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Brasile – Africa, la nuova via della droga

Brasile – Africa, la nuova via della droga

Via mare, ma anche per aereo. Un maxi sequestro di droga al largo del Paese del Sudamerica conferma una rotta che passa attraverso Stati come Ghana, Costa d’Avorio, Angola, Namibia e Guinea Bissau, per arrivare successivamente in Europa. Ma è tutta la «mappa» del traffico internazionale che si sta aggiornando. I «cartelli» cercano strategie e opportunità per fare spazio a stupefacenti più redditizi. A partire dal fentanyl.


Un carico monstre di cocaina – ben 3,6 tonnellate – è stato intercettato e sequestrato lo scorso 19 settembre nelle acque a nord-est del Brasile (a 33 chilometri dalla capitale dello Stato del Pernambuco, Recife). Viaggiava a bordo di un peschereccio, il «Palmares 1», diretto verso le coste africane. Una conferma di quello che i rapporti antidroga europei denunciano da mesi: il Brasile è diventato il principale «hub» di transito della cocaina verso il Continente nero. Come riferisce l’ultima «Relazione annuale sulle droghe» del ministero dell’Interno italiano, oggi le spedizioni di cocaina dal Brasile rappresentano il 70 per cento del totale di quelle che arrivano in Africa. La droga non parte più solo da hub storici come Santos e Rio, ma soprattutto da porti più defilati: Suape nel Pernambuco, Sao Sebastião sul litorale di San Paolo, Vila do Conde nel Pará e Ilheus a Bahia. Ma l’allarme rosso dell’intelligence è focalizzato sul porto di Pecém, nello Stato del Ceará, a 40 chilometri da Fortaleza.

Pecém è infatti l’unica zona franca del Paese e garantisce sgravi fiscali importanti per chi esporta. Se a questo si aggiunge che il 30 per cento della proprietà è stata acquistata dal porto di Rotterdam, in Olanda, tradizionale punto di entrata della droga in Europa insieme alla belga Anversa, due città separate da appena 50 chilometri, si comprende che al di là degli ottimi business legali che il porto offre, la preoccupazione resta alta per quelli illegali. Anche perché l’unica zona franca per le importazioni in Brasile è quella di Manaus, diventata negli anni epicentro nella rotta amazzonica della cocaina come denunciato dall’ultimo rapporto dell’Undoc, l’Ufficio delle Nazioni Unite per il controllo della droga e la prevenzione del crimine di Vienna.

Di certo la scelta dell’Africa per i narcos brasiliani non è casuale e il principale gruppo criminale del Paese, il Primo comando della capitale (PCC), utilizza da tempo il continente nero come sua base criminale. Non a caso Gilberto Aparecido dos Santos, alias «Fuminho», il braccio destro del leader del Pcc, Marcos Willians Herbas Camacho (più noto come «Marcola»), dopo una latitanza di 21 anni è stato arrestato con due esponenti della mafia nigeriana in Mozambico nel 2020, dove si trovava di passaggio. Dal 2018 anni il narcotrafficante si era stabilito in Sudafrica per impostare nell’intero continente una rete logistica simile a quella che era già riuscito a creare nel porto di Santos.

La rotta atlantica è oggi cruciale e nazioni africane come Ghana, Costa d’Avorio, Angola, Namibia e Guinea Bissau, sono diventati snodi importanti per il trasporto via mare dal Brasile grazie anche all’aiuto della ’ndrangheta. Ad Abidjan ha infatti operato per molti anni il boss Bartolo Bruzzaniti, proprietario di varie pizzerie in Costa d’Avorio con soci libanesi già coinvolti in narcotraffico e riciclaggio. Latitante, Bruzzaniti è stato arrestato lo scorso luglio in Libano e apparteneva al clan di Africo (Reggio Calabria), lo stesso del broker della cocaina Rocco Morabito, bloccato in Brasile a João Pessoa nello Stato di Paraiba nel 2021 e di recente estradato in Italia. Nel 2018, le nostre autorità avevano scoperto che anche il boss della ’ndrangheta Giuseppe Romeo, alias «Maluferru», aveva interessi in Costa d’Avorio e l’operazione «Spaghetti connection» aveva rivelato che la cocaina lasciava il porto di Santos, passava per Abidjan e infine arrivava ad Anversa. Lo scorso marzo l’operazione «Hinterland» della polizia federale brasiliana ha smantellato una rete che ha inviato almeno 17 tonnellate di cocaina in Europa attraverso l’Africa dal porto di Itajaí, nello Stato meridionale di Santa Catarina, da cui tra l’altro era partito anche il peschereccio «Palmares 1».

Oltre alla rotta atlantica, la cocaina viene contrabbandata in Europa anche attraverso l’Africa occidentale e settentrionale, sfruttando le regioni poco controllate del Sahara e del Sahel. Recenti operazioni hanno permesso di scoprire autentiche «autostrade» della droga che tracciano rotte a doppio senso attraverso le quali si fa arrivare cocaina nel Vecchio continente e hashish, di produzione marocchina, in America latina. L’hashish si usa come merce di scambio a fronte di partite di cocaina. In particolare, si carica nel Sahara occidentale e si spedisce verso i porti marittimi del Brasile, della Guyana francese o del Suriname. Eppure l’hashish non sta inondando i mercati del Sudamerica, come ci si aspetterebbe. Gli esperti ignorano dove finisca e sospettano che venga gettata in mare. Il timore è che si stia verificando lo stesso fenomeno degli anni Ottanta quando le mafie dell’epoca, in particolare Cosa Nostra, all’improvviso fecero sparire ogni tipo di droga leggera per facilitare l’avvento dell’eroina sul mercato.

In un momento in cui i talebani hanno vietato la coltivazione dell’oppio in Afghanistan, si è creato un «vuoto» perfetto nel mercato che l’assai più redditizio fentanyl – l’oppiode sintetico oggi con una diffusione esplosiva – potrebbe riempire. L’hashish, dunque, pare diventare una moneta di scambio per garantire ai gruppi criminali brasiliani più spazio in questo nuovo traffico. Nel Paese, infatti, dallo scorso febbraio sono aumentati i sequestri di fentanyl e sono stati intercettati membri del cartello messicano di Sinaloa interessati a nuovi territori dove installare i loro laboratori, vista la pressione sullo Stato centroamericano della Dea, l’Agenzia antidroga statunitense. Oltre che dal mare, in Africa arrivano dal Brasile anche corrieri della droga per via aerea. Tra le rotte ritenute più critiche, quelle che collegano Fortaleza all’arcipelago di Capo Verde – dove opera da tempo il clan ’ndranghetista dei Mancuso – e quella verso l’Etiopia. In questo contesto, a settembre il Brasile di Lula ha annunciato nuove regole per la concessione di visti e permessi di soggiorno ai cittadini dei nove Stati di lingua portoghese. Oltre al Portogallo sono inclusi nel provvedimento Angola, Capo Verde, Guinea Bissau, Guinea Equatoriale, Mozambico, São Tomé e Principe, Timor est. L’autorizzazione verrà concessa subito a chi già si trova in Brasile «indipendentemente dalla condizione migratoria» con cui è entrato. Il rischio per il Paese è di finire come l’Ecuador, anch’esso nazione non produttrice di cocaina ma attualmente il più importante hub logistico al mondo per la cocaina. A Quito furono proprio i narcos, soprattutto albanesi, ad approfittare della Nuova Costituzione voluta nel 2008 dall’allora presidente Rafael Correa che creò lo status di «Cittadinanza universale», abolendo i visti d’ingresso. A 15 anni di distanza il risultato è un’ondata di violenza.

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