Macerie in una frazione di Amatrice
ANSA/ FABRIZIO COLARIETI
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Terremoto in Centro Italia un anno dopo: cosa non ha funzionato

Ritardi, pasticci e dimissioni. Tra "casette" non abitabili, norme kafkiane sulle macerie, scuole sempre chiuse, tutti i motivi del flop post-sisma

"Ci hanno assicurato che le casette saranno pronte al massimo entro ottobre. Vogliamo riaprire la scuola a settembre". Il sindaco di Visso, Giuliano Pazzaglini, non sa più come rassicurare il suo migliaio di concittadini. Ultime parole famose, tuttavia: quasi di sicuro le scuole non riapriranno dato che i cantieri per adeguare le strutture - una novantina, con interventi importanti - sono quasi tutti fermi.

È passato un anno dal sisma che ha devastato il Centro Italia e dalle promesse di Matteo Renzi che si aggirava con la felpa "Amatrice" per le città colpite, ripetendo: "Le casette entro Natale".

Dopo la scossa dell’ottobre scorso, la più distruttiva, il termine allunga di sei mesi: "In primavera tutti avranno un tetto". Ma a febbraio si capisce che si tratta del solito spot politico. Anche il Commissario per la ricostruzione, Vasco Errani, in un incontro a porte chiuse con i sindaci rivelato da Panorama, ammette che l’operazione per i moduli abitativi è stata un fallimento.

Da quell’episodio cominciano le difficoltà per il capo della Protezione civile, Fabrizio Curcio, dimessosi martedì scorso 8 agosto. E proprio la Protezione civile che ha fissato per la fine dello scorso aprile la conclusione dei sopralluoghi sui danni, è smentita dai fatti. Paolo Gentiloni, rispetto a Matteo Renzi, ha mutato solo i messaggi: dalle promesse si passa ai rimpalli sui ritardi. Errani in una intervista sottolinea che "leggi e soldi ci sono, ora vanno fatti progetti". Come dire: il governo la sua parte l’ha fatta ma se tutto marcia a rilento è colpa dei sindaci che non individuano le aree per le casette, delle Regioni che non fanno le urbanizzazioni e dei professionisti che non presentano i progetti di ricostruzione.

Le leggi infatti, quelle, non mancano. In una bulimia normativa, il governo ha varato ben quattro decreti e il Commissario per la ricostruzione 35. Insomma, la situazione resta congelata. Ci sono da eseguire circa 20 mila verifiche sui danni. Le "casette" sono ancora un sogno per gran parte dei paesi. Su 3827 Sae, le Soluzioni abitative di emergenza richieste da 51 comuni, ne sono state consegnate circa 534.

In alcuni comuni delle Marche i prefabbricati arriveranno addirittura a ottobre. Nella maggior parte, però, solo il prossimo anno. Tant’è che il governo, prendendo atto di questa débâcle, ha dovuto prolungare lo «stato di emergenza» al 28 febbraio 2018 in modo da garantire il contributo per una sistemazione autonoma a quanti sono ancora in affitto.

Intanto, si registrano anche i primi problemi nei moduli già consegnati. Succede per esempio nelle 25 casette di Amatrice del cosiddetto Campo zero. Qui i residenti già lamentano infiltrazioni d’acqua dal pavimento, problemi nelle fognature più vari altri malfunzionamenti.

L’altro grave problema è che procede a rilento lo sgombero delle macerie. Finora ne sono state rimosse meno del dieci per cento. E la vera ricostruzione non può iniziare: un solo cantiere aperto nelle Marche, 50 interventi leggeri avviati in Umbria, nessuno «pesante». Anche qui il governo ha fatto slittare di cinque mesi, al 31 dicembre prossimo, la scadenza per presentare i progetti e le relative richieste di contributi per la ricostruzione. Se si chiede conto dei ritardi alle istituzioni la risposta è sempre la stessa: è stato un terremoto straordinario (come ce ne fossero di ordinari) e l’area è vasta. Comuni e Regioni, dal canto loro, accusano l’iperburocratizzazione.

Ecco davvero cosa e perché non ha funzionato.

Le macerie? Come spazzatura

Sì, i detriti sono stati considerati alla stregua dei rifiuti solidi urbani. Ciò significa che per la rimozione sono state coinvolte le imprese che abitualmente si occupano della spazzatura. Se poi viene trovato dell’amianto, tutto si blocca in attesa della ditta specializzata. Lo stesso vale se ci sono resti con valore artistico e storico. Allora bisogna avvertire la Soprintendenza.

È stata adottata una procedura ordinaria per una situazione straordinaria. Se le macerie sono in un’area privata, occorre il consenso del proprietario per portarle via. Trovarlo non è sempre semplice, perché può anche essere all’estero o può accadere che la proprietà sia divisa tra più persone. L’autorizzazione è inoltre necessaria per le demolizioni. Nonostante internet il Comune deve ancora usare la raccomandata per informare il cittadino. Di Pec, la comunicazione via mail certificata, nemmeno a parlarne. Per la Confartigianato imprese di Macerata sarà necessario gestire questo smaltimento almeno per i prossimi 6-8 anni.

Sopralluoghi al rallentatore

Il 22 febbraio scorso la Protezione civile assicurato, anche in polemica con le stime di Panorama, che entro due mesi si ultimeranno le verifiche sui danni del sisma. Risultato: a oggi ne mancano circa 20 mila. Non potrebbe essere altrimenti, visto il tortuoso percorso normativo, disseminato di improvvisi cambiamenti.

Come quello delle schede di rilevazione sugli effetti del terremoro; prima il meccanismo complesso delle Aedes (che indicano l’entità del danno in vase a una classifica), poi quello più semplice delle Fast (che dicono solo se un edificio è agibile o no). Queste ultime, però, non sono valide per ottenere i contributi pubblici alla ricostruzione. E quindi bisogna comunque passare per le Aedes, istruendo così una doppia ispezione. Naturalmente a monte di tutto questo c’è il lavoro preparatorio a carico del Comune, che deve compilare un fascicolo per ciascun immobile con le caratteristiche e i dati catastali, indicando eventuali condoni edilizi...

Nuove tecnologie sì, ma in tilt

Internet, mail, comunicazioni via Pec, piattaforme informatiche: anche con questo sisma sono state tutte battuti dalla burocrazia. Per avvisare i proprietari di un immobile che occorre eseguire una demolizione, il Comune deve comunque mandare una raccomandata cartacea.

Il sistema informatico Mude, su cui gli ingegneri e i geometri caricano i progetti per trasmetterli all’ufficio ricostruzione, è rimasto inattivo per mesi. Eppure non è una novità, dal momento che è stato usato per il terremoto dell’Emilia del 2012. Il blocco ha costretto i professionisti a sobbarcarsi un doppio lavoro: i progetti trasmessi via Pec non sono entrati in automatico sul Mude, una volta attivato. Gli ingegneri hanno quindi dovuto rispedire tutte le pratiche. Poi c’è «Erikus» il software per condividere le informazioni sui sopralluoghi tra più enti: è andato avanti tra mille difficoltà perché richiede personale esperto e tempestività nelle comunicazioni. Gran parte delle amministrazioni locali hanno un organico ridotto all’osso, impreparato ad affrontare l’emergenza.

La casetta e il suo labirinto

Si fa presto a dire casette. Innazitutto un sindaco deve decidere quanti prefabbricati richiedere. Poi deve individuare le aree dove posizionarle. L’operazione non è facile perché il primo cittadino deve vedersela con i vincoli ambientali se si trova in un parco nazionale e, più in generale, con i rischi idrogeologici.

La parola quindi passa alla Regione per il giudizio di idoneità. Ma la pratica torna poi al Comune che deve occuparsi dell’esproprio. Va convocato il proprietario e occorre preparare un fascicolo per ogni fabbricato. Quando anche questi adempimenti sono stati espletati, la Regione consegna le aree al Consorzio (Cns) responsabile della fornitura dei prefabbricati, che deve preparare il layout, cioè il progetto. Questo va all’approvazione di Comune e Regione. Dopodiché la ditta prepara il progetto definitivo che rifà lo stesso percorso di autorizzazioni. E non è finita.

Prima di montare le casette, bisogna effettuare i lavori di urbanizzazione, cioè portare gli allacci delle utenze. E di questo se ne deve occupare la Regione che indice le gare per individuare le imprese. Se poi nell’area ci sono anche centri commerciali o spazi sociali dedicati a bambini e anziani, occorrono ulteriori specifiche autorizzazioni. Franz Kafka non avrebbe saputo fare di meglio.

Fuori dalle aule

Tra un mese comincia l’anno scolastico, ma la maggior parte delle strutture per l’insegnamento nell’area del sisma è inagibile o distrutta. Eppure i fondi per il recupero ci sono: molti provengono da donazioni di enti e imprese private e da quegli italiani che hanno aderito alle campagne di solidarietà e che ora vorrebbero sapere come sono stati spesi i loro contributi benefici. A costoro bisognerà spiegare come mai il piano straordinario per la riapertura delle scuole a settembre, varato nel gennaio scorso dal Commissario Errani, è utopistico e come mai non è stata trovata una soluzione in tempo utile.

Le gare per ristrutturare una novantina di edifici scolastici sono andate quasi tutte deserte, nonostante la cifra stanziata fosse ragguardevole: 230 milioni di euro. A scoraggiare le imprese sarebbero state le regole stringenti che prevedevano la presentazione del progetto insieme all’offerta economica e tempi ravvicinati. Così sono passati sette mesi per capire che il meccanismo era da cambiare: il 31 luglio, infine, il Commissario ha presentato un’ordinanza che modifica la sua precedente di gennaio. Il progetto esecutivo ora va presentato solo dall’impresa che si è aggiudicata i lavori e il contratto definitivo di appalto sarà firmato dopo l’approvazione delle Conferenze permanenti. Le Marche avevano previsto 38 interventi, per un costo di 139 milioni di euro, l’Umbria 22 (31 milioni), l’Abruzzo 15 (24 milioni), il Lazio 12 (35 milioni).

Ma siamo fuori tempo massimo. Già si sta pensando a un piano B, ovvero all’ipotesi di sistemare le aule in tensostrutture temporanee, potenziando il sistema di navette e scuola-bus per trasportare gli studenti dai luoghi dove ora risiedono. Ma c’è anche un altro problema. Ammesso che si riesca nell’impresa di rendere agibile qualche edificio scolastico tra settembre e ottobre, intorno ad essi ci sarà un deserto di macerie. Senza le casette, i ragazzi saranno comunque costretti a faticosi pendolarismi da alberghi e appartamenti provvisori, dove sono sistemati da un anno.

Freni da "sindrome dell'abuso"

Nonostante l’emergenza molti vincoli urbanistici - anche assurdi, durante una situazione di emergenza - rimangono. Le zone del "cratere" fanno parte di due parchi nazionali, dei Monti Sibillini e dei Monti della Laga. Significa che ogni intervento, sia la messa in sicurezza dell’argine di un fiume a rischio di esondazione come l’installazione di roulotte o case mobili, è soggetto a regole ferree.

Le aree sono sottoposte anche a normative europee di tutela ambientale. Nessuna deroga anche al Testo unico sull’edilizia. Non è consentito dunque mantenere su terreni di proprietà privata una casetta comprata di tasca propria per più di tre mesi. Pena, l’incorrere nel reato di abuso edilizio.

Ricostruzione ad ostacoli

Anche la presentazione dei progetti per la ricostruzione vera e propria è sottoposta a passaggi macchinosi. Il professionista deve appunto inoltrare all’Ufficio tecnico della ricostruzione 15 gruppi di certificati, ognuno dei quali include altri documenti. Finita l’istruttoria, il progetto viene trasmesso al Comune che deve verificare che il progetto di ricostruzione rispetti il piano urbanistico. Ma qui, senza tenere in alcun conto l’emergenza, la pratica viene messa in coda alle altre che non riguardano specificamente il terremoto. Non c’è infatti una norma che dia priorità alla ricostruzione post-sisma.

Numerosi progettisti si sono lamentati, ma non c’è stato niente da fare. Gli impiegati si attengono a quanto previsto. Negli uffici le schede dei sopralluoghi si stanno accumulando, anche perché numerose sono sbagliate, e dovrebbero essere rimandate indietro al tecnico per correzioni e integrazioni. Tutto ciò crea ulteriore blocco della ricostruzione.

Stalle: chi le ha viste?

Dopo un anno risulta pronta solo una stalla su tre. Su 247 richieste ne sono arrivate, e ne funzionano, appena 82. Anche in questo caso, inadempienze e ritardi. L’appalto per realizzarle affidato dapprima alla ditta veneta Lmv è stato deludente.

Come riferisce la Coldiretti, l’impresa avrebbe dovuto consegnare entro il 9 gennaio scorso 69 stalle mobili. A quella data, ne risultavano completate due. Preso atto della situazione, a febbraio la Regione Marche ha risolto il contratto con la Lmv e ha dato l’incarico alla Frimat. A marzo per accelerare i tempi è stato coinvolto, su proposta di Coldiretti, il Consorzio di Bonifica. A Castelsantangelo sul Nera la prima stalla si è vista a luglio. Dopo undici mesi.

Nel caos delle scadenze

Succede nella richiesta dei contributi pubblici per la ricostruzione leggera. Alcune date sono state aggiornate addirittura quando il termine era stato superato. Si è creato così il caos. La domanda andava presentata, insieme alla ormai famigerata scheda Aedes con la descrizione dell’entità dei danni, entro il 31 luglio 2017. Ma a quella data mancavano ancora numerosi sopralluoghi. Ecco che il governo ha deciso di posticipare la scadenza al 31 dicembre. La procedura però resta uguale, lunga e complessa. Dopo che l’ispezione ha certificato la non agibilità della casa, il Comune deve emanare una ordinanza di sgombero. Poi occorre un controllo più approfondito, riportato sulla scheda Aedes che va inviata via posta elettronica certificata alla Protezione civile per l’esame. L’ufficio ricostruzione avvia un’istruttoria per capire se gli interventi di "ricostruzione leggera" sono compatibili con il livello di danno in che misura il proprietario ha diritto al contributo. Un iter, ha spiegato un ingegnere a Panorama, richiede almeno un mese.

Il percorso è fitto di insidie, perché l’amministrazione può richiedere documenti aggiuntivi. Il professionista deve attendere che la verifica sia ultimara per presentare il progetto. Ecco perché l’originale scadenza di luglio è saltata. Sono stati superati anche i termini per definire le le aree più colpite dal sisma - che è il primo passo per avviare la procedura di ricostruzione. L’ordinanza del 23 maggio di Vasco Errani dava alle Regioni un mese per concludere l’operazione. Nulla invece è stato fatto.

Se una modifica scaccia l'altra

Una metà delle 35 ordinanze del Commissario per la ricostruzione Errani contengono modifiche alle precedenti. Come quelle che riguardano le delocalizzazioni di attività imprenditoriali. Le aziende agricole, la maggioranza in queste aree, erano state escluse. Sono poi state incluse, ma a termini scaduti per presentare la richiesta di spostamento delle attività. È stata necessaria quindi un’altra ordinanza che ha fissato la data ultima al 31 maggio.

Modificate più volte anche le misure per la riparazione e il ripristino degli immobili a uso produttivo. Un altro atto di Errani ha cambiato all’improvviso i contratti per i professionisti impegnati nei progetti di ricostruzione, creando ulteriore e defatigante confusione.


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Laura Della Pasqua