Franca Barone, il nuovo volto del jazz milanese
Il suo disco d'esordio "Miss Apleton" contiene sette tracce composte e arrangiate da lei - Intervista
Un progetto davvero interessante quello di Franca Barone, classe 1985, nuovo nome del jazz milanese. "Miss Apleton" (questo il nome del disco, uscito ieri per Irma Records) comprende sette tracce, che affrontano con delicatezza ed eleganza il sound jazz. Una passione per la musica, la sua, che la accompagna fin da quando era bambina e che - con il passare degli anni - è diventata sempre più una compagna fedele della propria vita.
Abbiamo incontrato Franca Barone per conoscerla meglio...
Sei venuta a contatto con il mondo della musica fin da giovanissima. Come è andata?
"La mia passione è nata in modo naturale. In famiglia, soprattutto durante i viaggi in macchina, si ascoltava sempre musica di vario genere, dalla classica ai cantautori italiani e non, al jazz. Il jazz (e in generale le sonorità della musica cosidetta "nera") ha preso la mia attenzione e il mio gusto. Mi sono approcciata per caso al gospel cercando fra la selezione di dischi di mio padre con alcuni brani di Mahalia Jackson, ho proseguito con Sarah Vaughan, George Gershwin e così via; tutto questo intorno ai tredici anni. A quell'epoca frequentavo il primo anno di pianoforte al conservatorio Verdi di Milano ma dopo aver conosciuto l'esistenza dell' "altra musica" ho deciso di abbandonare e di prendere lezioni di piano jazz verso i 14 anni. Contemporaneamente studiavo canto e ho voluto cimentarmi con quel repertorio anche con la voce. Mi divertiva molto anche se non ero un granché capace".
"Miss Apleton” è il tuo disco d’esordio. Perché questo titolo?
"Il disco deve il suo titolo a un soprannome che mia sorella (che ha avuto anche l’idea melodica della title-track) mi ha dato per anni. A dirla tutta sarebbe lo storpiamento progressivo del nome del nostro primo gatto. Si chiamava “Fulmine”, capisci perché parlo di storpiamento. È anche la scritta incisa sul regalo che mi hanno fatto per la laurea. Insomma, è un mio nomignolo".
Da dove è nata l’esigenza di raccontarti con questi sette brani particolari?
"Non saprei spiegare, ma come dici tu è davvero un'esigenza. È capitato di mettermi al piano e creare casualmente una melodia o un'armonia che poi mi è piaciuta e ho registrato; è capitato che avessi bisogno di tradurre in musica dei pensieri, delle sensazioni in un certo momento. La musica per me è un linguaggio vero e proprio: c'è chi scrive romanzi, c'è chi dipinge quadri, c'è chi danza, io per esprimermi scrivo musica. Non è stata una decisione, è andata così fin dal principio. Ricordo di aver scritto il mio primo brano (testo e musica) a 10 anni, erano i tempi delle Spice Girl e avevo messo su una girl band con le mie compagne di classe, eravamo molto determinate".
Qual è il punto di maggior attrazione che il jazz può esercitare su un giovane ragazzo (magari abituato ad ascoltare altri generi)?
"Per vari motivi il jazz è un genere che oggi fa venire in mente un tipo di musica elitaria e di difficile comprensione, una musica "non per tutti". Questo è un gran peccato perché l'arte e la musica in linea di principio dovrebbero includere, non escludere. Probabilmente a questo giovane proverei a spiegare che il jazz nasce come musica popolare americana, come genere aggregativo, con vere e proprie canzoni da cantare e da ballare, nasce dal blues, che è per antonomasia un suono universale, compreso ovunque. Il punto di attrazione credo sia il coinvolgimento che crea assistere (dal vivo o ascoltando un disco) all'improvvisazione, alla creazione sul momento di melodie e armonie nuove, mai sentite, e probabilmente mai più riproducibili fedelmente".