Fatturazione elettronica arriva la svolta europea, dopo due anni di attesa. Da lunedì 14 aprile entra in vigore il primo tassello del Pacchetto Vida, la riforma di modernizzazione dell’IVA nell’era digitale. E per l’Italia, pioniera dal 2019 dell’obbligo di fatturazione elettronica, significa poter dire addio, dopo anni, alla necessità di chiedere costantemente proroghe a Bruxelles per continuare ad applicarla.
La prossima settimana segna l’inizio di una nuova era per fiscalità comunitaria con l’entrata in vigore del pacchetto ViDA – VAT in the Digital Age. L’obiettivo è chiaro: digitalizzare, semplificare e rendere più efficiente la riscossione dell’Iva, combattendo l’evasione fiscale che continua ad essere un problema in molti Paesi. Si tratta di una direttiva e due regolamenti che sono stati in discussione per anni e che, approvati a marzo, ora diventano attivi e cambiano le regole su fatturazione elettronica, registrazione IVA e responsabilità delle piattaforme digitali. È una trasformazione che prevede l’entrata in vigore delle varie trasformazioni a tappe, da ora al 2030.
Il primo cambiamento riguarda la fatturazione elettronica nelle transazioni nazionali. Fino a oggi, ogni Paese che voleva introdurre l’obbligo della e-fattura doveva ottenere una specifica autorizzazione da Bruxelles. Con ViDA, questo vincolo viene meno: dal 14 aprile 2025 gli Stati membri potranno liberamente imporre l’obbligo di fatturazione elettronica nazionale, senza dover più richiedere deroghe o autorizzazioni preventive. Questo significa che ogni Stato potrà gestire autonomamente l’obbligo della fatturazione digitale, pur mantenendo standard comuni per dati, formati e trasmissione delle fatture elettroniche, garantendo così interoperabilità e trasparenza a livello europeo.
L’Italia è già un passo avanti. È stata infatti tra i pionieri, avendo introdotto l’obbligo generalizzato di e-fattura nel 2019. Grazie a ViDA. Roma non dovrà più rinnovare periodicamente la richiesta di proroga concessa da Bruxelles (l’attuale scadenza era fissata al 2027) e potrà ampliare in autonomia il proprio sistema, anche includendo nuove categorie di soggetti. Per ora, le fatture nel settore sanitario rimangono escluse, per motivi di privacy.
L’altro cambiamento significativo riguarda l’impatto sull’economia digitale e dei servizi transfrontalieri, con effetti concreti su turismo, affitti brevi e trasporti. Le piattaforme come, per esempio, Airbnb o Uber saranno obbligate da luglio 2030 dovranno raccogliere e versare l’IVA per conto dei fornitori di servizi che non lo fanno direttamente. Le piattaforme diventeranno quindi responsabili fiscali, nel caso in cui il proprietario dell’immobile o l’autista non forniscano un numero di partita IVA valido. Conseguenze? Una semplificazione per i piccoli operatori, che non dovranno più registrarsi per l’IVA, e una garanzia per gli Stati che l’imposta venga effettivamente riscossa.
L’obiettivo è rendere la concorrenza tra operatori tradizionali e digitali più equa. Un’altra novità è l’introduzione di una registrazione unica IVA per le imprese che vendono beni o servizi ai consumatori in diversi Paesi europei. Con un solo numero identificativo, l’operatore potrà gestire i propri obblighi IVA in tutta l’Unione attraverso un portale digitale, senza dover effettuare registrazioni separate in ogni Stato. Questo rappresenta un passo verso il mercato unico digitale, atteso da anni dagli operatori economici.
Dietro alla riforma c’è anche la necessità di ridurre il divario IVA, cioè la differenza tra quanto dovrebbe essere incassato e quanto viene effettivamente riscosso. Secondo i dati più recenti della Commissione europea, nel 2022 il gap è stato di 89 miliardi di euro, pari al 7% del gettito potenziale. Il pacchetto ViDA per l’Italia è il riconoscimento del modello della e-fattura, che ha fatto scuola in Europa. Ma è anche una sfida per recuperare quel 10% di gettito ancora disperso.