Pensioni di reversibilità: chi perde e chi guadagna con la riforma
Oltre 4 milioni di italiani sotto la soglia di povertà potrebbero beneficiare della manovra che penalizza invece chi ha ereditato beni
Riformare le prestazioni assistenziali e previdenziali, in questo caso tagliare le pensioni di reversibilità, per contrastare la povertà ripropone il solito problema della coperta troppo corta per due: se uno tira da una parte, l'altro rimane scoperto.
Come spesso accade in questi casi, a contendersela sono due categorie di italiani: i più poveri e i più anziani (ma non sempre), soprattutto le vedove che percepiscono per tutta la vita circa il 60% di quella che era la pensione del marito.
Pensioni reversibilità: cosa cambia se passa la riforma
Le risorse per i più poveri
I primi, quelli che vorrebbero un pezzo di coperta, secondo i calcoli dell'Istat sono 4,1 milioni (dati al 2014) di italiani che non riescono ogni mese a comprare un paniere di beni e servizi considerati essenziali.
Detto altrimenti, la riforma permetterebbe di reperire i fondi necessari per garantire un sussidio più sostanzioso a sette italiani su cento che vivono sotto la soglia di "povertà assoluta", una condizione molto più diffusa tra le famiglie di stranieri (oltre il 23%).
Ma chi sono gli italiani e gli stranieri residenti in Italia considerati tali?
Dipende dalla residenza e dalla composizione del nucleo familiare: una coppia con due figli di età compresa tra 4 e 10 anni che vive in un'area metropolitana del Nord è povera se non è in grado di sostenere una spesa mensile di poco più di 1.620 euro, mentre la soglia per un adulto (che ha meno di 60 anni) residente nella stessa area è circa 817 euro, cifra che scende a poco meno di 550 euro in un piccolo comune del Sud.
Che non sia facile costruire uno strumento universale di lotta alla povertà (l'Italia assieme alla Grecia è l'unico paese a non averlo), lo si capisce anche dalle risorse disponibili, che non sono sufficienti: appena 600 milioni di euro per il 2016 che salgono a un miliardo nel 2017.
In media, calcolatrice in mano, con questi soldi si riuscirebbe a garantire un assegno annuale di nemmeno 250 euro per ciascun richiedente.
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Nel mirino dei tagli
L'Italia spende 24 miliardi di euro l'anno, 615 euro in media a testa, per garantire gli assegni mensili ai superstiti di pensionati o lavoratori defunti. Sono circa 3 milioni di italiani, soprattutto vedove.
ll taglio cui sta pensando il governo, per la verità, non è una novità (dal 1995 gli assegni di reversibilità hanno subito una riduzione che va dal 25 al 50 per cento se il reddito del titolare era particolarmente alto) e non colpirà tutti indiscriminatamente.
Anzitutto, si salvano coloro che già sono titolari: la riforma riguarderà solo gli assegni futuri, stimati in circa 180 mila l'anno.
Di questi, ovviamente, non tutti passeranno sotto la tagliola, ma solo quelli dei richiedenti che hanno un reddito Isee troppo alto.
Nella polemica di queste ore si è puntato l'indice contro i casi di donne giovani sposate con uomini molto più anziani. L'Istat ha calcolato circa 5.000 matrimoni misti l'anno tra italiani over 65 con donne più giovani, spesso straniere, che magari lavorano e possono contare su uno stipendio. Le prime a essere colpite.
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Rischia chi ha ereditato case e patrimoni finanziari
Più problematica, invece, appare a molti osservatori la situazione di molte vedove, che oltre all'assegno pensionistico del marito, hanno ricevuto in eredità anche immobili e, magari, un gruzzoletto in banca.
In questi casi, il patrimonio ereditato potrebbe far sballare il calcolo dell'Isee, facendo perdere il diritto all'assegno di reversibilità, che non di rado è l'unica fonte di reddito.
Sono i casi delle casalinghe, che non hanno mai lavorato perché contavano sullo stipendio del marito, o delle donne che hanno lavorato per pochi anni o hanno fatto richiesta del part-time per seguire i figli: percepiscono oggi un reddito pensionistico molto basso, a volte inferiore anche all'assegno di povertà di 500 euro.
Di certo, quest'ultima, è un'entrata non sufficiente per mantenere il tenore di vita precedente la morte del coniuge.