Abba: il suono senza tempo dei giganti del pop (in studio dopo 35 anni)
Nuove canzoni in arrivo, un probabile tour con tanto di avatar e un catalogo di brani che non passa mai di moda...
Non esistono più dal 1982, ma in realtà non se ne sono mai andati. Sono rimasti senza esserci, godendosi dalle poltrone delle loro ville scandinave il più grande successo della storia del pop dopo i Beatles. “Non ci siamo mai sciolti, ci siamo solo concessi una lunga vacanza” raccontano beffardi, oggi, Bjorn e Benny i “ragazzi” della band svedese (rispettivamente 74 e 72 anni), gli alchimisti nonché i teorici della canzone che è tutta un ritornello. Martellante, ossessivo, costruito scientificamente su armonie e melodie che si insinuano per sempre nella memoria al primo ascolto.
Nessuno ha mai realmente compreso il segreto che sta dietro ai loro brani, di sicuro non i critici che li hanno sempre stroncati senza attenuanti, e nemmeno i colleghi musicisti, che li hanno sempre bistrattati con snobistico distacco, salvo poi presentarsi di nascosto ai loro concerti. Come quello leggendario alla Wembley Arena di Londra, nel 1979, dove mimetizzati tra i fan degli Abba c’erano due icone del punk, Ian Dury e Joe Strummer dei Clash, oltre a vari membri dei Deep Purple, dei Led Zeppelin e dei Moody Blues. Tutti increduli davanti al delirio collettivo per brani dalle melodie nazional popolari e dai titoli improbabili come Fernando, Ciquitita, Voulez-Vous e Waterloo.
Loro, i rocker duri e puri, raccontavano nelle interviste di acrobazie sessuali, viaggi lisergici e incidenti in auto, gli Abba, ai tempi due coppie sposate (Benny con Frida e Bjorn con Agnetha), di passeggiate e picnic a base di aringhe e vino nelle foreste svedesi intorno a Vallentuna, e di quanto fossero scomodi i loro attillatissimi costumi di scena: “Nel tragitto tra l’albergo e l’arena del concerto siamo obbligati a viaggiare in piedi sul mini bus per non squarciare i pantaloni”. Quei costumi, un mix improbabile tra le mise circensi, il glam e le divise delle majorette erano in realtà un escamotage fiscale, visto che la legislazione svedese permetteva di dedurre dalle tasse gli outfit di scena, ma a condizione che si trattasse di abiti veramente pittoreschi, non indossabili nella vita di tutti i giorni. Così, ingaggiarono un paio di sarte per diventare i campioni del kitsch in musica.
Per decenni, i fantastici quattro si sono tenuti a debita distanza dal loro mito, appagati dalla pioggia di milioni di dollari derivanti dai diritti d’autore delle hit, dallo straordinario boom al botteghino di Broadway del musical Mamma Mia! e ancor più della sua versione cinematografica con Meryl Streep e Pierce Brosnan. A metà anni Duemila un’offerta da un miliardo di dollari per un reunion tour venne rimandata al mittente, ma adesso qualcosa è cambiato. I quattro, pacificamente divorziati “alla svedese” senza strascichi legali e rancori, sono, contro ogni previsione, chiusi in uno studio di Stoccolma a registrare nuove canzoni, Per il momento ce ne sono nove pronte (I still have faith in you e Don’t shut me down sono i titoli di due dei brani) che dovrebbero fare da colonna sonora al ritorno in concerto. Che dovrebbe avvenire secondo modalità assolutamente inedite, mai sperimentate prima da nessuna band di questo livello. Lo scenario a cui stanno lavorando da mesi ingegneri informatici, programmatori, designer e manager prevede i veri Abba, nelle retrovie dal palco, o anche a casa, sostituiti da quattro avatar digitali e tridimensionali plasmati sulla loro immagine e le loro movenze di fine Anni Settanta.
Una follia kitsch che minerebbe la credibilità di qualsiasi altra band al mondo… “Immaginate che meraviglia” ha invece raccontato estasiato Benny Andersson alla Bbc, “Una vera band che suona le nostre canzoni più famose, ballerini, luci, coreografie spettacolari, coristi e gli avatar: In pratica, ci sarebbe tutto degli Abba… Tranne gli Abba!”.
Se dovesse funzionare, e le previsioni dei principali promoter mondiali dicono che in vista c’è un potenziale trionfo, sarebbe il colpo di genio definitivo, la chiusura del cerchio di una carriera rivoluzionaria e talmente controcorrente da ribaltare le regole del music business, del marketing e della comunicazione. E loro lo sanno bene, visto che nei turbolenti e “impegnati” anni Settanta hanno sbancato le classifiche con ritornelli solari e testi ispirati alla vita comune, senza messaggi politici tra le righe.
“I giovani ribelli ascoltavano le canzoni delle band ribelli, noi ci siamo rivolti a tutti gli altri, che non erano pochi, che in fondo non se la passavano male e non volevano a tutti i costi ribaltare la società come un calzino” dice Benny svelando così l’attitudine che li ha sempre contraddistinti. Astuzia, senso del business, ma anche un’ingenuità che li ha resi irresistibilmente simpatici ai tanti detrattori. Perché non si può non amare una band che nel 1977 si presentò in scena a Sydney indossando zeppe a suola liscia altre 12 centimetri mentre sul palco pioveva a dirotto. Prima, scivolarono goffamente come cartoni animati, poi, terrorizzati, rimasero immobili per un’ora e mezzo muovendo solo gli occhi e le labbra. Alla fine, mentre la gente sfollava, ci misero un quarto d’ora per guadagnare l’uscita dal palco…
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