Il Pontefice ha tre fronti aperti: la politica estera, gli scandali finanziari, la gestione della crisi economica del Vaticano. Così cresce l’insofferenza per posizioni che dividono le alte gerarchie e, soprattutto, disorientano la Chiesa.
«Vidi poi un angelo che scendeva dal cielo con la chiave dell’Abisso e una gran catena in mano». Così sta scritto nell’Apocalisse (20) e osservando gli ultimi travagli economici e morali del Vaticano e talune scelte di Jorge Mario Bergoglio c’è più di un cardinale che teme una rinnovata attualità della profezia del «mille non più mille».
Ora che il Papa emerito Benedetto XVI ha gravissimi problemi di salute, gli ultimi richiami alla tradizione potrebbero andare dispersi, ma anche tra i porporati progressisti c’è chi comincia a interrogarsi; l’ossessiva attenzione di Francesco ai problemi economici interni, l’eccesso di apertura all’Islam, fino alla ricerca di una partnership con la Cina suscita più di un dubbio evangelico nel Sacro Collegio. Bergoglio è un Papa accerchiato e porta sul capo una corona con tre spine: la politica estera, gli scandali e la crisi economica.
Lui si difende esternalizzando e cercando nuove alleanze: resuscita l’Opus Dei dopo anni di oblio, s’appoggia alla lobby degli spagnoli e usa l’arma giudiziaria. Affida sempre più responsabilità ai laici che assume e licenzia con sorprendente rapidità per tenere se stesso e i suoi fedelissimi al riparo da ogni accusa. Questi funzionari vengono usati come «scudi umani» per le tribolazioni della Santa Sede, ma le gerarchie ecclesiali si sentono «esautorate» e reagiscono stringendo d’assedio il soglio di Pietro. Il caso più clamoroso è la condanna della debolissima reazione di Francesco alla trasformazione di Santa Sofia in moschea, a Istanbul.
L’ultimo caso è invece la nomina a capo della Segreteria per l’economia di Maximino Caballero Ledo, un manager spagnolo che ha tre meriti: è amico d’infanzia dell’uomo che ormai controlla tutte le finanze vaticane e cioè Juan Antonio Guerrero Alves, ha ottimi rapporti con l’Opus Dei e con la finanza americana che ha smesso di fare donazioni al Vaticano da quando «regna» Bergoglio. Il segno più evidente della contestazione è stata le reazione del clero americano guidato da Raymond Leo Burke, uno dei quattro cardinali dei «dubia» sull’enciclica Amoris laetitia.
Burke, più volte attaccato da Francesco, ha anche un motivo «personale» per guidare questa durissima rivolta: il Papa lo sollevò dal patronato del Sovrano ordine militare di Malta per far posto a Giovanni Angelo Becciu, creato cardinale per «scudarlo» dalle indagini sull’affare della spericolata vendita dell’edificio in Sloane Avenue, a Londra. Dagli Usa è partita una durissima offensiva per la troppo tiepida reazione avuta da Francesco – si è limitato a dire all’Angelus «sono profondamente addolorato» – allorché Erdogan, il leader turco, ha reislamizzato Santa Sofia con l’Imam Ali Erbas che è entrato in moschea impugnando la spada di Mehmet II, il quale il 29 maggio 1453 conquistò ai turchi Costantinopoli.
Dietro le critiche non c’è – come gli ambienti bergogliani hanno voluto far credere – l’ex nunzio apostolico in Usa Carlo Maria Viganò, l’arcivescovo che ha contestato apertamente e lealmente il Papa, ma ci sono figure centrali nella vita della Chiesa: dal cardinal Walter Brandmüller a Jacobus Eijk, dallo srilankese Albert Ranjith al guneiano Robert Sarah passando per gli italiani Angelo Sodano, Tarcisio Bertone fino al decano del Sacro Collegio Giovan Battista Re. A spiegare le ragioni della contestazione ci sono due libri che agitano i sonni a Santa Marta. Uno è The Next Pope, «Il prossimo Papa», in cui l’autorevolissimo vaticanista Edward Pentin traccia 19 possibili candidature al soglio di Pietro (dal presidente di Propaganda Fide il sino-filippino Luis Antonio Gokim Tagle all’americanissimo cardinal Burke); ma quello esplosivo è quello di George Weigel (biografo di San Giovanni Paolo II) che parla sì del «Next Pope», ma mette la Chiesa in guardia dalle derive mondialiste.
Un libro urticante per Francesco, visto che Timothy Dolan cardinale e arcivescovo di New York lo ha spedito a tutto il Sacro collegio. C’è dunque un’offensiva americana contro Bergoglio e la faccenda turca potrebbe non essere solo una rivendicazione islamista da parte di Recep Tayyip Erdogan, ma una mossa orchestrata tra il padre-padrone turco e gli Usa per mettere in difficoltà il Papa troppo «legato» al magnate George Soros e al nuovo ordine mondiale. Non è un caso che tutta l’indagine diplomatica sulle mosse del leader turco sia in mano al nunzio apostolico ad Ankara Paul Fitzpatrick Russell che da americano cerca di gestire con bastone e carota i rapporti con il leader neo-islamico.
A pesare sul Papa sono anche alcune rivelazioni che riguardano i rapporti di suoi fedelissimi con Soros, appunto, e la sua Open Society. Si è scoperto che un gesuita spagnolo molto legato al Papa, Gonzalo de Villa y Vásquez è stato dal 1995 al 2004 vice presidente della Fondazione Soros in Guatemala (che tra l’altro si era fatta promotrice per una massiccia campagna pro aborto).
Il prelato spagnolo è stato comunque nominato da Bergoglio arcivescovo a Santiago del Guatemala e presidente fino al 2023 della Conferenza episcopale di quel Paese, segno evidente che il Papa non ritiene incompatibile la missione pastorale con l’adesione alle posizioni di Soros anche se Villa y Vásquez ha recentemente abiurato alla sua adesione a Open Society.
Ma questo nei rapporti internazionali pesa. Come pesa la freddezza che il Papa ha sin qui mostrato su quanto accade ormai da mesi a Hong Kong. La Santa Sede non ha preso alcuna posizione in difesa di chi si batte per la libertà e la democrazia nell’ex colonia britannica, perché Francesco sta in questo momento tessendo una delicata tela di ragno con la Cina. Tutto è in mano all’astro nascente di curia Luis Antonio Gokim Tagle, che non a caso è indicato come possibile successore di Bergoglio se la Chiesa continuerà a spostarsi a Oriente. A Tagle il Papa chiede: soldi dai cinesi e libertà di azione. L’operazione appare molto complicata perché dall’America – come si è visto – non stanno a guardare.
Ma dalle spine internazionali si passa ai dolori interni. Perché Francesco ha due problemi grossi come un palazzo e il cupolone messi insieme, aggravati dalle finanze in dissesto. C’è appunto lo scandalo di Sloane Avenue, tutt’altro che risolto. Il Papa sta facendo di tutto per evitare che nella vicenda della vendita dell’edificio londinese venga coinvolto fino in fondo il cardinale Giovanni Angelo Becciu: incastrare lui significa incastrare lo stesso Bergoglio. Molti dimenticano che Becciu è stato il vero alter ego di Francesco dalla sua elezione a Pontefice fino al 29 giugno 2018, giorno in cui ha cessato l’incarico di Sostituto per gli affari generali passando alla Congregazione dei Santi.
È in veste di Sostituto che Becciu ha trattato Sloane Avenue avvalendosi di Raffaele Mincione – il broker italo-londinese – che Becciù, dicono fonti solitamente bene informate, continua a incontrare anche ora fuori dalle mura leonine. Anche se l’inchiesta è tenuta sotto traccia, ci sono delle mine vaganti che stanno per deflagare. La prima è quella di Monsignor Alberto Perlasca che, privato dei suoi conti bancari presso lo Ior e anche della targa della Città del Vaticano, è stato abbandonato a se stesso. Perlasca che è stato per anni il responsabile degli investimenti della Segreteria di Stato sa molte cose e pare che Becciu stia cercando di risolvere i suoi problemi pratici per evitare che lo scandalo si allarghi. La strategia del Papa è invece quella di addossare tutte le responsabilità sui laici come Vincenzo Mauriello, Fabrizio Tirabassi e Tommaso Di Ruzza.
Ma c’è un’altra scheggia che potrebbe impazzire ed è monsignor Mauro Carlino che, coinvolto nel caso, si è sentito maltrattato. Carlino avrebbe già cominciato a fare delle confidenze sul ruolo che ha avuto nell’affare di Londra l’ex pupillo di Bergoglio, l’arcivescovo venezuelano Edgar Peña Parra. Il porporato si è «bruciato» portando avanti l’affare di Londra in continuità con le scelte di Becciu (sicuro che il Papa non ne sapesse niente?). Fu Peña Parra a chiedere i soldi allo Ior per accendere il mutuo d’acquisto di Sloane Avenue. Lo Ior, tuttavia, lo bloccò per due motivi: l’importo era alto e doveva essere autorizzato dal Segretario di Stato Pietro Parolin (che in questo periodo si tiene molto defilato) e dal Papa per l’onerosità degli interessi. Ora Peña Parra sta cercando di chiudere il buco londinese, ma ormai la sua stella è tramontata.
E un altro tramonto che Bergoglio cerca di provocare inquieta il Vaticano: è quello del potentissimo cardinale Giuseppe Bertello, presidente del Governatorato. Ha un patrimonio ingentissimo già messo nel mirino del controllore delle finanze Guerrero Alves. Bertello è stato un grande elettore di Bergoglio, ma pare che ora lui e il Papa nemmeno si parlino più. Per sapere come vanno le cose nel Governatorato, Francesco interpella solo il suo «vice», il vescovo spagnolo – eccone un altro – Fernando Vérgez Alzaga. Tanta freddezza si spiega perché Bertello non cede alle pressioni di Guerrero Alves che vuole che i soldi del Governatorato siano trasferiti dallo Ior all’Apsa (la «banca centrale» vaticana dove regna monsignor Nunzio Galantino che sa poco di economia, ma è nella manica del Pontefice e dove è arrivato come laico Fabio Gasperini, altra nomina che serve a parare i colpi) e perché c’è lo scandalo della Fabbrica di San Pietro che agita ancora altre acque.
Queste indagini vanno avanti a rilento perché il promotore di giustizia Gian Piero Milano ha avuto un problema serio di salute (si parla di un lieve ictus), ma si capisce che gli appalti per la chiesa più grande del mondo erano molto facili e molto generosi.
Per ora l’inchiesta mira ad addossare tutte le responsabilità ai laici (per esempio a Pietro Zander, responsabile dell’Ufficio tecnico scientifico della Reverenda Fabbrica di San Pietro), ma ha già segnato una svolta, o meglio un’ennesima giravolta di Bergoglio. Alla Fabbrica di San Pietro, commissariata sotto la guida di monsignor Mario Giordana, c’è un prelato che sta prendendo molto potere. È il direttore dei Servizi tecnici Rafael García de la Serrana Villalobos, anche lui spagnolo, ma con un attributo in più: è il protetto di Fernando Ocariz, il Prelato dell’Opus Dei. E si sa quanto quest’ultima tenga all’iniziativa economica di cui certo fanno parte anche gli appalti.
Serrana Villalobos al proposito ha stretto un’alleanza di ferro con il cardinal Giuseppe Bertello, che forse anche così si è blindato, e che invece Francesco vorrebbe «esiliare». Per esempio, con l’obiettivo di «disturbare» Bertello, ha elevato Paolo Nicolini a vice direttore dei Musei Vaticani in dispregio delle opinioni del Governatore e ha «pensionato» Alfredo Pontecorvi, amico del cardinale, da capo del servizio sanitario del Governatorato. Ma nonostante queste mosse il Papa deve scendere a compromessi; per cercare di chiudere a chiave l’abisso non ha un angelo a disposizione, ma terrene alleanze con gli spagnoli e l’Opus Dei.