Barack Obama e l'enigma Egitto
Cosa farà il presidente Usa sugli aiuti militari al Cairo? La Casa Bianca ondeggia tra pragmatismo e idealismo, ma vuole soprattutto stabilità
Diversi membri del Congresso hanno chiesto che gli Stati Uniti blocchino gli aiuti che ogni anno vengono inviati all'Egitto. John McCainc ha detto che dopo la carneficina di questi giorni, gli Usa rischiano di essere complici della repressione dei militari del Cairo. Non ci vorrebbe molto: basterebbe applicare la legge approvata da Capitol Hill secondo cui tutti gli aiuti americani a un paese che subisce un colpo di stato, dove viene instaurato un regime dittatoriale, devono essere sospesi. Una legge bipartisan, benedetta da tutti. Ma, per adesso, la Casa Bianca non sembra essere intenzionata a usare quest'arma. Se mai la userà.
Dopo le centinaia di vittime egiziane, Barack Obama si è "limitato" a lanciare moniti (che avevano il sapore di appelli) nei confronti dei generali del Cairo. Come segnale, come avvertimento, ha deciso di annullare le previste manovre militari congiunte e di ritardare l'invio di alcuni F-16, la cui consegna era prevista nel programma di aiuti annuali. Non andate troppo oltre, era il messaggio che la Casa Bianca ha lanciato. In realtà, poco ascoltato dalla controparte. Ma oltre quello, il presidente americano, per ora, nulla d'altro ha fatto. L'amministrazione Obama sta valutando quali altre possibili azioni intraprendere, ma l'ipotesi che possa bloccare quel miliardo e mezzo di dollari previsti dagli accordi con il Cairo, sembra ancora lontana. Almeno così pare ora.
La Stabilità, prima di tutto
Alcuni ex alti funzionari del Dipartimento di Stato potrebbero scommetterci: Obama non lo farà. Sentiti dalla rivista Foreign Policy, hanno puntato il dito contro il presidente e i suoi (apparenti) tentennamenti. In realtà, la politica che ha seguito finora con il Cairo è stata coerente, e più che all'insegna dell'idealismo, è stata permeata di una forte dose di pragmatismo; più che indirizzata all'appoggio totale della Primavera Araba è stata invece guidata dagli interessi nazionali di sicurezza degli Usa: la stabilità dell'Egitto e della Regione, in primo luogo.
Con in mente questa priorità, Obama ha zigzagato tra gli avvenimenti del Cairo degli ultimi due anni: fino a quando Hosni Mubarak sembrava reggere in sella non ha appoggiato Piazza Tahrir, ma dopo che la violenta repressione del Rais ha precluso ogni possibilità di fermare la rivolta di popolo, lo ha spinto a lasciare il potere. Ha poi dato credito ai militari che avevano promesso di garantire il processo democratico e dopo la vittoria dei Fratelli Musulmani nelle elezioni presidenziali ha dialogato con Mohamed Morsi, non rendendosi conto che le spinte centrifughe dall'interno dell'establishment (i militari) avrebbero portato prima al colpo di stato soft contro Morsi e poi, alla fine, alla violenta repressione contro la piazza dei militanti musulmani.
I dubbi di Obama sullo stop agli aiuti
Questa politica del wait and see è stata adottata nella speranza che ogni nuovo protagonista entrato progressivamente in scena e andato al potere sarebbe stato in grado di portare stabilità nel paese. E che, comunque, chiunque fosse stato, avrebbe dovuto fare i conti con Washington, detentrice della Golden Share con il Cairo: gli aiuti militari.
In realtà, questa si è rivelata un'arma a doppio taglio per Obama: quel fiume di dollari serve a foraggiare l'esercito egiziano e buona parte dell'economia del paese che ruota attorno alle forze armate e all'apparato statale. Se venisse meno, l'Egitto rischierebbe di entrare ancora di più in una situazione caotica. La sua già precaria stabilità politica verrebbe minata in modo maggiore. Ci sarebbero conseguenze in tutta la regione, e in particolare negli equilibri di sicurezza con Israele. Può Barack Obama permettersi di giocare con tanto azzardo?
I generali egiziani sanno bene quale è la posta in gioco anche per gli Stati Uniti. Ed è per questo che per loro, i moniti di Obama di questi giorni, sono sembrati più dei colpi sparati a salve che vere e proprie bordate.
Gli ex alti funzionari del Dipartimento di Stato pensano che alla fine sia stato proprio l'aver seguito questa politica ad aver messo Obama in una sorte di cul de sac. Posizionato sempre sulla difensiva, un passo indietro rispetto agli avvenimenti, il presidente americano ha visto erodere progressivamente la sua capacità di intervento e influenza al Cairo. E, ora, sembra essere destinato, costretto ad accettare una stabilità politica tout court, fondata su di un cruento ritorno al potere dei militari. Uno scenario ben diverso da quella stagione di libertà e democrazia per l'Egitto e il mondo arabo che lo stesso Obama aveva auspicato all'inizio del suo primo mandato.