Fabio Mollo e la sua Reggio Calabria: il sud è più di niente
Intervista al regista di 32 anni distintosi al Festival di Berlino con un film che sfida la rassegnazione silenziosa del meridione: "Nelle nuove generazioni c'è una luce diversa"
Fabio Mollo ha 32 anni e il suo film d'esordio Il sud è niente, dopo essere stato applaudito al Festival di Roma, è stato appena proiettato alla Berlinale (sezione "Generation 14 plus"). Apprezzabile opera prima, condita da suggestioni sensoriali e immagini acquose, ha colpito la platea tedesca, tanto da vincere con la sua giovane protagonista Miriam Karlkvist l'European Shooting Star 2014, il premio dedicato agli attori emergenti.
Regista di Reggio Calabria, spostatosi fuori regione per la sua maturazione professionale, al momento di girare il suo primo lungometraggio Fabio è tornato però nella sua terra, ha indagato le sue origini, quel Mezzogiorno amato, affascinante e ostile. Ha raccontando il suo sud, raccontando intanto anche l'Italia. Tramite Grazia, solitaria e mascolina diciottenne interpretata appunto dalla Karlkvist, ha soffiato un vento di rinnovamento sopra la rassegnazione, ha dato una sferzata pulita e nuova a dinamiche interazionali basate su silenzi e polverosi non detti. Nella lenta e dolorosa elaborazione del lutto di Grazia, per un fratello misteriosamente scomparso, lievita una risoluto lotta contro una realtà sociale che sembra offrire solo una fuga verso il nord.
Incontriamo Fabio Mollo, già autore del cortometraggio Giganti, vincitore del premio per il miglior corto al Torino Film Festival 2007.
Cosa significa la frase che dà il titolo al film, "Il sud è niente", che durante la pellicola la nonna (interpretata da Alessandra Costanzo) rivolge a Grazia?
"È il manifesto della mentalità sconfitta alla quale siamo stati allevati, soprattutto nel sud. L'abbiamo usato come titolo del film come provocazione. Volevamo ribaltare questo retaggio con la voglia di cambiamento".
Nelle nuove generazioni, di cui Grazia è una rappresentante, credi ci siano coraggio e forza per rompere il silenzio rassegnato?
"Penso di sì. Il motivo per cui ho fatto questo film è proprio perché mi sono accorto che nei giovani c'è una luce diversa. Credo poi che questa difficoltà di trovare una propria dimensione, la mancanza di spazi, la ricerca della verità, siano una problematica di tutta Italia; non è legata solo all'omertà mafiosa ma anche a una carenza più generale, sociale".
Che legame hai con Reggio Calabria, la tua città? È stata un ostacolo o un aiuto nel tuo percorso cinematografico?
"Ho un rapporto simile a quello tra figlio e genitore. Ho ammirazione, venerazione, ci sono molto legato, per questo ci sta che la rimproveri, anche in modo abbastanza duro. Sono andato via da Reggio a 18 anni: come tanti calabresi ho la dimensione del viaggio nel dna. Poi sono tornato proprio per fare i miei primi lavori, prima con il cortometraggio, poi con il lungo, facendo iniziare la mia narrazione proprio da Reggio. Se ho vissuto con responsabilità il mestiere di regista è proprio perché sono di Reggio.
Poi, in termini più pratici, la città ci ha aiutato tanto a filmare Il sud è niente. Abbiamo girato proprio quando Reggio era stata commissariata, quindi non sapevamo a chi chiedere i permessi. La gente del posto è stata disponibilissima, ha accolto gli attori nelle case per un caffè, ha fermato il traffico...".
Dove hai scovato Miriam Karlkvist, la giovane protagonista anche lei reggina, finalmente volto nuovo e interessante del cinema italiano?
"Non volevamo il solito viso, né una ragazza che non fosse davvero adolescente. Abbiamo fatto uno street casting nel mio quartiere, Gebbione. Cercavamo un'attrice con quelle caratteristiche fisiche e con il viaggio emotivo che ha Miriam. Abbiamo cercato anche tra le attrici appena uscite dalla scuola di recitazione ma poi siamo rimasti sopraffatti dal talento di Miriam, che non aveva mai recitato prima. È rischioso affidarsi ad attori debuttanti, ancor più in un film low budget come il nostro. Ma Miriam ci ha rapiti".