Gli esperti concordano: dovremo fare i conti con una forte ripresa del virus. Siamo pronti? No. A scuola si rischia la confusione. Test e tamponi sono insufficienti. I medici di famiglia sono lasciati a loro stessi. E il vaccino dell’influenza non basterà per tutti.
La seconda ondata del virus ci sarà. Secondo gli esperti l’aumento di circa 1.000 contagi al giorno, pure se quasi tutti asintomatici, ne è già un anticipo. Non sappiamo quanto duramente colpirà questa nuova diffusione del Covid-19. In Gran Bretagna, per esempio, uno studio del comitato scientifico che affianca il governo britannico nelle scelte delle misure di contenimento dell’epidemia ipotizza, nello scenario peggiore addirittura 85.000 morti.
E l’Italia è pronta? Dell’arrivo di una seconda ondata di coronavirus è certo il virologo Fabrizio Pregliasco: «È la storia dei coronavirus a dircelo e dobbiamo aspettarci che si ripeta. Gli aumenti dei casi positivi che stiamo registrandoci riportano a gennaio scorso, quando il virus circolava sottotraccia e gli asintomatici propagavano l’epidemia senza che ce ne accorgessimo.
Oggi però non siamo impreparati e sappiamo che per contenere i contagi dobbiamo concentrarci sulle cosiddette tre “T”: test, track e treat, cioè fare il maggior numero di test mirati, tracciare i contatti dei soggetti positivi per individuare immediatamente i focolai e trattare subito e nel miglior modo possibile i pazienti bisognosi di cure». Alle tre «T» di Pregliasco, però, il governo Conte risponde con le quattro «C»: caos scuola, caos trasporti, caos tamponi e caos ospedali.
Otto milioni di studenti e due milioni di insegnanti e bidelli stanno per tornare nelle scuole. Le lacune dei contraddittori protocolli sanitari di questa estate non sono state colmate. Per limitare il rischio di contagi è stato vietato il canto durante le lezioni di musica, ma nulla è stato fatto per riorganizzare il trasporto degli studenti, magicamente trasformati in congiunti per poter sedere vicini su scuolabus, tram e treni regionali.
Come li controlleremo? A quasi sette mesi dal primo caso Covid-19 certificato in Italia, Palazzo Chigi deve ancora varare un piano nazionale per i tamponi. Il virologo Andrea Crisanti, fautore della strategia dei tamponi a tappeto in Veneto, a fine agosto è stato interpellato dal ministero della Salute che gli ha chiesto consiglio (con buona pace dei colleghi del Comitato tecnico scientifico). Crisanti ha detto che bisognerebbe analizzare almeno 400.000 tamponi al giorno. Invitalia però certifica a Panorama che, con la dotazione attuale, salvo nuovi acquisti di macchinari e kit di reagenti, la capacità fino a dicembre 2020 si ferma a 100.000 test al giorno.
Molti dei quali si concentrano, in questi giorni di fine vacanze, su chi torna dall’estero. Per esempio negli aeroporti, dove però gli attuali passeggeri sono niente rispetto al traffico registrato nel 2019, quando solo a Malpensa e Fiumicino hanno atterrato o decollato 73 milioni di viaggiatori. Se anche le stime di Iata, l’Associazione mondiale delle compagnie aeree, prevedono una riduzione del traffico del 50%, controllare tutti i passeggeri sarà comunque impossibile. E di certo non sarà d’aiuto l’app Immuni, ideata per tracciare tutti i contatti dei positivi al virus, in realtà scaricata solo da 5 milioni e 300.000 italiani, appena il 14% della popolazione.
Ma poi, il nostro servizio sanitario saprà fronteggiare una nuova emergenza? Il ministro della Salute Roberto Speranza annuncia una rivoluzione copernicana da 20 miliardi per costruire «un modello radicato sul territorio e investire sull’assistenza domiciliare». Peccato che lo stesso Speranza ammetta che tra gli over 65, oggi soltanto il 6,7% accede all’assistenza domiciliare. E proprio la medicina di territorio, soprattutto la rete dei medici di famiglia, ha rappresentato uno dei punti più deboli nella lotta al coronavirus.
La situazione non pare affatto migliorata, anzi. Secondo il segretario nazionale della Federazione dei medici di famiglia, Silvestro Scotti, «uno degli aspetti più critici è la comunicazione tra medici del territorio e aziende sanitarie: le pare possibile che io apprenda della positività al coronavirus di un mio paziente soltanto se è lui a informarmi? Manca una piattaforma dove scambiarsi i dati in tempo reale per intervenire rapidamente».
A complicare la situazione arriverà poi l’influenza stagionale. L’Istituto superiore di sanità stima che ogni anno le sue complicanze provochino circa 8.000 morti. Da mesi, medici ed epidemiologi raccomandano una massiccia campagna di vaccinazione per evitare confusione nella diagnosi (i sintomi dell’influenza sono spesso simili a quelli del Sars -Cov-2) e scongiurare gli effetti letali che le due infezioni, assieme, avrebbero sui soggetti più fragili.
Ma anche su questo fronte l’Italia è in ritardo rispetto agli altri Paesi europei. Il presidente di Farmindustria, Massimo Scaccabarozzi, afferma che: «Da mesi ci aspettavamo un aumento della richiesta dei vaccini, le aziende farmaceutiche si muovono in un contesto globale, c’era da attendersi, come si è verificato, una maggiore richiesta anche da parte di altri Paesi. Nonostante i ritardi, le aziende hanno comunque aumentato le proprie produzioni. E se nel 2019 le dosi richieste e consegnate sono state 11 milioni e 700.000, per questo autunno sono state richieste e saranno consegnate 16 milioni e 700.000 dosi, pari a un aumento di oltre il 40%».
I farmacisti però protestano: a loro non ne sono state destinate. Il risultato è che se pure si è estesa la platea di chi potrà vaccinarsi gratuitamente (anziani, operatori di sicurezza e della salute, pazienti a rischio, bambini), la stragrande maggioranza degli italiani, composta sì da persone sane ma pure da quelle più attive, non potrà vaccinarsi, né con il Servizio sanitario nazionale né privatamente.
Nel frattempo, alla procura di Bergamo, che indaga sulle responsabilità nella gestione dell’emergenza sanitaria, sono arrivati 220 esposti di altrettanti parenti di vittime Covid-19. Le denunce sono state raccolte e vagliate dall’associazione «Noi denunceremo», ormai una vera e propria commissione d’inchiesta, il cui presidente, Luca Fusco, cui la pandemia ha strappato il padre, è forse la persona che conosce meglio di chiunque altro, caso per caso, le cause e le falle che hanno portato al disastro sanitario (ed economico) in Italia.
Anche a lui chiediamo se l’Italia è pronta a reggere una seconda ondata di contagi. «Dobbiamo sperare che questa emergenza non si verifichi» risponde Fusco «perché la risposta è no. La situazione è forse persino peggiorata. La prima linea di difesa dall’epidemia, quella rappresentata dai medici di famiglia, ha perso diverse unità, per decessi e pensionamenti. Ai medici di famiglia mancano ancora gli strumenti per intervenire tempestivamente in caso di segnalazioni sospette e si troveranno a dover ricorrere di nuovo all’ospedalizzazione dei loro pazienti».
Questo ci riporta a un altro punto dolente. «Se è vero che sono aumentati i posti di terapia intensiva (raddoppiati da 5.179 a circa 10.000, ndr) saremo in grado di gestire un eventuale afflusso di massa negli ospedali?» si chiede il presidente dell’associazione. «Qual è il numero critico di ricoveri oltre il quale il sistema ripiomberà nel caos?».
Fusco non possiede la ricetta che ci permetterà di affrontare i nuovi contagi, ma muove accuse precise: «La catena di comando non ha funzionato. Abbiamo scritto al presidente della Repubblica perché ci aiuti a far luce su quanto accaduto. Perché una cosa è ormai certa: chi ha perso un parente e chi ha perso o perderà il lavoro deve ringraziare la mancata istituzione della zona rossa ad Alzano Lombardo e Nembro. In caso di nuovi focolai, sapremo prendere decisioni impopolari come la chiusura di un Paese, quando oggi non sappiamo neppure chi avrebbe dovuto deciderle a marzo?».
Una doccia fredda arriva poi dalle aziende farmaceutiche, che spengono facili entusiasmi per il futuro vaccino anti Covid. Ci vorranno mesi e realisticamente, secondo Farmindustria, si potrà iniziare la distribuzione delle dosi solo da inizio 2021. Come organizzeremo la vaccinazione di decine di milioni di italiani? Inoltre, non ci sarà un solo vaccino, ma diversi prodotti di altrettante case farmaceutiche, che spingeranno governo e regioni a scegliere su quale puntare. Con quali certezze sulla durata dell’immunità e sulla loro efficacia resta da vedersi. Insomma, se anche il vaccino, come pare, non rappresenterà la panacea contro il virus, resta da sperare che questa seconda ondata abbia la consistenza di una debole risacca che si asciuga sulla battigia. E non dell’uragano che abbiamo conosciuto.