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Guerra all'Isis: due mesi per rendere sicura Ramadi

Lo ha dichiarato il portavoce della Coalizione internazionale a guida Usa. Ancora da conquistare la zona est della città dove si rifugiano jihadisti

La bandiera delle truppe governative irachene sventola a Ramadi, anche se la città capitale della provincia di Anbar, non è ancora completamente nelle mani dell'esercito di Baghdad. Le truppe governative, con i blindati e i tank, hanno riconquistato lunedì 28 dicembre il compound del governo ma restano sacche di resistenza sparse tra le macerie dei palazzi della città.

Molto tempo e ingenti investimenti saranno inoltre necessari per la ricostruzione della città, che secondo le autorità locali è stata distrutta all'80 per cento.

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30 dicembre

Saranno necessari ancora "due mesi" per pacificare e rendere sicura Ramadi. Lo ha detto oggi Arkan Tarmuz, membro del Consiglio provinciale di Al Anbar. Molte mine e trappole esplosive devono essere disinnescate e miliziani dell'Isis rimangono trincerati in alcuni quartieri e si muovono attraverso tunnel sotterranei, pronti a compiere attentati suicidi.

Ghanim Eifan, membro della cellula di crisi di Al Anbar, ha sottolineato che l'esercito "non è ancora entrato nei quartieri orientali, come Sajiriya, Sufiya e Juwaiba, dove hanno ripiegato molti miliziani dell'Isis".

Anche il portavoce della Coalizione internazionale a guida Usa, il colonnello americano Steve Warren, in una conferenza stampa nell'ambasciata statunitense a Baghdad ha dichiarato che i tempi saranno lunghi. Warren ha aggiunto che "i raid aerei della Coalizione hanno ucciso oltre 2.000 jihadisti dallo scorso luglio" in Iraq.

29 dicembre

Il primo ministro iracheno, Haidar al Abadi, ha visitato Ramadi. Lo ha riferito la tv di Stato senza fornire particolari sul programma della visita. Alcune sacche di resistenza dei jihadisti sono ancora presenti, soprattutto nella parte orientale della città, mentre l'esercito lavora a disinnescare le mine lasciate dai miliziani dello Stato islamico durante la ritirata. 

Athal al Fahdawi, un membro del consiglio della provincia di Al Anbar, alla quale appartiene Ramadi, ha parlato oggi di una città "in gran parte in rovina e demolita", valutando appunto il livello della distruzione all'80 per cento. "La gran parte degli edifici governativi - ha aggiunto Al Fahdawi - sono stati fatti saltare in aria prima della fuga dai miliziani dell'Isis. Tra questi, la sede del consiglio provinciale e il quartier generale della polizia". Un portavoce del consiglio dei clan tribali anti-Isis, ha intanto detto che "una lista di centinaia di persone che si sono schierate con lo Stato islamico è stata preparata". Tra di loro, ha aggiunto il portavoce, vi sono impiegati statali, docenti universitari e Salman Aziz Ahmad Nawfal, già dirigente dei servizi d'Intelligence del regime di Saddam Hussein. 

Un bel colpo, almeno sul piano del morale per gli iracheni che a Ramadi avevavo subito un'umiliazione cocente, quando nel maggio 2015 erano stati cacciati dall'Isis, costringendo il contingente rimasto a una fuga precipitosa, favorita da elicotteri spediti dal comando centrale per aiutare l'evacuazione.


Anche se gli esperti non sono proprio tutti d'accordo sul valore anche strategico di Ramadi (oltre che simbolico, essendo vicinissima a Baghdad e nel cuore dell'Iraq sunnito), circolano oggi parole di ottimismo nella guerra all'Isis.

Nell'attesa di sviluppi e di analisi più approfondite, ecco il punto della situazione:

Nelle prossime ore è attesa l'offensiva finale.
I militanti dell'Isis che hanno lasciato il controllo del Compound governativo, sono fuggiti nel nord est di Ramadi con gli ostaggi che usano come scudi umani. Nell'ex compound governativo si trovavano 200 militanti dell'Isis.
La riconquista completa di Ramadi sarebbe un buon segnale per la prossima battaglia per Mosul, la seconda maggiore città dell'Iraq e roccaforte dell'Isis nel paese.

Intanto continuano gli attacchi dal cielo all'Isis da parte della coalizione. Nel solo giorno di Natale sono stati condotti 17 attacchi contro l'Isis in Iraq e in Siria. Nel mirino tunnel e fabbriche di esplosivi per cercare di distruggere le risorse dei militanti.

La Russia bombarda il petrolio dell'Isis in Turchia

Getty Images

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