Il paese è riuscito a contenere la pandemia e il nuovo primo ministro Fumio Kishida ora lancia un super pacchetto di stimoli per far ripartire l’economia. Soprattutto i settori più colpiti come il turismo e l’automotive. Ma restano i nodi di una popolazione troppo anziana e del primo debito pubblico al mondo.
La start-up giapponese Mira Robotics ha progettato un prototipo di robot pilotato da remoto, nome in codice Ugo, per assistere gli anziani soli in casa con le faccende domestiche. Tra le funzioni c’è anche un raggio di luce ultravioletta per eliminare virus e batteri dalle maniglie delle porte. La gestione della pandemia, con soluzioni meno eccentriche, è la più immediata delle grandi sfide che sta affrontando il Giappone e di cui il nuovo premier Fumio Kishida è chiamato a occuparsi. I risultati ottenuti finora dal Paese nel contenere il morbo sono incoraggianti. Dopo il picco di contagi dello scorso agosto, dopo le Olimpiadi prive di spettatori, il numero di nuovi casi giornalieri è crollato a poche decine al giorno persino nella popolosissima Tokyo. Merito di una campagna vaccinale serrata, che ha spinto il Giappone in testa per virtuosismo tra i Paesi del G7 con il 77 per cento di abitanti immunizzati, e di rigidi controlli alle frontiere.
Con una popolazione più che doppia rispetto all’Italia, è riuscito a limitare i decessi a un decimo dei nostri. Il virus però ha fatto soffrire l’economia, colpendo in particolare i primi due settori per fatturato del Paese, l’industria automobilistica e il turismo. Il danno per le case nipponiche è stimato a 1 trilione di yen, quasi 8 miliardi di euro: le grandi fabbriche di veicoli si sono dovute fermare a causa della mancanza di semiconduttori, importati soprattutto da Taiwan e Vietnam. A cui, non sorprendentemente, Tokyo ha fornito ben quattro milioni di dosi di vaccino a testa.
Come nel resto del mondo, il settore turistico è stato investito da uno tsunami virale: con gli spalti di Tokyo 2020 deserti, gli introiti portati dai turisti stranieri sono crollati dell’85 per cento. Per frenare la contrazione dell’economia, ancora in negativo nel terzo trimestre dell’anno, Kishida si è affrettato a promettere un succulento pacchetto annuale di aiuti da 55,7 trilioni di yen, 435 miliardi di euro, per «rassicurare il popolo giapponese e dargli speranza». E dare al suo partito Liberal-democratico una marcia in più alle elezioni della Camera dei consiglieri, la camera alta del Parlamento nipponico, nel 2022.
A ottobre, appena nominato, il premier ha già guidato la sua formazione alla vittoria nella contesa per la Camera dei rappresentanti, il Parlamento basso, promettendo un nuovo modello di capitalismo che garantisca una più equa redistribuzione della ricchezza. L’economia del Giappone, pur rimanendo la terza al mondo, si è lasciata i suoi anni ruggenti alle spalle da tre decenni, scivolando in una prolungata stagnazione. Accompagnata dalla crescita del debito pubblico, diventato un mostruoso Godzilla pari al 266 per cento del Pil, il valore più alto tra gli Stati sviluppati.
Shinzo Abe, di fatto predecessore e collega di partito di Kishida, nei suoi otto anni di premierato da poco conclusi ha provato a infondere nuova energia nell’economia nazionale con una serie di iniziative macroeconomiche note come Abenomics, che hanno però imposto un costo salato al cittadino medio.
«Sotto Abe le disuguaglianze sociali sono aumentate, specie tra i dipendenti con contratti regolari e quelli con contratti atipici: questi ultimi sono molto diffusi tra le lavoratrici, che hanno sofferto quindi più degli uomini durante la pandemia» dice Guido Alberto Casanova, research assistant and editorial assistant dell’Ispi, l’Istituto per gli studi di politica internazionale. «L’insicurezza economica è infatti una delle cause del basso tasso di natalità. Riguardo a ciò Kishida ha proposto in campagna elettorale di costituire un’agenzia che fornisca servizi per la prima età, ma l’avvio è già stato posticipato al 2023»
La sonnolenza economica del Giappone è strettamente interconnessa a un’altra problematica cruciale: l’invecchiamento della popolazione. Il volto del Sol Levante si è fatto rugoso: l’età media è di 48 anni, la più alta del mondo, e quasi un terzo della popolazione è over 65. L’età avanzata dei cittadini combinata con i bassi tassi di natalità ha portato dal 2007 a un calo demografico che ha ridotto la popolazione nazionale di oltre 2 milioni di persone. Avere meno cittadini e meno giovani significa poter contare su meno braccia e meno menti: la forza lavoro del Paese potrebbe ridursi di un quinto entro il 2040.
Tra le soluzioni che il governo prova a mettere in campo ci sono nuovi stimoli per l’immigrazione. A novembre è stata annunciata una legge che dovrebbe incoraggiare l’arrivo dall’estero di operai non specializzati in alcuni settori chiave dell’economia, in particolare da Vietnam e Cina. I cittadini del Dragone, vicino e rivale plurisecolare, con circa 400 mila persone costituiscono infatti la seconda comunità straniera del Giappone dopo quella coreana, insediata però da molti decenni.
Un elemento che tuttavia Tokyo non intende far usare come leva nella sua contesa con Pechino, come nota Andrea Dugo, analyst dell’Osservatorio globalizzazione: «Come il Giappone desidera contenere l’ascesa del potere cinese sul fronte esterno, così ne limita il potenziale divisivo entro le sue frontiere. Le comunità cinesi nel Paese, infatti, vengono integrate benissimo nel tessuto sociale nipponico, all’opposto di quelle enclave etniche profondamente connotate e inaccessibili che talvolta trovano spazio nelle nostre metropoli occidentali».
La Cina, dunque. Il gigante asiatico resta la grande sfida fuori casa per il Sol Levante: lo standard da superpotenza di Pechino e le velleità missilistiche del suo protetto nordcoreano rendono il governo nipponico sempre più determinato a scrollarsi definitivamente di dosso il tabù storico del riarmo. Il vincolo costituzionale, imposto all’indomani della Seconda guerra mondiale, che vieta la ricostituzione dell’esercito è già lettera morta: le Forze di autodifesa giapponesi sono un’entità militare di tutto rispetto, che ha partecipato a diverse missioni internazionali e possiede una base a Gibuti.
Kishida, già ministro della Difesa sotto Abe, si è detto possibilista riguardo all’ipotesi di far cadere anche l’altra restrizione che grava sulle forze armate: colpire bersagli ostili fuori dal territorio nazionale. Un’eventualità che non riguarda solo le rampe di lancio di Kim Jong-Un, ma anche la possibile invasione cinese di Taiwan o delle isole Senkaku. Questi ultimi sono un pugno di scogli disabitati, diventati ormai famosi per la loro importanza strategica, controllati dal Giappone ma rivendicati da Pechino sulla base di fumose ricostruzioni storiche. In ottica di contenimento dell’espansionismo cinese, oltre a mantenere ben saldi rapporti con gli Stati Uniti, Tokyo coltiva con interesse rinnovato la sua rete di relazioni internazionali, tra cui quelle con l’Italia. Che non passano solo per la passione reciproca per cucina e cultura, ma anche per più concrete collaborazioni in campo militare.
«Sul fronte securitario una notizia interessante è la potenziale interoperabilità delle forze aeree giapponesi con quelle italiane e degli altri stati operanti con modello F-35» segnala Giulio Pugliese, responsabile di ricerca presso l’Aia, l’Istituto affari internazionali. «Un “caccia” che può manovrare sia con la nostra “porta-elicotteri”, la Cavour, e dalle due cacciatorpediniere-portaelicotteri giapponesi. L’addestramento di piloti giapponesi in Italia si muove in quella direzione, anche se il teatro operativo potrebbe verosimilmente essere più nell’oceano Indiano che nel Pacifico». Kishida è stato chiaro nel suo programma di governo. Ha definito le misure contro la pandemia, il suo «nuovo» capitalismo e gli sforzi diplomatici e di sicurezza le tre direttrici per forgiare una nuova era per il Giappone. Sarà il tempo a svelare se questa sia la nuova energia che serve al Sol Levante per evitare che la sua luce diventi sempre più fioca.