I segreti del salvataggio della Fiat di Termini Imerese
Grifa vuole acquistare lo stabilimento chiuso da 3 anni, ma ha molti legami con il venditore. La storia della gaffe di Renzi sui cinesi di Brilliance
L'amministratore delegato della Fca, Sergio Marchionne.Ansa/ Alessandro Di Marco
A Termini Imerese c'è una fabbrica chiusa da tre anni che è curata meglio della Reggia di Caserta. Strano. Il prato intorno a uno stabilimento abbandonato dovrebbe essere pieno di erbacce, rifugio di topi e cani randagi e invece è perfetto: tosato e annaffiato ogni settimana da un giardiniere al quale, dopo un periodo di lavoro a Detroit, la Fiat, proprietaria dell'area, ha rinnovato il contratto fino alla fine del 2015. Anche all'interno le sorprese non mancano.
In una fabbrica nella quale non entra un operaio dal 2011, la catena di montaggio che serviva per assemblare la Lancia Y10 dovrebbe essere come minimo arrugginita, ricoperta da polvere e ragnatele. Invece è perfetta: oliata e grassata da una squadra di manutentori sempre pagati dalla Fiat. Perché? In effetti troppe cose non tornano, a Termini Imerese, provincia di Palermo. E non tornano fin da quando, nel 2009, Sergio Marchionne, amministratore delegato della Fiat (ora Fca, il colosso dell'auto nato dalla fusione con la Chrysler), annunciò la chiusura definitiva della fabbrica costruita negli Anni '70 con soldi pubblici.
Nel 2011 l'ultimo operaio chiuse il cancello dietro di sé e da allora decine di progetti per riaprirla si sono affastellati disordinatamente sui tavoli del ministero dell'Industria, di Invitalia (società pubblica che ha il compito di attrarre investimenti dall'estero) e della Regione Sicilia. Tutti a cercare affannosamente di dimostrare di avere un progetto valido e così da poter accedere a ben 200 milioni a fondo perduto che, all'epoca, erano disponibili per la reindustrializzazione dell'area. L'ultima società a provarci si chiama Grifa, promossa dall'ex manager di un fornitore Fiat Augusto Forenza (72 anni) che propone di costruire a Termini Imerese auto elettriche e ibride assumendo la maggior parte dei 1.100 dipendenti (indotto compreso) in cassa integrazione da tre anni.
Ma, appunto, troppe cose non tornano, a partire dai soldi. Il principale azionista del «Gruppo italiano fabbrica automobili» è una società di Bolzano, la Energy Crotone 1 che, attraverso la vendita di una concessione per la costruzione di un parco eolico in Calabria, dovrebbe garantire 25 milioni di investimenti. Ma c'è un particolare: Energy Crotone 1 non possiede alcun parco eolico. Le sue richieste sono state respinte dalla Regione Calabria per ben due volte, l'ultima nel luglio 2013. A ricapitalizzare Grifa per circa 100 milioni, non sarà, perciò, la piccola società di Bolzano, ma due soggetti brasiliani: una cordata di investitori (della quale farebbe parte un fondo chiamato Sequoia) e la banca Brj (Banco Rio de Janeiro). Ma entrambi sembrano freddi sulla possibilità di impiegare tanto capitale senza un piano industriale credibile (quelli presentati da Forenza pare non lo fossero) e, per ben due volte hanno espresso dubbi sulla realizzabilità del progetto.
La settimana scorsa Brj ha posto un ultimatum: entro il 15 novembre serve un progetto che dimostri che il piano di costruire 35mila auto elettriche e ibride dal 2018 sta in piedi. E deve essere particolarmente convincente perché deve passare al vaglio non solo dei brasiliani ma anche di Invitalia dove il dossier è seguito con una sospettosa attenzione visto che la società non solo non ha soci e non ha dipendenti, ma non ha nemmeno un prototipo. In compenso la Grifa ha già indicato la composizione del futuro consiglio d'amministrazione composto, oltre che da Forenza, da Giuseppe Ragni (ex Alfa Romeo), l'economista Massimo Lo Cicero e dal consigliere di Mediobanca, Elisabetta Magistretti (che però avrebbe rinunciato per motivi personali).
Ci sarebbe anche Marianna Li Calzi, un passato politico variegato (da Forza Italia a Lamberto Dini, a Raffaele Lombardo, a Clemente Mastella) e oggi consigliere d'amministrazione di Unicredit che, interpellata per una conferma, reagisce con stizza: «Non so niente, se scioglierò le mie riserve, allora vedremo, ma per ora non posso dire nulla, perché nulla so». Inutile farle altre domande, compresa quella sul coinvolgimento della stessa Fiat nel progetto. In effetti il numero telefonico di Grifa corrisponde ad una società, Walking World, che ha sede, guardacaso, in corso Marconi 10 a Torino, storica sede della Fiat. Il motore delle auto targate Grifa sarà fornito dalla Fiat così come il pianale, che sarà quello della 500, mentre le batterie arriveranno dalla Magneti Marelli (100 per cento Fiat).
Peraltro uno dei manager che orbita intorno alla Grifa è Giovanni Battista Razelli, fratello dell'attuale amministratore delegato proprio della Magneti Marelli, che è uno dei 5 top manager del gruppo Fca a diretto contatto con Sergio Marchionne, visto che siede nel Group Executive Council che governa Fca. Insomma: tutto fa pensare che Grifa sia un'appendice della Fiat, pronta ad entrare in un business, quello delle auto elettriche e ibride, e usando, al posto dei soldi di Torino, quelli brasiliani e sussidi pubblici. Che, però, non sono più 200 milioni. Visto che in tre anni nessun piano è andato in porto, la Regione Sicilia ha usato una parte di quei fondi per altri progetti e ora, sul tavolo, sono rimasti solo 90 milioni a fondo perduto ai quali si aggiungono altri 50 milioni (dello Stato) sotto forma di prestiti agevolati «più altri 150 milioni destinati a migliorare le infrastrutture che stiamo già investendo», precisa fiduciosa l'assessore alle Attività produttive della Regione Sicilia Linda Vancheri.
La quale smentisce che ci sia mai stato un reale interessamento da parte di una casa automobilistica straniera. Compresa la Brilliance, che il 14 agosto il premier Matteo Renzi indicò come la salvatrice di Termini, facendo così una gaffe. Tra l'altro la cinese Brilliance produce Bmw per il mercato asiatico ed è quindi partner di un gruppo concorrente in Europa della Fiat nel settore premium, quello sul quale Marchionne ha basato il piano industriale di Fca per i prossimi 5 anni. Eppure i sindacati ci avevano creduto alla storia della Brilliance anche se, con una vertenza che dura, tra alti e bassi da 12 anni e con lo stabilimento chiuso da tre, sarebbero disposti a credere a qualsiasi cosa. «Dobbiamo accettare il meno peggio», dice il segretario provinciale della Uilm (e dipendente Fiat in cassa integrazione) Vicenzo Comella. «La gente è stanca, le persone stanno diventando anziane», aggiunge Roberto Mastrosimone della Fiom.
E quindi? Quindi sia il sindacato che la politica siciliana, in un impasto debilitante di rassegnazione e fatalismo, aspettano che si realizzi il «loro» piano che consiste, semplicemente, nel far passare il tempo. Basta guardare le date: prima di dicembre la Fiat offrirà un incentivo all'uscita ai suoi dipendenti; per tutti gli altri il 30 dicembre scadrà la cassa integrazione, il 31 dicembre i dipendenti saranno tutti in mobilità, il primo gennaio passano in carico a Grifa, (o a chi per lei) e il 2 gennaio tornano in cassa integrazione per almeno 4 anni. Perché il «piano» funzioni occorre trovare una società finta (e Grifa è perfetta) alla quale accollare persone vere, illudendole con un piano industriale finto così da usare soldi pubblici veri per pagare una cassa integrazione vera e corsi di formazione finti organizzati da enti politicizzati, gestiti dai sindacati rassegnati per riqualificare in modo finto persone vere, in attesa che un'altra società finta presenti un piano industriale finto... The sicilian job.