Boris Makarenko, direttore del Center for Political Technologies, un think tank moscovita, è convinto che le elezioni legislative russe del 18 settembre 2016 si concluderanno con il trionfo di Russia Unita, il partito di Vladimir Putin. E non perché non sia profondo il malcontento popolare contro il governo, ma per un’altra ragione: perché il controllo che esercita il partito del presidente su tutti i gangli vitali dell’amministrazione pubblica è così esteso e capillare da rendere praticamente impossibile qualsiasi altro scenario post-elettorale, qualsiasi alternanza.
Persino nelle aree tradizionalmente avverse al putinismo – come Yaroslaw, a nordest di Mosca dove nel 2011 il partito di Putin ottenne nel 2011 un misero 29% contro il 50% a livello nazionale: «Se le elezioni democratiche classiche sono un gioco con regole certe ma con un esito non prevedibile – sintetizza Makarenko – in Russia accade esattamente il contrario».
La sensazione che si respira nel Paese, quando ormai mancano meno di due settimane alle elezioni, è che il voto sia ormai diventato inutile. Che – come ha dichiarato al Financial Times Andrei Kolesnikov, il direttore di un centro studi molto rinomato in Russia – «è diventato impossibile cambiare in Russia con lo strumento del voto».
I partiti di opposizione in Russia sono sostanzialmente tre. Il Partito comunista, Una Russia Giusta, il Partito Liberale. Tutti e tre questi partiti – che oscillano tra il 10 e il 15 nei sondaggi, a fronte di Russia unita che viene accreditata di circa il 50% dei voti – finiscono sempre per votare a favore del partito di maggioranza nella Duma.
Continuano a conservare un margine di autonomia politica a livello locale e sociale, organizzano – come nel caso dei comunisti – le proteste dei lavoratori e dei pensionati, ma quando si tratta di votare alla Duma su questioni essenziali, il voto con Russia Unita è praticamente scontato.
L’unico timore del Cremlino – che spera secondo il Financial Times che l’affluenza sia bassa, potendo contare su uno zoccolo duro di consenso difficilmente scalfibile – è che possa ripetersi lo scenario del 2011, quando le elezioni furono accompagnate da proteste e polemiche per i presunti brogli organizzati da Russia Unita.
Per oliare il meccanismo del consenso – ed evitare di perdere la maggioranza assoluta nella Duma – zar Vladimir avrebbe anche dato il via libera al partito di Boris Nitov, un businessman che avrebbe il compito di recuperare parte dei voti di quel pezzo di middle-class urbanizzata che non voterebbe comunque per il partito di Putin. Un altro passaggio chiave per evitare sorprese è stato quello di cambiare il direttore della Commissione Centrale Elettorale, l’organismo statale che vigila sulla correttezza del voto e che molte polemiche provocò nel 2011.
Un’altro modo per ridurre al silenzio le voci dissidenti è stato quello di allearsi, in alcune aree, con i partiti di opposizione a livello nazionale.
Pragmatismo e manipolazione politica. Russia Unita, secondo tutti gli analisti, stravincerà anche questa volta. Il voto, secondo il reportage del FT, è diventato un’arma spuntata.