Legge di stabilità: non si cresce con questa frittata
Non si taglia la spesa pubblica, non stimola gli investimenti, ruba il futuro ai giovani
Oramai la frittata è fatta. Mettetevi il cuore in pace e non aspettatevi miracoli dalla legge di stabilità, l’insieme di misure che avrebbe dovuto far uscire un’Italia Sfinita dalle secche della recessione. Panorama ha provato a far cambiare verso a una manovra che ci è apparsa fin dall’inizio sbagliata alla radice. Per tre motivi innanzitutto: perché tradiva clamorosamente l’impegno di tagliare cum grano salis l’enorme montagna della spesa pubblica, perché non stimolava gli investimenti, perché rubava il futuro ai giovani attraverso l’imbroglio dell’anticipo del Tfr e l’incremento delle tasse sui fondi pensione.
Le nostre analisi e le nostre preoccupazioni hanno trovato puntuale riscontro in tutti i pronunciamenti di chi, in Italia ein Europa, è chiamato a dare un giudizio di merito sulla legge di Stabilità: Banca d’Italia, Istat, Unione europea. La nostra crescita, per il 2015, è stata definita a Bruxelles «tiepida», «fragile» o addirittura «molto fragile», gli effetti della manovra sull’economia «nulli» dall’Istat per il biennio 2015-16, perché il governo metterà in circolo denaro aumentando ancora la spesa pubblica, mentre sulle pensioni Bankitalia ha annunciato l’apertura di un potenziale baratro dovuto alla possibilità di intascare il Tfr per i prossimi tre anni.
Per non parlare della mannaia che incombe con le «clausole di salvaguardia», una gragnuola di nuove tasse sotto forma di aumento dell’Iva a cominciare dal 2016 e fino al 2018, e i nuovi balzelli che le regioni (già sul piede di guerra e recalcitranti per i risparmi da fare) potrebbero inventarsi dopo il taglio dell’Irap. In questa situazione si inserisce il defatigante dibattito tutto interno al Partito democratico sul Jobs act con le lacerazioni e le minacce da una parte e dall’altra che hanno oggettivamente stufato.
Chi potrebbe assumere non lo fa a causa della totale incertezza della normativa, chi potrebbe investire si tiene alla larga da un Paese incapace di tradurre in atti concreti gli annunci. Ma insomma: quando si potrà avere una linea chiara, senza bizantinismi e rinvii sine die? Quando si potrà capire se per i licenziamenti disciplinari sarà o meno prevista la possibilità che un giudice intervenga disponendo il reintegro con l’inevitabile indeterminatezza del suo giudizio? Tutto questo senza dimenticare che a ridosso di Natale, tanto per invogliare gli italiani a predisporsi con il migliore auspicio ai consumi, saremo chiamati a saldare il conto dell’Imu e della Tasi, ultimo atto di una tassazione della casa che non conosce eguali nel mondo moderno. E con questo la frittata è completa. Se Renzi, come dichiara a Bruno Vespa, vuol governare fino al 2023, faccia pure. Ma se non cambia registro, siamo fritti.