Nella storia recente della magistratura hanno fatto discutere, e non poco, le linee guida diramate dall’ex procuratore generale della Cassazione Giovanni Salvi. Stabilivano, subito dopo la divulgazione delle chat in cui decine di toghe chiedevano sostegno al ras delle nomine Luca Palamara, che l’autopromozione dei magistrati era un peccatuccio veniale su cui si poteva chiudere un occhio. Ma allora si parlava di perorazioni presso i consiglieri del Csm. Adesso la Quinta commissione del Csm ha stabilito che, esaminando il caso del procuratore aggiunto di Roma Lucia Lotti, pure «l’autopromozione» presso un politico, «per quanto inopportuna, non inficia le qualità professionali, personali e organizzative vantate» da un candidato. La delibera che ha confermato al suo posto la Lotti risale all’autunno del 2023 e verrà votata al Plenum del Csm soltanto oggi. È rimasta incagliata per mesi perché le correnti progressiste vicine alla Lotti (anche se la stessa ha rivendicato: «Mai iscritta a Magistratura democratica») non erano stati altrettanto garantiste con magistrati conservatori e così le varie pratiche di conferma degli incarichi hanno iniziato a marciare insieme.

A rallentare la pratica, che avrebbe dovuto essere approvata nel 2020, sono state, soprattutto, le accuse di corruzione che il faccendiere ed ex avvocato Piero Amara ha mosso contro la Lotti. Anche se la Procura di Catania ha chiesto per due volte l’archiviazione della toga. Resta, però, in piedi un episodio senza risvolti penali, ma sicuramente imbarazzante. L’ex presidente della Quinta commissione Maria Luisa Mazzola, della corrente moderata di Magistratura indipendente, all’inizio dell’audizione della Lotti aveva riassunto: «Il motivo per cui questa conferma si è incagliata è perché, a seguito delle dichiarazioni rese da Amara […] è emerso che la dottoressa Lotti si sarebbe rivolta allo stesso Amara per avere l’appoggio di Cuffaro (Salvatore, ex governatore della Regione Sicilia, condannato per concorso esterno in associazione mafiosa, ndr) e dell’avvocato Romano (l’ex ministro Saverio, ndr) per l’incarico di procuratore di Gela». Della commissione che ha giudicato fuori tempo massimo la Lotti (nel 2024 scadevano gli ultimi quattro anni del suo incarico da aggiunto) facevano parte anche i laici di Fratelli d’Italia Daniela Bianchini e di Italia viva Ernesto Carbone (estensore della delibera in votazione oggi), il togato indipendente Andrea Mirenda e quelli di Area (Antonello Cosentino) e di Unicost (Roberto D’Auria). Sarà che la Lotti sta per lasciare la poltrona e tra due anni andrà in pensione, ma con lei i consiglieri si sono dimostrati particolarmente garantisti. E hanno esteso il «lodo» Salvi sulle autopromozioni al mondo della politica senza fare troppo gli schizzinosi. Un’apertura che fa sorridere se si pensa alla guerra in corso tra maggioranza di governo e toghe, con richieste da parte di queste ultime di apertura di pratiche a propria tutela da parte dello stesso Csm. Dalla separazione delle carriere alla gestione dell’immigrazione clandestina è guerra aperta su tutto. Ma la delibera di cui sopra racconta un clima molto diverso e, anche le giustificazioni della stessa Lotti in commissione, quando serve ai magistrati i due poteri non sono poi così separati.

Nel 2019 Amara aveva rivelato ai pm milanesi che tramite un comune amico avvocato, il docente di diritto penale Angelo Mangione, la Lotti gli avrebbe chiesto di perorare la propria causa presso il laico dell’Udc Ugo Bergamo, consigliere che, secondo la Lotti, non era favorevole alla sua nomina a Gela. «Allora io incontrai Saverio Romano, che poteva avere accesso a Bergamo in quanto era un esponente importante dell’Udc nazionale» spiegò Amara. Come sia andata la faccenda l’ha spiegato ai pm lo stesso ex ministro delle Politiche agricole del governo Berlusconi: «Mi incontrai con Amara e la Lotti, lei mi raccontò del suo curriculum e mi disse che aveva sentito che Bergamo aveva manifestato delle perplessità alla sua nomina. lo le dissi che potevo benissimo parlare con Bergamo che conoscevo bene e che gli avrei fatto sapere». L’ex ministro rivelò anche di aver contatto il consigliere e che «lui negò di aver manifestato perplessità sulla nomina della Lotti», tanto che la votò. Romano, a questo punto, trasferì «l’informazione ad Amara e la vicenda si chiuse così». Anche l’avvocato Mangione, dopo aver ammesso di aver avuto con la Lotti «rapporti cordiali e di reciproca stima», ha confermato il racconto di Amara. Il verbale del professore è stato letto anche in Quinta commissione e ha fatto esclamare alla Lotti: «Non è vero». Questo il racconto del docente: «La dottoressa Lotti mi chiese di incontrare l’avvocato Amara, ma non mi disse per quale motivo voleva incontrarlo e nemmeno io misi in relazione la richiesta dell’appuntamento con l’avvocato Amara con la sua aspirazione a divenire procuratore di Gela». Bergamo, invece, si è limitato a un racconto più sfumato: «Non posso escludere che Saverio Romano in un’occasione estemporanea mi abbia chiesto qualcosa su qualche candidato, ma francamente non ho alcun ricordo sul punto». La Lotti, al Csm, ha spiegato che l’idea di rivolgersi a Romano non sarebbe stata sua, ma dell’amico Mangione, con cui si sarebbe confrontata a proposito della sua decisione di candidarsi a procuratore di Gela: «Gli dico: “Sto vedendo che più che un’ostilità c’è una incredulità”. È lì che, sostanzialmente, nasce l’idea. Dice: «Guarda, c’è Saverio Romano che sta in Commissione giustizia, si occupa tra l’altro di queste cose e in questo momento stanno trattando della questione…”». Il racconto prosegue: «Mi dice: “Presentati, fai capire che sei una persona reale”. Credo che all’epoca nemmeno Saverio Romano (al pari di Amara, ndr) fosse minimamente né indagato né altro […]. Mi dice: “Ci parli”. Dico: “Va bene”. Lì per lì non ho ritenuto di fare niente di clamorosamente errato».

E, quanto al ruolo di Amara, ha aggiunto: «Quando poi ho incontrato Saverio Romano, l’ho trovato lì». In sostanza l’ex legale non avrebbe avuto nessun ruolo da facilitatore di quell’appuntamento. E i commissari sembrano credere alla versione della donna, ipotizzando che il faccendiere abbia «appreso aliunde del desiderio della Lotti di incontrare il parlamentare» e «si sia attivato di sua iniziativa anche al fine di accreditarsi agli occhi di un magistrato che avrebbe gestito procedimenti nei quali egli aveva significativi interessi». Ma se la Lotti si preoccupa di separare se stessa da Amara, il consigliere Mirenda è interessato a sapere perché la collega per autopromuoversi si sia rivolta a un politico. E qui la risposta si fa particolarmente interessante e certifica come i parlamentari, anche di destra (e quelli erano i tempi di Berlusconi), quando possono essere utili a far carriera, non sono più così infrequentabili: «Indubbiamente Romano era un esponente politico, su questo non c’è dubbio» concede una Lucia Lotti che sembra fare il verso al Massimo Catalano di Quelli della notte. «In via generalissima, non specifica, non posso escludere che si facciano delle valutazioni, dei ragionamenti, si prenda in considerazione la globalità delle domande, anche in ambito politico, perché poi ci sono rappresentanze che, nell’ambito del Csm, derivano dal mondo politico, non devo certo dirlo io… volevo rappresentare il fatto che esisteva questa domanda, che io esistevo, che avevo semplicemente questa aspettativa» si accalora il magistrato. L’unico che prova a insistere, dopo di fronte a una testimonianza così toccante, è lo stesso Mirenda: «Lei auspicava che di questa conversazione se ne facesse menzione con chi poteva analizzare la sua domanda…». La Lotti non dismette i panni della piccola fiammiferaia: «Questa non era questione che poteva essere da me considerata in quel contesto. Dico: “io esisto, ci sono, esiste questa vacanza alla Procura di Gela” e basta». Mirenda non è soddisfatto: «Dice: “Ci sono, esisto” ad uno che non è chiamato ad esaminare la sua domanda». La Lotti spiega al collega un po’ troppo ingenuo come vada il mondo: «Sì, ma fa parte di un meccanismo, che poi ha indubbiamente un riverbero in termini di rappresentanza. I membri laici del Csm sono eletti dal Parlamento. Credo che questo rientra nella fisiologia istituzionale. Ripeto, sicuramente oggi non rifarei questo passaggio…». Un pentimento confermato in un’altra risposta: «Ripeto, non è un qualcosa che rifarei in questo momento, è assolutamente evidente […]. Siamo nel lontano 2007. Io dico: “Questo è. Vedete un po’, valutate”. È un qualcosa che non rifarei, ma che è finita lì». Anche Mirenda si convince: «Apprezzo molto che lei abbia detto che non lo rifarebbe… erano anni diversi».

La Lotti, forse presa dall’entusiasmo, rinnega ogni simpatia correntizia: «Io non ho mai fatto vita associativa, mai niente del genere; non sono mai stata a una riunione, forse a un congresso dell’Anm una volta. Ho sempre e solo lavorato, tanto che la mia nomina poi alla fine fu in qualche modo molto trasversale». Non sappiamo se in commissione sia scattata la standing ovation, di certo l’appuntamento con il politico è passato in cavalleria. Per tre motivi: perché la Lotti non ha negato «la circostanza nella sua oggettività materiale», perché ha evidenziato «che si trattava di una condotta di cui si era pentita» e perché «ha chiarito che l’idea dell’incontro con il parlamentare era nata in occasione di una conversazione con il professor Mangione». Insomma, non era farina del suo sacco. Secondo la commissione, inoltre, la Lotti «spiegava con argomentazioni ragionevoli, plausibili e coerenti che aveva agito al solo fine di sensibilizzare la componente laica del Csm e, in particolare, un certo settore politico, in ordine alla sua domanda di tramutamento» e «le condotte» da lei tenute seppur «idonee a integrare un’attività di cosiddetta autopromozione», bollata come «inopportuna», non inficiano «le qualità professionali, personali e organizzative dalla stessa vantate». Dunque, per il Csm «autopromuoversi» in Parlamento per «sensibilizzare un certo settore politico» non rappresenta un problema. Al massimo è una scelta «inopportuna». E così la Quinta commissione ha deliberato la conferma della Lotti, in considerazione della sua «sicura competenza» e delle sue «doti organizzative» che «hanno consentito di assicurare funzionalità ed efficienza all’ufficio». Oggi il Plenum dovrà mettere il visto su questa decisione.

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