Complottista, convinto che l’atterraggio sulla Luna sia stato un bluff, determinato no-vax, ultra pacifista. Ha sicuramente tratti controcorrente l’erede della più famosa dinastia politica americana che, nel 2024, vuol sfidare un appannato Joe Biden. Eppure è gradito al 20 per cento dei democratici. E non soltanto a loro.
Fu suo zio a lanciare il programma spaziale Apollo, nel 1961, e dalla Casa Bianca annunciò che nel giro di un decennio l’Uomo sarebbe arrivato sulla Luna. Lui, invece, è convinto che le immagini di Neil Armstrong e di Edwin Aldrin, saltellanti nella polvere del Mare della Tranquillità, siano un clamoroso falso storico. Sempre suo zio, nel 1962, firmò la legge che avrebbe avviato la prima, grande campagna di vaccinazione americana contro la poliomielite. E lui, invece, oggi è un fervente no-vax pronto a giurare che certe vaccinazioni infantili siano la causa del diffondersi dell’autismo.
Del resto, quel suo famoso zio e poi anche suo padre sono stati entrambi uccisi, rispettivamente nel 1963 e nel 1968, quando era un bambino: così, ormai da decenni, lui si abbevera a ogni rivolo del più immaginifico complottismo e, da buon cospirazionista, di quei due terribili omicidi accusa esplicitamente la Cia. A 69 anni suonati, Robert Francis Kennedy jr è probabilmente il più originale candidato nella lunga storia delle elezioni presidenziali americane. Oddio, qualche giustificazione ce l’ha: terzo degli 11 figli di Bob Kennedy, RFK jr aveva solo 9 anni quando suo zio John Fitzgerald venne assassinato a Dallas; e ne aveva 14 quando poi la stessa sorte toccò al padre, a Los Angeles, la città dove aveva appena vinto le primarie e iniziato quella che pareva una trionfale corsa alla Casa Bianca.
L’ultimo dei Kennedy a entrare in politica si è candidato lo scorso 19 aprile alla presidenza degli Stati Uniti, ovviamente nel campo democratico dove la famiglia ha sempre militato, e ovviamente l’ha fatto in una convention a Boston, in Massachusetts, lo Stato dove i Kennedy si sono sempre fatti onore elettoralmente. Al momento, RFK jr è anche il primo e il più forte degli avversari «interni» di Joe Biden, l’ottantenne presidente uscente che a sorpresa ha annunciato la sua candidatura appena sei giorni dopo di lui, e i sondaggi lo accreditano di un 20 per cento dell’elettorato democratico, contro il 60 di Biden. Molto indietro è la terza pretendente, la scrittrice e attivista Lgbtq Marianne Williamson, ferma al 10 (il restante 10 per cento è incerto).
Non sono proiezioni che per ora impensieriscono troppo Biden sul fronte interno, ma l’anziano presidente è infragilito dall’evidente debolezza fisica, e appeso anche al filo delle sue gaffe, la cui frequenza diventa più imbarazzante di giorno in giorno. Biden dovrebbe essere preoccupato anche da un recente sondaggio di Newsweek, che rivela che tra il 20 e il 30 per cento dei suoi elettori vede con crescente favore proprio l’ultimo dei Kennedy. Con l’aggiunta che RFK jr appare il classico «cavallo pazzo», che potrebbe riservare sorprese. La sua stessa anomala collocazione ideologica, venata di idee che attingono a molte delle più profonde pulsioni della destra americana, potrebbe attrarre parte dell’elettorato repubblicano, già pronto a dividersi tra un Donald Trump in cerca di vendetta e il baldanzoso governatore della Florida, Ron DeSantis. RFK jr è in effetti uno strano animale politico, e più di qualcosa induce a credere che nei prossimi 18 mesi la sua voce esitante diverrà uno dei suoni più riconoscibili della colonna sonora elettorale.
Il giorno della sua candidatura a Boston, attorniato da centinaia di attivisti che inalberavano cartelli con la scritta «I’m a Kennedy democrat», RFK jr ha esposto la sua salvifica missione. «Noi» ha detto sgranando gli occhi azzurri «porremo fine alla fusione tra questo Stato corrotto e il potere delle grandi imprese, che minaccia d’imporre un nuovo feudalesimo al nostro Paese». Con toni apocalittici che in Italia non avrebbero sfigurato in un’assise grillina, RFK jr ha elencato i nemici da battere: al primo posto ha messo quanti vogliono «mercificare i nostri bambini e la maestà delle nostre montagne», assieme agli oscuri strateghi di Big Pharma che «continuano ad avvelenare i nostri figli e la nostra gente con medicine inutili e contaminanti chimici». Ha poi puntato il dito contro le corporation che si sono arricchite «sfruttando e svendendo le nostre ricchezze naturali». Infine se l’è presa con quanti negli ultimi anni «sono riusciti a spazzare via la classe media», e soprattutto con le élite militari, che «vorrebbero mantenerci in costante stato di guerra».
Sì, perché RFK jr è anche contro il Pentagono e contro l’industria degli armamenti. Il suo programma, intriso di ultrapacifismo, si abbevera a un’ideologia irenica che nell’era della massima aggressività cinese appare ingenua da sfociare nel masochismo. RFK jr vorrebbe porre fine a quello che definisce «il progetto imperiale americano» e incita al rientro a casa di tutti i soldati statunitensi in missione all’estero. «La nostra spesa per la difesa sfiora i mille miliardi di dollari e manteniamo 800 basi militari in tutto il globo», osserva scandalizzato. Per questo annuncia che, quando sarà alla Casa Bianca, avvierà «il disfacimento dell’impero»: s’impegnerà a «smettere di combattere» e porrà fine «a bombardamenti, operazioni segrete e colpi di Stato, e anche alle guerre per procura», come definisce la difesa dell’Ucraina.
Viene da domandarsi da dove possa essere uscito questo strano ultimo dei Kennedy. Una prima laurea in giurisprudenza ad Harvard e un’altra (come suo padre Bob) in Virginia, RFK jr ha iniziato a lavorare come assistente procuratore distrettuale di New York, ma poi s’è messo a fare l’avvocato ed è diventando il primo paladino del «popolo inquinato». È stato il legale del Natural resources defense council, un’organizzazione no-profit, e membro del consiglio d’amministrazione dell’Hudson Riverkeeper, l’organizzazione per la protezione del fiume che nella Grande Mela raggruppa i vip di area «politically correct». Come quasi tutti i Kennedy, RFK jr ha avuto la sua disavventura con la legge: nel 1985, a 31 anni, gli fu trovata eroina in un bagaglio aereo e fu condannato a due anni di servizi sociali. S’è sposato tre volte, l’ultima moglie è l’attrice Cheryl Hines, e ha avuto sei figli. Per decenni, nel solco familiare, ha votato e finanziato la sinistra del Partito democratico: alle primarie del 2008 appoggiò Hillary Clinton contro Barack Obama.
Dalla fine degli anni Novanta, però, è andato molto per la sua strada. S’è schierato contro tutti i vaccini, che considera responsabili di malattie croniche infantili. È così divenuto un precursore dei no-vax e ha fondato la Food allergy initiative, ente no profit che finanzia la ricerca sulle allergie alimentari. Nel 2005 ha dichiarato guerra ai vaccini al mercurio, convinto che causino l’autismo infantile, e ha trasformato in avversario personale Bill Gates, il filantropo finanziatore dell’immunizzazione di milioni di bimbi africani. Tra i dem americani è stato tra i pochi contrari ai vaccini anti-Covid. Lo scorso 22 novembre, 59° anniversario dell’omicidio di JFK, questo elemento aveva indotto ad accorrere a Dallas qualche centinaio di seguaci dell’estrema destra complottista di QAnon, convinti che RFK jr avrebbe lanciato da lì la sua sfida con il Partito repubblicano, come vice di Trump. Un candidato spiazzante, non c’è che dire.