A Giugliano in Campania i rom si sono insediati in un’ampia area privata, devastandola fino al disastro ambientale. E a questo, oggi si aggiunge un paradosso: il Comune chiede ai proprietari dei terreni di demolire la bidonville e bonificare tutto a proprie spese.
Chi teme una società governata da insensibili e ottusi algoritmi dovrebbe farsi un giro dalle parti di Giugliano in Campania, a 20 chilometri da Napoli, dove la burocrazia degli uomini ha kafkianamente dato il peggio di sé. Anno 2019: un gruppo di rom si insedia nella località di Caffariello e costruisce una baraccopoli di una decina di casupole. Non preoccupandosi alcuno di sgomberarle, con il tempo le casette di lamiera si moltiplicano e arrivano a coprire un’estensione pari quasi a dieci ettari, l’equivalente di circa 14 campi da calcio. E, di pari passo, cresce la popolazione residente tra cui donne, anziani e bambini. I proprietari dei terreni occupati vedono anni di sforzi, investimenti e impegno bruciati con la stessa rapidità con cui gli occupanti sciolgono in enormi vasche da bagno i cavi di rame rubati avvelenando l’aria con alte colonne di fumo color pece. Le masserie vengono saccheggiate, le pinete abbattute, i frutteti e i campi coltivati devastati. Uno scenario di guerra cui nessuno riesce a opporsi. A poca distanza dall’insediamento i nomadi allestiscono «officine illegali» dove smontano auto ed elettrodomestici trafugati per rivenderne i pezzi pregiati per qualche decinadi euro. Un mercato illecito che dura tuttora.
Anno 2024: il Comune (a guida Pd) ha la brillante idea di scaricare le responsabilità del disastro ambientale e umanitario della «favela» di Caffariello su chi responsabilità proprio non può averne. Così intima ai proprietari dei terreni di provvedere alla demolizione della bidonville e di bonificare a proprie spese la maxi discarica sotto la minaccia dell’esproprio delle aree. Per il sindaco dem, Nicola Pirozzi, i colpevoli non sono i nomadi, che hanno invaso i campi fertili di quel che fu la Campania felix per trasformarli in una cloaca, ma i titolari degli appezzamenti che hanno subìto l’aggressione e che sono impossibilitati pure a reagire. È stato necessario l’intervento urgente del Tar Campania per sospendere (per ora) l’offensiva dell’Amministrazione municipale ma la battaglia giudiziaria è ancora lunga. La prossima udienza è fissata a novembre 2024, quando i giudici del Tribunale dovranno entrare nel merito delle contestazioni. A occuparsi del caso c’è un intero team di legali (penalisti, civilisti e amministrativisti) composto dagli avvocati Andrea Faiello, Roberto Buonanno, Giovanni Basile, Carmine Farina e Giuseppe Caruso, e una équipe di consulenti tecnici. I professionisti dovranno convincere i giudici dell’insostenibilità della richiesta del Comune di Giugliano perché i loro assistiti sono vittime e non complici dei rom. Sembra addirittura superfluo specificarlo ma è così.
«Quando ho letto l’ordinanza comunale» spiega a Panorama uno dei proprietari, «ho strabuzzato gli occhi. Non solo sono stato sfrattato dalle mie proprietà, ora dovrei anche rimetterci soldi per pulire i danni di altri. È una follia. Il sindaco è comprensivo con noi a parole ma, nei fatti, non ha mosso un dito per venire incontro alle nostre esigenze. Qui c’erano ditte che producevano, che avevano contratti con grosse multinazionali dell’agroalimentare, che davano lavoro. Oggi ci sono i camper dei nomadi e spazzatura ovunque». Il nostro interlocutore trattiene a stento la rabbia. «Avrei dovuto stracciare quella raccomandata un secondo dopo averla aperta. Ci chiedono di bonificare il campo rom solo dopo che una bambina è morta fulminata perché ha toccato un filo scoperto di un allaccio abusivo. Sapete quanto costerebbe un’operazione del genere? L’ira di Dio. Nemmeno ho voluto fare un preventivo, non prendo proprio in considerazione l’ipotesi. Piuttosto mi incateno davanti al municipio e inizio lo sciopero della fame». Una stima ufficiosa dell’impegno finanziario però c’è. E fa rabbrividire: due milioni di euro per risistemare quel che i rom hanno guastato.
A Francesco Micillo, un altro degli sfortunati titolari, la baraccopoli è costata una fortuna. «La mia azienda è stata distrutta, i capannoni sventrati. È stato reso inservibile un impianto di irrigazione di 75 ettari che era un piccolo capolavoro di idraulica. I nomadi hanno abbattuto più di due chilometri di recinzioni. Dai locali si son portati via tutto: gli arredamenti, i servizi igienici, le porte blindate. Hanno rubato addirittura le pietre dei muri» denuncia a Panorama. Alberi e arbusti son diventati legna da ardere per scaldarsi durante l’inverno. Avvicinarsi all’insediamento è quasi impossibile, nonostante i pattugliamenti misti di polizia ed esercito voluti dal ministro dell’Interno Matteo Piantedosi all’interno della Terra dei fuochi. Ronde di agguerriti nomadi, bastoni in pugno, tengono lontani i curiosi. «In passato siamo andati vicini allo scontro» dice un altro imprenditore. «È difficile resistere alle loro provocazioni. Mi chiedo che Stato abbiamo. Di questo passo mi verrà il crepacuore». Piange la Campania (in)felix.