Dopo l’arresto dell’imprenditore Roberto Ginatta per il mancato rilancio della Fiat di Termini Imerese, nelle inchieste si delineano intrecci d’affari con la famiglia torinese più in vista. E nonostante 1.200 operai in cassa integrazione e 16 milioni di euro prestati da Invitalia, altro denaro pubblico è in arrivo agli stabilimenti sommersi dai debiti.
Mancava giusto l’amianto nel disastro dell’ex Fiat di Termini Imerese. Nelle fabbriche della Blutec, il gruppo automotive del torinese Roberto Ginatta, finito agli arresti con l’accusa di bancarotta fraudolenta e riciclaggio, sono state trovare varie sostanze pericolose per la salute dei lavoratori e per smaltirle è stata necessaria la garanzia dello Stato italiano. Che nonostante abbia visto volatilizzarsi i 16 milioni prestati negli anni scorsi da Invitalia, di fronte all’amianto, e a oltre un migliaio di operai in cassa integrazione, ha dato la copertura pubblica a 3 milioni e mezzo di euro di nuovi affidamenti. Il tutto mentre l’inchiesta della Procura di Torino, che è a caccia del tesoretto sparito e di chi ha aiutato i Ginatta nella loro giostra finanziaria, fa tremare i personaggi che contano nella città della Mole. Perché nel mirino della magistratura c’è una famiglia storicamente legata ad Andrea Agnelli e Lapo Elkann; e anche se le vicende giudiziarie hanno innescato un prudente allontanamento della «Real Casa», restano molti legami.
Certo, l’importo della garanzia statale che l’anglo-olandese Fiat Chrysler ha ottenuto dal governo ha fatto molto più scalpore di questo regalino alla Blutec, in amministrazione straordinaria dallo scorso giugno. Ben 6,3 miliardi contro 3 milioni e mezzo. Ma nella nota ufficiale con cui, il 28 agosto, si dava notizia dell’approvazione della Commissione europea, si scopre che l’aiuto di Stato «fornirà liquidità per le esigenze immediate, consentendo di accedere a finanziamenti per decontaminare alcune unità produttive da amianto e altre sostanze pericolose».
Del resto il coronavirus è sempre più una sanatoria omnibus, perché non approfittarne, specie se sono in ballo 1.200 posti di lavoro tra Sicilia, Abruzzo e Basilicata? Così hanno pensato i tre commissari straordinari che amministrano il gruppo (Giuseppe Glorioso, Fabrizio Grasso, Andrea Filippo Bucarelli) cercando di piazzare gli stabilimenti. Anche perché la galassia Blutec-Metec sta affondando sotto 350 milioni di debiti, una settantina dei quali con il fisco.
Secondo i pm torinesi Laura Longo, Francesco Pelosi e Vito Destito, Ginatta senior avrebbe versato i 16 milioni ottenuti da Invitalia, guidata da Domenico Arcuri, nella Blutec, per poi farli uscire nuovamente verso una serie di società di famiglia. Un fiume di denaro che sarebbe stato sperperato in acquisti di abbonamenti allo Juventus Stadium (ben 185 mila euro) e compravendite di titoli esteri, oltre alla distribuzione di dividendi su utili che le indagini della Guardia di finanza ritengono totalmente inesistenti. Per il gip Rosanna Croce, che a giugno ha autorizzato l’ultimo sequestro da 4 milioni e i nuovi arresti per Roberto Ginatta, la sua storica segretaria Giovanna Desiderato e il figlio Matteo, Ginatta padre avrebbe dimostrato «una personalità particolarmente incline a uno stile di vita criminale (…) un modo di fare impresa illegale che gli consente di ottenere vantaggi personali consistenti, ma dai quali conseguono danni economici rilevantissimi per soggetti pubblici e privati».
Eppure Roberto Ginatta viveva nel medesimo comprensorio con golf da 39 buche della Mandria, poco fuori Torino, vicino ad Allegra Agnelli e al figlio Andrea. E allo stadio era una presenza fissa al loro fianco, in tribuna d’onore. Dopo le disgrazie giudiziarie, i rapporti si sono apparentemente allentati. E Ginatta ha scelto come avvocato Michele Briamonte, che negli ultimi anni non ha più lavorato con le società del Lingotto, ma ne conosce tutti i segreti.
Il 21 luglio, nel chiedere la scarcerazione, Ginatta ha dichiarato che «l’iniziativa di rilevare Termini fu caldeggiata da Fiat, storico ed esclusivo cliente del Gruppo Metec», e ha sostenuto che ci sarebbero stati «contratti già firmati con Fiat per circa 182 milioni». Impegni che però non sarebbero stati onorati perché Sergio Marchionne non ha mai creduto nell’auto elettrica. L’unico della famiglia a non mollare Ginatta fu Lapo Elkann, che gli diede una piccola commessa da 300 mila euro per conto di Garage Italia.
A loro volta, i Ginatta sono stati a lungo soci della sua Italia Independent. Ma per rimanere a corte Ginatta non ha badato a spese e ha anche accettato di fare qualche passo indietro. A fine 2019, quando l’inchiesta penale era già partita, la Investimenti industriali, della quale erano soci al 50 per cento la Lamse di Andrea Agnelli e Ginatta, ha varato un piccolo aumento capitale per dare la maggioranza al presidente della Juve; e al posto del padre, che era l’amministratore unico, è entrato Matteo Ginatta, che all’epoca non era ancora sotto inchiesta. L’operazione con cui è stata ceduta la maggioranza di Investimenti industriali sarebbe passata dal Lussemburgo ed è sotto la lente degli inquirenti.
La presidenza di Investimenti è andata a Francesco Roncaglio, 42 anni, che di Ginatta senior è quasi un figlioccio e che della Lamse degli Agnelli è da un decennio guida operativa. Il manager siede anche nel cda della Juventus, del Royal Park dei Roveri (dove il presidente è Allegra Agnelli e tra i consiglieri c’è Matteo Ginatta) e, sempre su mandato di Andrea Agnelli, è consigliere di amministrazione della Banca del Piemonte, che fa capo a Camillo Venesio e alla sua famiglia. In sostanza, Roncaglio è l’ufficiale di collegamento tra gli Agnelli Elkann e l’intera famiglia Ginatta. Un collegamento che rischia di dover essere smaltito come l’amianto della Blutec.