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Sileoni: «Siamo pronti alla sfida digitale nelle banche»

Sileoni: «Siamo pronti alla sfida digitale nelle banche»

Gli istituti italiani vivono la nuova, grande trasformazione. Apple, Amazon e Google sfidano i big del credito nel comparto Fintech. Ma il leader del principale sindacato del credito, Lando Maria Sileoni, guarda al futuro con realismo: «L’intelligenza artificiale è uno strumento per migliorare i servizi e il mare in tempesta su cui navigare e non travolgerà la categoria». Ovvero 280 mila lavoratori. Che aspettano il rinnovo del contratto nazionale.


Lo hanno appena rieletto, per il quarto mandato (record per l’organizzazione), con il 98,2 per cento delle preferenze. Un plebiscito bulgaro arrivato a 20 anni esatti dal suo ingresso nella segreteria nazionale della Fabi. Lando Maria Sileoni, che qualcuno, vista la fede giallorossa, ha recentemente ribattezzato «il Mourinho dei bancari», avrà anche il compito di traghettare la categoria nella transizione al digitale. La trasformazione delle banche è dietro l’angolo e il sindacato dovrà gestire il cambiamento, se non rivoluzione, di un settore che, per evitare di essere divorato dalle Fintech, deve attrezzarsi e sfidare la concorrenza di giganti come Google, Amazon, Apple. Un incarico impegnativo che il segretario generale della più rappresentativa e influente organizzazione sindacale del mondo bancario dovrà portare a termine assieme al negoziato per il rinnovo del contratto collettivo di lavoro.

Partiamo dal congresso, al quale hanno partecipato tutti gli amministratori delegati dei principali gruppi bancari. È soddisfatto dei risultati?

È stato un successo straordinario. La presenza dei banchieri è stata un fatto unico. Non era mai accaduto che a un congresso per l’elezione dei vertici di un sindacato partecipassero tutti i capi azienda. È un grande segno di attenzione nei nostri confronti, la conferma della centralità politica della Fabi. Ed è un elemento distintivo per chiunque lavora nell’organizzazione. Ci temono, ci rispettano.

Da alcuni anni vi occupate anche di argomenti non strettamente sindacali, come risparmio, mutui, educazione finanziaria. Perché questa scelta?

È una scelta politica meditata. Le banche rappresentano un punto nevralgico dell’economia: sono a cinghia di trasmissione tra finanza e mondo reale, imprese e famiglie. Le banche devono continuare a esercitare un ruolo sociale fondamentale e il sindacato deve fare la sua parte per stimolare che tutto ciò avvenga. Le nostre analisi, riprese centinaia di volte dalle televisioni nazionali, servono per dare attenzione ai problemi della clientela perché così tuteliamo anche i bancari. Il nostro obiettivo è lavorare con professionalità e cura, attraverso l’approfondimento e la ricerca, garantendo un servizio ai cittadini.

Lei frequenta molto la tv. Tentato dalla politica?

Me lo dicono da sempre. Ma abbiamo formato una squadra che dà grande soddisfazione con dirigenti di primo piano e con giovani che raccoglieranno il nostro testimone. Li voglio ringraziare tutti per il grande senso d’appartenenza e la professionalità, a tutela dei bancari, che garantiscono ogni giorno. Se fossero state fondate queste voci, non sarei al mio posto. È un mestiere faticoso, però ho la fortuna di poter rappresentare e tutelare centinaia di migliaia di lavoratrici e lavoratori che ogni giorno si danno da fare al servizio della collettività, del Paese. Si pensi al Covid: durante i lockdown, le filiali sono sempre state aperte. Non solo siamo servizio pubblico, ma siamo un presidio di legalità che andrebbe tutelato.

Però le filiali chiudono.

Tante, purtroppo. Negli ultimi 10 anni le banche ne hanno chiuse quasi 12mila: erano quasi 33 mila nel 2012, oggi sono poco meno di 21 mila.

Colpa del digitale…

Sono i tempi che cambiano così velocemente che il sindacato, se vuole veramente tutelare i lavoratori, deve dare risposte rapide e lungimiranti. Lasciare che le banche trasformino radicalmente la propria organizzazione del lavoro senza una profonda condivisione del sindacato metterebbe a repentaglio il futuro prossimo della categoria. Intuizioni e cambiamenti sono anche frutto delle iniziative dei vertici delle banche che devono confrontarsi con un settore, in Italia e in Europa, in rapido e profondo cambiamento. È chiaro che con un costo del lavoro delle banche diminuito nell’ultimo anno di 600 milioni, con gli utili che hanno raggiunto 25 miliardi di euro nel 2022 e saranno ancora maggiori quest’anno, abbiamo chiesto, per il nuovo contratto nazionale, ciò che ci spetta. Proveremo a rinnovarlo entro la fine dell’anno, partendo dall’amministratore delegato del primo gruppo bancario, Carlo Messina, che al nostro congresso ha dato ampia disponibilità ad accogliere le richieste economiche che avanziamo. Si parte da lì, come ho già detto all’inizio delle trattative in Abi il 19 luglio scorso.

Ma la posizione di Messina andrà bene a tutte le banche?

È una posizione di grande sensibilità e attenzione verso la categoria: sono certo che tutti gli altri amministratori delegati capiranno che quella di Messina, pronto a riconoscere recupero dell’inflazione e nuova redditività delle banche (queste sono le motivazioni politiche dei sindacati presentate nella piattaforma rivendicativa), non è una forzatura, ma la legittima posizione di chi rappresenta bene il primo gruppo bancario in Italia. E sono certo anche che, quando sarà il momento, tutti i banchieri dimostreranno la medesima apertura.

Il negoziato dovrà tener conto di cambiamenti nel settore, nuove esigenze della clientela e necessità organizzative frutto dell’innovazione tecnologica.

Partiamo dalla novità di Isybank: con la nuova banca digitale, Intesa fa da apripista con un canale dedicato a chi non va più in filiale. Se Orcel di Unicredit, Castagna di BancoBpm, Montani di Bper o Maioli di Credit Agricole faranno scelte analoghe, ci comporteremo, come sempre, allo stesso modo senza corsie preferenziali. Identico discorso se i gruppi faranno scelte diverse. Sono anni che Intesa guarda avanti, anticipando gli eventi dei cambiamenti organizzativi. Lo fa spesso rispettando le regole, talvolta, però, con qualche forzatura che poi abbiamo sempre sistemato. Mi rendo conto che il fattore tempo è importante sia per la prima banca del Paese sia per gli altri gruppi del settore, ma da noi saranno trattati tutti allo stesso modo. Le positive intuizioni, che garantiscono comunque piena occupazione, non vanno fermate, ma gestite.

Non è spaventato dall’intelligenza artificiale?

No. È il «blu profondo» dei bancari. La considero uno strumento che si aggiunge al lavoro delle persone e va sfruttato per dare servizi migliori. Non ci siamo mai fatti travolgere dal mare in tempesta: per noi i cambiamenti sono come un’onda da surfare.

Lei fa spesso riferimento al mare, inserendolo anche nei contesti di carattere sindacale. Perché?

Sono nato sul mare e in gioventù ho praticato sport acquatici a livello agonistico. È la mia dimensione naturale, per due motivi: il mare mi fa guardare avanti senza mai prendermi troppo sul serio e sa curare, in profondità, le mie ferite.

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