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Hamas in stile British

Hamas in stile British

In nome della «libertà di espressione» in Inghilterra autorità e polizia tollerano cortei violentemente antisionisti. Intanto Londra è diventata un rifugio per i terroristi, mentre le moschee raccolgono fondi per la «resistenza islamica».


Guanto di velluto nel Regno Unito per i seguaci di Hamas. Per il solo fatto di averlo denunciato, accusando la polizia di troppa tolleranza nei confronti nelle manifestazioni pro-Palestina, il ministro degli Interni Suella Braverman ci ha rimesso il posto. Eppure sembra che in Gran Bretagna ci sia odio e odio, e non tutti sono uguali. Gli episodi antisemiti si moltiplicano, ma i capi del terrorismo palestinese riescono a predicare il terrore e a vivere quasi indisturbati, nascosti tra i sudditi di Sua Maestà. E persino la Bbc si rifiuta di chiamarli «terroristi» nei servizi a loro dedicati. A un mese dal sanguinoso attacco a Israele, sono stati registrati nelle università britanniche 67 episodi di antisemitismo in 29 campus contro i 12 dello stesso periodo nell’anno. La violenza del conflitto israelo-palestinese si riverbera in una moltitudine di episodi di discriminazione razziale tra i giovani inglesi, come non era accaduto. Molti di questi avvengono sui social media, dove i nuovi iscritti ebrei vengono presi di mira con una violenza che li costringe a temere per la propria incolumità e a denunciare l’accaduto.

La polizia spesso avvia un’inchiesta, ma con risultati concreti poco rilevanti. E mai come in questo periodo i servizi segreti e le forze dell’ordine sono nel mirino, accusate di chiudere un occhio nei confronti delle tante organizzazioni che raccolgono fondi a favore degli estremisti islamici o di Hamas che operano liberamente in Inghilterra. Nel nome di una fraintesa libertà di espressione viene concesso loro di gioire per gli attacchi contro Israele o di negare l’Olocausto. Così Londra non solo è diventata la capitale del riciclaggio di denaro sporco, ma anche un rifugio sicuro per gli estremisti di mezzo mondo. Nelle moschee (circa 400 a Londra) si raccolgono fondi per la «resistenza islamica» senza che l’intelligence intervenga, mentre alcuni capi di Hamas vivono e lavorano indisturbati nel Paese.

È il caso di Abdul Wahid, leader del gruppo terroristico Hibbing Ut Tahrir, che dopo il pogrom di ottobre ha festeggiato l’attacco per le strade di Londra definendolo «un pugno nel naso a Israele». Il dato incredibile è che quest’uomo lavora da vent’anni come medico di famiglia nel servizio sanitario inglese usando il suo vero nome, dottor Wahid Asif Shaida. Nessuno sembra esserne stato al corrente e se lo sapevano, i servizi di sicurezza hanno lasciato correre. Quando insieme al suo gruppo è stato visto inneggiare alla jihad nel corso di una manifestazione di fronte alle ambasciate londinesi di Egitto e Turchia, invitando i musulmani a imbracciare le armi contro Israele, i suoi pazienti dell’ambulatorio di Harrow sono caduti dalle nuvole. Tutti ignoravano la sua doppia vita.

Eppure, dopo l’attacco di Hamas, Wahid non ha esitato a uscire allo scoperto dicendo alla folla: «La vittoria sta arrivando e ognuno deve scegliere da che parte stare. Voi da che parte starete?». Un altro membro del gruppo presente alla manifestazione – lo stesso gruppo che in Germania e in altri Stati è stato dichiarato fuorilegge – ha chiesto ai manifestanti quale fosse «la soluzione per liberare la gente in quel campo di concentramento che oggi è la Palestina». Tutto alla luce del sole, senza timori di venir fermati o arrestati. Quando l’allora ministro degli Interni Braverman aveva chiesto conto alle forze di sicurezza presenti sul posto del perché non avesse arrestato i due leader, il capo della polizia metropolitana Sir Mark Rowley ha risposto che non avevano commesso alcun crimine e il termine «jihad» può avere altri significati oltre a «guerra santa». Una risposta che gli agenti sono ormai abituati a usare per molti altri episodi, come ci fosse un’ordinanza non scritta ad andarci cauti. Come se il loro arresto potesse portare a episodi peggiori di intolleranza, magari dalla parte opposta.

Nella società inglese, che si professa multiculturale e tollerante, le tensioni sotterranee sono divenute così forti che una frase sbagliata può provocare una catastrofe. Così, il giorno dopo la protesta davanti alle ambasciate, Wahid se n’è tornato al lavoro, nel suo ambulatorio pubblico di Wellbeck Road, a Harrow, a pochi passi dalla sua casa da 850 mila sterline dove abita con la famiglia dal 2002. I reporters del Daily Mail l’hanno rintracciato, rivelando che è il leader del gruppo terroristico da almeno 17 anni. L’uomo ha studiato a Londra ed è diventato medico nel 1991. Prima aveva frequentato la scuola secondaria privata di Northwood, da cui è uscito anche il comico Michael McIntire. Per accedervi bisogna superare un test di ammissione e pagare una retta di 25 mila sterline annue. Incalzato dai giornalisti del tabloid, Shaida ha ammesso di essere noto anche come Abdul Wahid ma ha negato che il gruppo sia radicalizzato. «Si fa sempre molta confusione sul significato di questo termine che viene utilizzato sempre in modo negativo» ha risposto diplomaticamente. «Io svolgo la mia professione con diligenza cercando di fare sempre del mio meglio per tutti i miei pazienti e per ragioni professionali tengo ben distinte la mia vita lavorativa da quella politica». Sul sito web della clinica è indicato come medico anziano e spesso fa da mentore per i giovani dottori appena arrivati.

Da quando si è appreso della sua appartenenza al gruppo Hibbing ut-Tahrir alcuni pazienti hanno messo in discussione la sua capacità di curare senza pregiudizi i pazienti ebrei, le donne e i gay. Il General Medical Council, che avrebbe il potere di cancellarlo o sospenderlo dal registro dei medici, si è limitato a dichiarare in nota stampa di «non poter confermare se esiste un’inchiesta su un medico a meno che questi non sia stato sospeso». E per ora Wahid non lo è, dato che continua a praticare indisturbato.

Il suo rappresenta certamente un caso limite, ma non è l’unico in una realtà, quella inglese, in cui gli episodi di odio antisemita e la titubanza delle autorità nello stigmatizzarli preoccupano sempre di più. «Uno dei test per valutare la salute di una società è vedere come tratta gli ebrei» spiega il Commissario per l’anti-estremismo Robin Simcox. «E secondo questo criterio, quella del Regno Unito risulta essere una società profondamente malata. Dal giorno in cui Israele ha risposto all’attacco di Hamas, migliaia di cittadini inglesi hanno fatto sentire la propria voce sia online sia scendendo in piazza, a favore della resistenza palestinese. Così facendo hanno manipolato uno dei valori di cui andiamo più fieri, la libertà d’espressione, per promuovere l’odio antisemita. Questo dovrebbe suonare come un segnale d’allarme per tutte le persone perbene che vivono in questo Paese». Ma, appunto, c’è odio e odio.

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