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Barron Trump e i figli dei potenti che non hanno colpe

Usare la goffaggine di un bambino per togliere credibilità al padre è l’ultima trovata di un universo hollywoodiano lontano dalla gente e senza rispetto

Che male c’è ad avere 10 anni e non reggersi in piedi dalla stanchezza alle 3 di notte mentre al termine della campagna presidenziale che ha coinvolto tutta la famiglia tuo padre pronuncia il discorso della vita, il primo da presidente eletto degli Stati Uniti d’America? Che male c’è a sbadigliare, stralunare gli occhi, scuotersi di scatto per un applauso, infine sbuffare di sollievo quando il discorso di papà finisce? Che male c’è a sbagliare nel “dare il cinque” a tua madre e ritrovarti perciò su Twitter alla berlina della Rete come affetto da autismo (con disarmante retweet di Rosie O’Donnel, attrice, autrice tv e attivista per i diritti degli omosessuali, icona liberal del politicamente corretto)? Tutti i riflettori puntati su quel bambino in giacca e cravatta, Barron Trump, figlio di Donald e Melania Trump, che sembra non voler sorridere se non nelle foto in posa sulle copertine delle riviste glamour.

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Lui, Barron, “gode” delle attenzioni dei media, ma soprattutto dei social, in quanto figlio dell’impresentabile, quasi che i comportamenti del figlio minore potessero essere la spia di quelli del padre, e possano essere sfottuti dagli avversari che più facilmente riusciranno a caricaturare in miniatura, per via di discendenza, i tic e i limiti del padre odiato e potente.

Ma così, permettetemi, non va. I politicamente corretti dimostrano ancora una volta di avere paraocchi ideologici e totale insensibilità. È stupenda la foto rimasta nella storia del piccolo John John che esce gattoni da un vano della scrivania nello Studio Ovale. Edificante e, di più, provvidenziale per l’immagine del padre, John Fitzgerald Kennedy. I figli nelle stanze, nei corridoi, in cucina, nei giardini della White House rendono casa e ufficio dei presidenti più umani, ambienti familiari. Eppure, John John si portò appresso negli anni la difficoltà di vivere all’ombra del padre e della sua memoria: finché fu il “cucciolo della Casa Bianca” si rivelò un formidabile portatore di messaggi positivi dal Presidente al suo popolo. Commovente pure la scena di lui ancora piccolo che poggia la mano sul feretro del padre JFK ucciso a Dallas.

Chelsea Clinton, pure lei dovette subire da figlia di Bill e Hillary le ironie del pubblico e della stampa in anni (1992) in cui non esistevano ancora i social con la loro forza d’urto spesso distruttiva su costumi, linguaggio e sentimenti. Chelsea aveva l’apparecchio ai denti, di lei si disse che era il “cane della White House”. Ma non subì l’affronto dei video viralizzati sul web a sottolinearne le stranezze, semplicemente perché non esisteva la Rete.

Katie Rich, autrice del Saturday Night Live, ha twittato che Barron diventerà “the first homeschool shooter”, come uno di quei giovani sballati e violenti che all’improvviso fanno strage a scuola. Un pluriomicida. Un altro autore Tv, Matt Oswalt, immagina Barron che si aggira all’interno della Casa Bianca in cerca di “cose da bruciare”. Una vena di inquietante follia insinuata nelle parole della scrittrice Caitlin Moran per la quale  le espressioni di Barron sono “al 100 per cento Joffrey”, dal nome del Re di Game of Thrones.

Le ironie più crudeli sono sui social, e non pongono freni alla pubblicazione di commenti di pessimo gusto. Certo è che il piccolo Trump deve abituarsi ai riflettori, alle ore piccole, al padre debordante, e poi anche essere vittima di voyerismo, invidia sociale, pregiudizio politico e, sì, cattiveria liberal.

È Chelsea a difenderlo: “Barron merita di essere bambino proprio come gli altri bambini”. Chelsea amica di Ivanka, altra figlia di Trump. La barbarie della gogna irridente dei social verso Barron è che le “colpe” dei figli qui sembrano ricadere sui padri e non viceversa. Così, usare la stanchezza di un ragazzino, i suoi sbadigli, la sua goffaggine, per togliere credibilità al padre o attaccarlo, è solo l’ultima trovata di un universo hollywoodiano che vive in un cielo costellato di star ma lontano dalla gente. Rispettare il bambino che è Barron è davvero così difficile? È davvero così difficile accettare il gioco della democrazia che ha fatto vincere l’Impresentabile?

Alcuni dei Tweet e meme subiti da Barron Trump
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Alcuni dei Tweet e meme subiti da Barron Trump

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Marco Ventura

Inviato di guerra e cronista parlamentare de Il Giornale, poi  collaboratore de La Stampa, Epoca, Il Secolo XIX, Radio Radicale, Mediaset e La7, responsabile di uffici stampa istituzionali e autore di  una decina fra saggi e romanzi. L’ultimo  "Hina, questa è la mia vita".  Da "Il Campione e il Bandito" è stata tratta la miniserie con Beppe Fiorello per la Rai vincitrice dell’Oscar Tv 2010 per la migliore  fiction televisiva. Ora è autore di "Virus", trasmissione di Rai 2

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