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Pompei, la bellezza del vuoto

Pompei, la bellezza del vuoto

La città sepolta dal Vesuvio nel 79 d.C., una delle testimonianze antiche più importanti al mondo, è stata fotografata senza visitatori, nel periodo pandemico. Immagini che evocano un passato straordinario e struggente. Ora «custodite» dentro un libro.


Impossibile non immaginare che le stanze, i peristili, i sacelli, le popinae cioè le osterie, si riempiano all’improvviso di persone. Chiudi gli occhi, li riapri ed ecco la vita che brulica nell’antica e prosperosa città, così come accadeva fino al 24 agosto del 79 dopo Cristo, quando una spaventosa eruzione del Vesuvio – vulcano che nessuno pensava fosse ancora attivo – seppellì Pompei sotto la lava e le ceneri. Nella catastrofe morirono migliaia di persone, tra cui Plinio il Vecchio, ucciso dalle esalazioni tossiche nella vicina Stabia, mentre portava soccorso alle vittime con le galee: era alla guida della flotta romana stanziata a Capo Miseno.

Viene in mente anche il filosofo, naturalista e comandante militare comasco, il cui eroismo ci è stato tramandato dal nipote Plinio il Giovane, se ci si aggira nel sito archeologico campano, il più visitato dell’antichità classica. Viaggio che si può fare rimanendo a casa, attraverso le pagine del volume d’arte (uscito per 5 Continents Editions) Interno pompeiano, con 274 fotografie di Luigi Spina, autore specializzato nella documentazione dei Beni culturali, qui trasformato nel cronista artistico del Grande Progetto Pompei. Spina, nato nel 1966 a Santa Maria Capua Vetere, calpestava fin da ragazzino le strade di Pompei, intrufolandosi tra la marea di turisti increduli davanti a tanta bellezza. «Ero già allora appassionato di fotografia e realizzai un piccolo reportage dal sito. Con mia sorpresa venne pubblicato da Reflex, rivista di amatori» ricorda. «Cominciò così il mio rapporto ininterrotto con la città riportata alla luce grazie agli scavi partiti da fine Settecento, anche quella una storia da raccontare. Ma il libro è nato da una seconda catastrofe: la pandemia, che fermò il mondo nel 2020. A Pompei non c’era un’anima, solo silenzio, case orfane di vita con il fascino misterioso donato dallo scorrere dei secoli e dal fatto che per lunghissimo tempo erano rimaste sepolte, escluse da ogni sguardo».

Spina, in accordo con l’allora direttore del Parco archeologico, Massimo Osanna, poi con il direttore attuale Gabriel Zuchtriegel, si è messo a riprendere gli interni (quasi 1.500 gli scatti realizzati tra cui scegliere) armato di umile pazienza. Con uno strumento d’eccezione, che gli ha permesso di operare con il solo ausilio della luce naturale: una Hasselblad H6D-100c, gioiello dalle ottiche particolari e dal costo sostenuto, prestata dalla casa produttrice. La sospensione dovuta al Covid, il vuoto, i dipinti, i colori, i capitelli, le figure mitologiche, la sontuosità di certi ambienti restituiscono come non è mai accaduto (Pompei attrae fotografi fin da quando la «scrittura con la luce» era arte giovane, che avrebbe dovuto rendere superflua la pittura) la vita quotidiana perduta di una città romana. Ogni dimora è unica; racconta, nel silenzio, talvolta sotto cieli gentili che Spina accoglie nelle immagini, storie diverse: di affari, d’amore, di potere, di ceti sociali emergenti, di capricci e peccati. Comunità tra otium e negotium, per dirla alla latina.

Le immagini, di forte seduzione visiva, aiutano a capire quanto un simile patrimonio meriti di essere curato e conservato al meglio. Sottolinea il direttore Zuchtriegel: «Molti dei luoghi fotografati sono stati chiusi a lungo, per essere riaperti dopo gli interventi di messa in sicurezza, manutenzione e restauro eseguiti durante il Grande Progetto Pompei. Altri sono ancora oggetto di progettazione e intervento, o entrati in un ciclo di manutenzione che prevede l’apertura a rotazione di un numero sempre maggiore di edifici». Un «work in progress» in apparente contrasto con la quiete di interni vuoti di presenze umane. Il risultato – ma questo ritaglio di un mondo perduto non sarà mai definitivo: gli scavi regaleranno ancora sorprese, insegnamenti, incanti, riflessioni – deve essere ascritto alle buone, anzi ottime, cose che l’Italia sa fare quando vuole. Ha scritto Francesco Maria Colombo sul Sole 24 Ore, recensendo il corposo tomo Storia universale delle rovine scritto da Alain Schnapp: «La rovina è un viadotto che conduce non solo al passato, ma al futuro, quando ogni cosa sarà, di nuovo, rovina». Il «viadotto» Pompei è un vanto. L’avessero gli americani, chissà che volano economico, altro che i numeri di Disneyland, visto che una sola domus della città campana vale più (anche turisticamente) di un intero parco-divertimenti. Tutto si può migliorare, ma a Pompei siamo di fronte a un’operazione riuscita, di cui il volume in oggetto è testimonianza.

L’editore del libro ha da subito creduto nel lavoro di Luigi Spina. «Quando mi ha inviato le prime foto sul cellulare mi sono commosso» dice Eric Ghysels, belga nato in una famiglia di artisti e collezionisti, da 30 anni a Milano (ha due figli con la moglie milanese), dove ha fondato 5 Continents Editions quasi 22 anni fa. «Rivelano l’anima di quella sfortunata città, sono emozionanti, oggetti di meditazione. Diventeranno insostituibile catalogo visivo di Pompei, non sarà più possibile lavorare così a lungo nelle case senza la massa di visitatori. Sto definendo le edizioni straniere del volume, sarà tradotto nelle lingue più importanti. Lo dobbiamo ai pompeiani, in fondo siamo solo ambasciatori di quell’antico mondo». Ghysels, ormai più meneghino dei milanesi d’origine, sottolinea l’importanza di essere un editore privato, spinto dalla passione, senza aiuti pubblici o dalle banche, che negli anni ha pubblicato ben 950 titoli d’arte. «Quando dico che abbiamo sede a Milano, molti si meravigliano, invece è la città perfetta, ricca di fermenti, soprattutto privati, per ospitare un’impresa culturale come la mia».

Sfogliamo il volume, che oltre alle immagini ha testi dello stesso Spina, di Gabriel Zuchtriegel, Massimo Osanna, poi degli archeologi Carlo Rescigno e Giuseppe Scarpati. Apprenderemo dettagli di una storia urbana precedente ai romani: Pompei venne fondata dagli etruschi 700 anni prima della fine. Su quel reticolo di strade, progettate seguendo il cielo e le stelle, intervenne Roma, con la maestria delle opere idrauliche e civili. Ma il focus del volume sono le fotografie, su cui soffermarsi come davanti a quadri provenienti da epoche remote. «Pompei scorre, ancora oggi» scrive Spina. Le immagini – intrise dalla ricchezza di chi impreziosiva le abitazioni con oggetti si direbbe di design, dipinti con figure umane, animali e vegetali o riferimenti erotici espliciti, tempietti votivi per i Lari, marmi policromi, citazioni egizie o dalle Metamorfosi di Ovidio, pavimenti con marmi bianchi e neri quasi «optical» ante litteram – è come se uscissero da un altrove che sentiamo vicino, pur nella lontananza del tempo. Le case fotografate appartengono a otto delle nove regiones in cui è suddiviso il sito; le schede che le descrivono sono curate dell’archeologo Domenico Esposito. Pompei così si rivela e l’incanto ricuce il passato remoto all’oggi.

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