20 anni fa il G8 di Genova, che non è servito a nulla
Nel luglio del 2001 le violenze, la devastazione, Carlo Giuliani, la Diaz. Che non hanno fermato la globalizzazione, anzi
La prima cosa che salta all'occhio, lampante come non mai, è che chi 20 anni fa a Genova manifestava contro la globalizzazione ha perso. Siamo infatti nel pieno di una pandemia, mondiale, a dimostrarci con una forza devastante come il mondo oggi sia uno ed unico. Per di più con tutte le differenze e le ingiustizie sociali contestate allora e sempre più evidenti. Insomma, un fallimento. Quelle migliaia di facinorosi che hanno devastato e saccheggiato non sono riusciti a creare un'idea, a formare un leader, nemmeno una Greta Thunberg qualsiasi.
Ma a vent'anni da quei giorni assurdi, violenti, illegali, indimenticabili è inevitabile affidarsi ai ricordi. Ognuno ovviamente metterà l'accento sulla cosa che più lo ha segnato, ognuno cercherà di tirare l'acqua dalla propria parte come in ogni guerra, perché guerra è stata. Una tre giorni di violenza che in Italia non si vedeva da decenni e che forse non si rivedrà più. Una città, Genova, devastata, trasformata in campo di battaglia con la Zona Rossa da conquistare a tutti i costi o da proteggere a tutti i costi, come se fosse una caccia al tesoro dell'Oratorio feriale. E per molti di gioco si trattava.
Basti pensare ai ragazzi dei centro sociali di Milano, tra i più agguerriti, partiti il mercoledì in treno dalla Stazione Garibaldi alle 18 ed arrivati dopo mille peripezie, cambi di tragitto, stop improvvisi, a Genova alle 4 del mattino alla Stazione di Porta Principe. Sulle carrozze scene da gita scolastica: carte, chitarre, canne, carezze. Non sapevano cosa li aspettava (chi li guidava e li incitava invece si), non sapevano uscendo assonnati da quella stazione che non sarebbero mai più stati così vicini a quella Zona Rossa. Nemmeno la guardarono, data la stanchezza e la voglia di andare a dormire nella tendopoli dello stadio Carlini. Il giovedì passò con la gente al mare ed una prima manifestazione, pacifica, minuscola. Ma il venerdì all'alba tutto cambiò.
Attorno alla cancellata una lunga doppia fila di container posizionati nella notte trasformò le via ed i carruggi in qualcosa di mai visto. Poche ore dopo il primo contatto con i Black Block, visti assaltare un benzinaio alle 9 del mattino alla caccia della benzina per le molotov e dei cubetti di porfido da usare avremmo capito poco dopo per cosa.
Alle 11 il primo botto, da quel momento un susseguirsi sempre più violento di azioni: auto distrutte, vetrine spaccate, banche assaltate, cassonetti dati alle fiamme; e le prime risposte di Polizia e Carabinieri. Il resto è storia; fino alle 17 chi era in strada non poteva non piangere. I lacrimogeni venivano scaricati dai furgoni e sparati in aria decine alla volta. Dall'altra parte pietre, bottiglie, sassi bastoni. La cariche erano una dopo l'altra. I decibel insopportabili. Fino allo sparo in Piazza Alimonda, un rumore diverso, nuovo da tutti gli altri, che tutto fermò lasciando sulla strada, morto, Carlo Giuliani. Unica vittima (ed è un miracolo) di quei giorni. Vittima, sia chiaro, non martire come alcuni vorrebbero raccontare oggi come allora.
Il silenzio di quella sera e di quella notte fu surreale ma non impedì il ripetersi degli scontri il pomeriggio successivo, fino alla Scuola Diaz, una delle macchie più profonde e forse indelebili dello Stato.
Sono passati vent'anni. I ragazzi di allora sono oggi adulti, gli adulti di allora sono anziani, preoccupati più dal Covid che da altro. Tutti ad affrontare un'unica domanda: a cosa sono serviti quei giorni? Scoprendo che la risposta: nulla, semplicemente nulla.