di Rocco Bellantone per Lookout news
Probabilmente ormai solo il segretario generale dell’ONU Ban Ki Moon e il suo inviato speciale in Libia Bernardino Leon credono che si possa venire fuori dalla crisi libica con una soluzione politica capace di mettere tutti d’accordo. L’ennesima dimostrazione della debolezza della strategia su cui continuano a puntare le Nazioni Uniti è arrivata da Tripoli ieri, martedì 28 aprile 2015, a nemmeno 24 ore dal piano presentato da Leon che prevedeva la creazione di un nuovo organo, il Consiglio Presidenziale, composto da un triumvirato formato dal primo ministro e da due vice-premier e rappresentato esclusivamente dalla Camera dei Rappresentanti di Tobruk.
La risposta arrivata dal parlamento tripolino, espressione del governo islamista guidato dal premier Khalifa Mohamed Ghwail, è stata infatti negativa. In una conferenza stampa trasmessa sulle reti televisive libiche, il portavoce del Congresso Generale Nazionale, Omar Hemidan, ha dichiarato che il parlamento di Tripoli respinge completamente e all’unanimità la bozza di accordo politico per la Libia avanzata da Leon.
A Leon le milizie dell’Operazione Dignità chiedono la revoca dell’embargo sulle armi
D’altronde era difficile aspettarsi una reazione diversa, considerato che la bozza elaborata da Leon salva solo il parlamento di Tobruk, vale a dire quell’istituzione contro cui le milizie islamiste fedeli al Congresso di Tripoli combattono da ormai un anno.
A sostenere la posizione del Congresso Generale Nazionale sono stati anche i Fratelli Musulmani libici del partito Giustizia e Costruzione, i quali denunciano il fatto che l’ONU non può ignorare la sentenza della Corte suprema libica che il 6 novembre aveva invalidato l’elezione del parlamento di Tobruk.
La doppia beffa per l’ONU si è consumata poche ore dopo questo annuncio. Libya Herald scrive infatti che a respingere il pacchetto Leon sono stati anche i rappresentanti dell’Operazione Dignità, la campagna antiterrorismo avviata in Cirenaica contro le milizie islamiste nel maggio dello scorso anno dal generale Khalifa Haftar, nominato nel frattempo capo delle forze armate libiche.
A nome dell’Operazione Dignità hanno parlato i rappresentanti di due delle milizie alleate di Haftar, Wanis Bukhamada, capo delle forze speciali Saiqa, e Jamal Al-Zahawi, responsabile della Brigata 21. Perentorio il loro messaggio: il processo negoziale delle Nazioni Unite può dichiararsi concluso e il “solo dialogo che può esserci con Bengasi è quello delle armi”.
L’unico invito che le milizie dell’Operazione Dignità hanno rivolto a Leon è piuttosto quello di fare pressione sul Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite affinché venga revocato l’embargo sulle armi imposto alla Libia. Quello delle armi, per l’appunto, è l’unico linguaggio compreso ormai dal popolo libico di fronte a una guerra civile che va avanti ininterrottamente dalla caduta di Gheddafi nel 2011. Peccato che Ban Ki Moon, nonostante la recente visita ravvicinata nel Canale di Sicilia rivelatasi buona solo per i flash dei fotografi e per le telecamere, non se ne sia ancora reso conto.