pagano il 27,5%. Questa aliquota andrebbe invece rivista e resa proporzionale al numero dei dipendenti delle aziende, così da alleggerire il peso contributivo per che le piccole aziende”.
UN FISCO CHE STROZZA LE IMPRESE
Ma non finisce qui, perché il parametro della dimensione d’impresa dovrebbe essere contemplato anche in riferimento agli interessi passivi pagati alle banche, che oggi sono detraibili solo fino al 30%, una misura adottata per evitare eventuali speculazioni di tipo finanziario. “Per le Pmi si dovrebbe introdurre invece una sorta di franchigia minima, che permetta loro di detrarre somme pari almeno a 200-300mila euro”.
Ovviamente a questo pacchetto di misure strettamente fiscali dovrebbero fare da contraltare interventi che rimettano prima possibile in movimenti capitali finanziari. E anche in questo senso le proposte della Confapi sono molto chiare. “Ci vuole innanzitutto una maggiore liquidità di mercato – afferma Casasco – che arrivi dai pagamenti della pubblica amministrazione. Da tempo ormai se ne parla, ma in effetti nessuno ancora ha visto conseguenze pratiche. E in questo senso il governo Letta dovrebbe dare prima possibile delle certezze. Inoltre – conclude Casasco – ci vuole una liquidità che arrivi dalla Cassa depositi e prestiti, sulla base di un modello che permetta alle Pmi di accedere a una forma di credito agevolato e a tassi calmierati”. Una proposta quest’ultima che in parte è stata fatta propria dal governo, che sul resto invece sarà chiamato a raccogliere il grido d’allarme delle Pmi, che rappresentano al momento l’anello più debole della filiera economica del nostro Paese.