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Riarmo, il Giappone sarà la prossima Germania?

Riarmo, il Giappone sarà la prossima Germania?

A Tokyo non ci sono «orfani della Nato» come a Berlino. Tuttavia, gli strateghi nipponici puntano al riarmo e pensano a emanciparsi dall’amministrazione Trump.

I toni del dibattito sul riarmo tedesco sono caratterizzati da una notevole emotività. In Germania, il disincanto degli orfani della Nato accompagna la volontà di stimolare l’economia riconvertendo grandi settori verso il comparto difesa e sicurezza.

Anche in Giappone si sta svolgendo un dibattito simile, sebbene il Paese non sia mai stato sotto l’ombrello Nato e gli Stati Uniti non mostrino intenzione di ritirarsi dal Pacifico. Nel regno del Levante esiste una componente pacifista dell’elettorato, ma Tokyo sta cercando di ridurre la sua dipendenza da Washington in termini di sicurezza. Sebbene ci siano stati progressi, il Giappone rimane attualmente fortemente dipendente dagli Usa per tecnologie militari avanzate, addestramento e logistica. L’America continua a rafforzare la propria presenza nella regione indo-pacifica e non sembra intenzionata a ridurre il suo ruolo nel breve termine. Pertanto, l’obiettivo nipponico di una piena autonomia militare richiederà tempo e risorse significative.
Tuttavia, la determinazione del Giappone a perseguire una maggiore indipendenza rivela non solo la necessità di affrontare minacce regionali come Cina e Corea del Nord, ma anche il desiderio di assumere un ruolo più prominente nella sicurezza dell’Asia-Pacifico. Per questa ragione, Tokyo già da tempo segue da vicino e finanzia il dibattito dei principali think tank europei, soprattutto a Londra, Bruxelles, Parigi e Berlino.

Questo processo riflette le crescenti ambizioni regionali della nazione asiatica, le incertezze legate all’alleanza con Washington e la necessità di tutelarsi rispetto a tre vicini di casa che sono potenze nucleari assertive: Russia, Cina e Corea del Nord. Il percorso verso una maggiore autonomia militare è complesso e lungo, ma Tokyo ha già intrapreso passi significativi in questa direzione. Tradizionalmente, il Giappone ha mantenuto una postura difensiva, ma negli ultimi anni si è osservato un cambiamento verso capacità più offensive. Un esempio chiave è la revisione della politica di difesa del 2022, che ha introdotto la capacità di «contrattacco». Questa modifica gli consente di colpire basi nemiche in situazioni di emergenza, ampliando significativamente il suo raggio d’azione operativo.
A livello pratico, Tokyo sta sviluppando armi che supportano questa nuova dottrina, come l’estensione della gittata dei missili Type-12 fino a 1.500 chilometri e la conversione dei cacciatorpediniere classe Izumo in portaerei capaci di schierare caccia stealth F-35B. La stessa piattaforma GCAP per sviluppare un super-caccia di sesta generazione insieme a inglesi e italiani evidenzia la volontà di dotarsi di tecnologie militari di superiorità.

Un altro aspetto cruciale del percorso verso l’indipendenza è rappresentato dalla decisione nipponica di intraprendere iniziative senza il coinvolgimento diretto degli Stati Uniti. Per esempio, il piano per dispiegare missili a lungo raggio sull’isola di Kyushu entro il 2026 non prevede alcuna partecipazione americana. Questo segna un passo importante verso l’autonomia strategica, anche se rimane un’eccezione piuttosto che la norma. Parallelamente, Tokyo sta rafforzando le sue alleanze regionali al di fuori del tradizionale asse Usa-Giappone. Ha intensificato la cooperazione con nazioni quali le Filippine, l’India, l’Australia e il Regno Unito attraverso esercitazioni congiunte e accordi bilaterali.
Colpisce, in particolare, la densa trama di relazioni con Londra, che mantiene una robusta infrastruttura cognitiva nel Sud-est pacifico. Senza contare le relazioni sottotraccia, ma molto importanti, tra Corona inglese e corte imperiale nipponica.

Nonostante il sostegno americano a molte delle iniziative giapponesi, alcune tensioni hanno indotto Tokyo a rivedere la sua dipendenza da Washington. L’amministrazione Trump aveva richiesto al Giappone di aumentare le spese per la difesa al 3 per cento del Pil, ma ricevette un rifiuto perché si preferiva limitarsi al 2 per cento per motivi economici e strategici.
Inoltre, i dubbi sollevati dal neopresidente sulla solidità dell’alleanza Usa-Giappone hanno alimentato preoccupazioni sulla capacità americana di proteggere il Paese asiatico in caso di conflitto con Cina o Corea del Nord. Le analogie con la Germania, che teme una «zampata» russa nel Baltico, iniziano a farsi piuttosto vistose.

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