- La rivoluzione del 5G non solo ci farà cambiare lo smartphone (che diventerà supersonico) ma contagerà tutti i nostri oggetti di uso quotidiano, dall’auto alla bicicletta, passando per abbigliamento e televisione (che tutti dovremo rinnovare). Viaggio, guidato, nella prossima era tecnologica e nelle sue conseguenze politiche ed economiche a livello globale.
- 5G: L’ERA DELLA CONNECTED ECONOMY La nuova infrastruttura di rete potrebbe generare a livello mondiale oltre 22 milioni di posti di lavoro e generare sul Pil italiano un impatto di 80 miliardi di euro
- 5G: LA GUERRA FREDDA USA-CINA C’è alta tensione tra le due superpotenze, in lotta su molti fronti e alle prese con la corsa alle reti di quinta generazione che garantiranno un vantaggio competitivo a chi guiderà la trasformazione
Questa è la storia di come un quadratino di silicio molto sottile e molto piccolo cambierà le nostre vite (foto sotto). Se lo si osserva al microscopio, sembra un chip elettronico come tanti altri, ma le sue capacità sono tali che, entro il 2022, rivoluzionerà il nostro modo di comunicare e di vivere. Sarà il cuore del tanto atteso 5G, ossia la prossima generazione della telefonia mobile. Sarà dentro a tutti i prossimi smartphone, ma sarà anche l’artefice di quella che gli esperti hanno battezzato Internet of things, ossia l’internet delle cose: ogni oggetto, dai frigoriferi alle piante, potrà comunicare con il web e il mondo che gli sta intorno. Il protagonista del nostro prossimo futuro si chiama Snapdragon 865 5G ed è prodotto dal colosso informatico americano Qualcomm. Probabilmente i meno tecnologici ne hanno sentito parlare poco, ma Qualcomm produce i processori che fanno funzionare quasi tutti gli smartphone che oggi abbiamo in tasca, sia Apple, sia Android.

Ma in cosa consiste questa tanto annunciata rivoluzione?
Un dato sopra tutti: per scaricare un film di due ore sullo schermo touch del telefono che sfrutta la tecnologia 5G sono bastati 12 secondi. Per capire l’accelerazione che questa sigla porterà nelle nostre vite basta fare un paragone con l’attuale generazione 4G: per fare la stessa operazione, oggi servono non meno di 10 minuti.
La prima caratteristica del 5G, quella che sarà più visibile a tutti, sarà quindi la velocità di navigazione e connessione in rete. Per quantificare in numeri, la capacità della banda per tablet e smartphone potrà arrivare fino a 100 gigabit. Tradotto: fino a mille volte quella attuale. Facciamo un paragone. La più veloce connessione domestica, quella che arriva a casa su fibra ottica, oggi raggiunge al massimo 1 gigabit. Bene, internet sui telefonini andrà 100 volte più veloce.
Ci sono altre caratteristiche che renderanno il 5G molto pervasivo. Potranno collegarsi simultaneamente al web un milione di persone per chilometro quadrato. Questo vuol dire che allo stadio o a un concerto di Vasco Rossi tutto il pubblico presente, ciascuno con il suo dispositivo (e contemporaneamente), potrà mandare un video in diretta su Facebook e Youtube senza avere fastidiose assenze di segnale. Secondo la società di ricerche CCS Insight, la diffusione del 5G sarà molto più rapida rispetto a quella del 4G e si dovrebbe giungere al traguardo di un miliardo di utenti connessi già nel 2023. Con i nuovi telefonini (abituatevi, nel 2022 dovrete cambiarlo), ci si potrà collegare al web anche viaggiando su un treno lanciato sui binari fino a 500 chilometri all’ora.
C’è un altro dato tecnico, forse è il più difficile da capire, ma è quello che cambierà la nostra quotidianità: si chiama «latenza». Con questo termine si intende il tempo di risposta della rete. Con il 5G potrà essere anche minore di un millisecondo. Cosa significa? In pratica la connessione sarà istantanea, senza attese, le risposte a qualsiasi quesito, via etere, arriveranno sullo schermo touch in tempo reale. Non serviranno più, quindi, dispositivi con grandi quantità di memoria. Salveremo tutto (foto, video, documenti) sul cloud. Potremo accedervi istantaneamente, ovunque ci troviamo.
Le auto, tutte le auto saranno equipaggiate con un chip 5G. I veicoli, in questo modo, potranno comunicare tra loro in tempo reale evitando di scontrarsi. I veicoli che si pilotano da soli, quelli in sperimentazione oggi, devono essere farciti di ogni sorta di sensori, radar e telecamere. L’intelligenza artificiale a bordo deve poi vagliare una mole immensa di dati e decidere come comportarsi di conseguenza. Al momento, dunque, non sono sicure al 100 per cento. Col 5G tutto cambia: oltre ai veicoli, anche cicli, motocicli, strade, segnaletica, semafori, telecamere del traffico saranno dotati di capacità 5G. Gli oggetti parleranno tra loro e creeranno un modello di traffico a zero collisioni.
Anche noi faremo parte di questa rete neurale di microprocessori dialoganti. Saranno negli abiti che indossiamo, negli orologi e nei bracciali che tengono sotto controllo le nostre funzioni vitali. Oltre, chiaramente, a pulsare nei nostri smartphone. Le auto li rileveranno ed eviteranno di investirci. Cambieranno anche le infrastrutture. Potremo dire addio, finalmente, alle ruspe che scavano le nostre città per far scorrere sotto terra la fibra ottica. Le attuali antenne cellulari poste sopra ai palazzi, infatti, sono collegate alla rete via cavo. Quelle 5G dialogheranno tra loro creando una rete senza fili da un tetto a un altro. Non ci sarà più bisogno di alcun cablaggio. Anche Internet a casa arriverà via etere e il Wifi potrebbe essere pensionato.
Poi c’è il discorso televisione. Siete pronti a cambiare tv? Entro il 2022, il 5G sarà il responsabile del pensionamento anticipato di quasi tutti gli apparecchi tv che utilizziamo. Dei modelli in commercio se ne salveranno pochissimi. State tranquilli però, nessun blackout: se entro quella data non vorrete acquistare uno nuovo schermo, basterà dotarsi di un decoder ad hoc. Fatta questa premessa, è ormai certo che nel 2022 dovremo affrontare un nuovo “switch-off”: il segnale digitale terrestre a cui siamo abituati (quello che tecnicamente si chiama Dvb-T1) si spegnerà. Al suo posto, le antenne sui nostri palazzi ne riceveranno uno nuovo chiamato Dvb-T2.
Ecco, passo dopo passo, quello che succederà e perché. Con un consiglio importante (al punto 3).
1) Entro il 2022, le frequenze che attualmente vengono utilizzate dal digitale terrestre Dvb-T1 (quelle intorno ai 700 Mhz per essere precisi), passeranno a essere sfruttate dalla tecnologia 5G. Lo ha stabilito la Commissione europea. Il motivo? Queste frequenze penetrano all’interno degli immobili e superano ogni sorta di ostacolo garantendo migliori connessioni al web da tablet e cellulari.
2) A trarre beneficio da questo cambiamento forzato, dal punto di vista della qualità, saranno soprattutto gli spettatori (anche se dovranno mettere mano al portafoglio). Il nuovo standard di trasmissione televisivo Dvb-T2, infatti, aumenta (e di tanto) la qualità. In pratica si potranno avere molti più contenuti (e canali) in altissima definizione grazie anche a un nuovo standard chiamato Hevc (High efficiency video coding).
3) Consiglio: se decidete di regalarvi una tv, controllate attentamente l’etichetta: deve essere predisposta per queste due nuove sigle Dvb-T2 e Hevc. Consumatore avvisato, mezzo salvato.
5G: l’ERA DELLA CONNECTED ECONOMY

La nuova infrastruttura di rete potrebbe generare a livello mondiale oltre 22 milioni di posti di lavoro e in 15 anni potrebbe generare sul PIL italiano un impatto di 80 miliardi di euro.
di Mark Perna
La rete 5G cambierà il volto della nostra vita e impatterà concretamente sul futuro dell’umanità. Entro il 2025 saranno collegati in rete oltre 75 miliari di oggetti capaci di cooperare tra loro in modo intelligente e fornendo preziosi dati di servizio per nuove funzioni e applicazioni. Quello che facevamo prima lo faremo meglio e più rapidamente, ma soprattutto il 5G creerà nuove opportunità e nuove modalità di lavoro. Questa infrastruttura di rete mobile sarà in grado di cambiare diverse realtà industriali e numerosi settori produttivi, dall’automotive, alle smart city, alla sanità. Opportunità significative, basta solo dire che entro il 2033 ben 83 milioni di auto saranno connesse proprio grazie al 5G. Non sorprende quindi che secondo una ricerca condotta dall’Imperial College of London in media l’aumento del 10 percento nell’utilizzo della banda larga mobile genera un impatto sull’economia globale dallo 0,6 al 2,8%, vale a dire l’equivalente tra 500 miliardi di dollari e 2 trilioni di dollari a livello planetario. Una rivoluzione dietro l’angolo visto che secondo l’ultimo Ericsson Mobility Report le sottoscrizioni al 5G raggiungeranno già quota 2,6 miliardi entro il 2025, il 65% della popolazione mondiale. Questo si tradurrà in una vigorosa spinta economica che IHS Markit stima potrà valere 3,5 trilioni di dollari entro il 2035 e ben 22 milioni di nuovi posti di lavoro.
Il peso degli investimenti
Dal punto di vista tecnico, la tecnologia 5G non prevede un semplice aggiornamento o rinnovamento delle attuali reti radiomobili ma di fatto obbliga gli operatori a riprogettare completamente l’infrastruttura di rete e a ripensare la tipologia e la qualità dei servizi offerti prima ancora che si sia costituita una concreta domanda per gli ambiti applicativi che devono utilizzarli. Gli investimenti sono dunque molto significativi anche perché le Telco italiane hanno già speso una cifra esagerata per accaparrarsi le frequenze: ben 6,5 miliardi di euro, il 130% in più della base di gara. Nel Regno Unito e in Spagna hanno speso molto meno e questo genera qualche preoccupazione, specialmente il timore è che nel nostro paese per far quadrare i conti ci possa essere un ricarico eccessivo sui consumatori, aziende e privati.
«Il settore delle telecomunicazioni non è come tutti gli altri: gestisce le infrastrutture più strategiche per un Paese nel ventunesimo secolo, cioè quelle che abilitano la quarta rivoluzione industriale, basata sul digitale pervasivo, l’internet delle cose, l’intelligenza artificiale, i big data, il cloud, la blockchain, ci ha detto in una recente intervista Andrea Rangone, Presidente del gruppo Digital360. «Ma il mercato dei servizi digitali finora è stato dominato dagli over-the-top, che hanno visto crescere in questi anni fatturato e margini. Le Telco, culturalmente lontane dalle tecnologie digitali, invece hanno faticato a ricoprire un ruolo rilevante in questi nuovi mercati. Questo ritardo, unito all’eccessiva pressione regolatoria e all’accesa competizione sui prezzi fra gli operatori, oggi mette a rischio la sostenibilità del settore, che ha visto ridurre i ricavi di circa il 30% negli ultimi dieci anni. È arrivato il momento di invertire la rotta: le Telco per sopravvivere devono cambiare», continua Rangone.
Non sono però solo gli operatori mobili a dover cambiare pelle, è un processo ineluttabile anche per la sopravvivenza di molte aziende, soprattutto quelle che grazie al 5G potranno sviluppare nuovi business ma che saranno costrette a fare adeguati investimenti, ad esempio in cyber security e in edge computing. I guadagni potenziali non sono lontani. Gartner stima che le revenue legate alle reti 5G cresceranno in modo significativo: si passerà dai 2,2 miliardi di dollari del 2019 a 4,2 miliardi di quest’anno per poi balzare a 6,8 miliardi nel 2021. Stime che però potrebbe essere compromesse, almeno in parte, dall’impatto del coronavirus. Un recente report di Abi Research evidenzia infatti come il Covid-19 possa impattare sui ricavi di questo settore per almeno il 10% nel 2020.
Bisogna accelerare per non perdere il treno
Non è la panacea di tutti i mali ma sicuramente il 5G rappresenta anche un asset importante per far ripartire l’economia europea che altrimenti rischia di essere schiacciata dal dominio di Cina e Stati Uniti. Le criticità però non mancano, soprattutto in termini di know how, tuttavia non c’è dubbio che il 5G rappresenti un asset essenziale per lo sviluppo non solo dell’industria delle telecomunicazioni ma anche per molti altri contesti operativi. Secondo una ricerca condotta da EY il 5G può generare sul PIL italiano un impatto di 80 miliardi in 15 anni, mentre un ritardo nello sviluppo nel breve periodo impatterebbe per circa 10 miliardi.
Le Smart City. L’impatto del 5G potrà essere particolarmente rilevante per un ventaglio molto ampio ed eterogeneo di applicazioni, sia in ambito privato che pubblico, tra cui le soluzioni per le Smart City, le «wireless factory-Industry 4.0», la telemedicina, i primi livelli della guida autonoma. Se non vi saranno rallentamenti, EY stima che entro il 2020 le reti 5G avranno complessivamente coperto il 30% circa della popolazione, per passare a oltre l’85% entro il 2023, anno nel quale sono attesi almeno 12 milioni di utenti 5G, al netto delle linee M2M (Machine-2-Machine) associate alle nuove applicazioni IoT che verranno sviluppate. Secondo la totalità dei soggetti intervistati da EY, questi numeri sono possibili solo non ci saranno restrizioni di mercato, quindi limiti all’utilizzo di soluzioni di aziende cinesi come Huawei. Un simile scenario si tradurrebbe infatti in un aumento dei tempi di sviluppo dell’infrastrutture di rete e in un aumento dei costi per gli operatori. I tempi sono essenziali per non perdere terreno, soprattutto quando si parla di competitività. Occorre ridurre i limiti burocratici e spingere sulle infrastrutture digitali come asset per il paese. Lo ribadisce in una recente intervista a Class Cnbc l’amministratore delegato di Vodafone Italia Aldo Bisio. Per l’A.D. «vanno accelerate le infrastrutture digitali, in particolare il 5G che è un must per il paese e la fibra in modalità Ftth». Inoltre, sostiene Bisio occorrerebbe «una legge obiettivo che ponga Ftth e 5G come opere di interesse preminente del Paese, per le quali non possano esserci impedimenti a livello locale da parte di chicchessia». Il riferimento va a quei comuni (più di 200) che in Italia hanno bloccato l’installazione delle antenne 5G ritenendole dannose per la salute, una fake news circolata insieme alle ipotetiche correlazione con la pandemia da Covid-19.
IL 5G E LA GUERRA FREDDA USA- CINA

C’è alta tensione tra le due superpotenze, in lotta su molti fronti e alle prese con la corsa alle reti di quinta generazione che garantiranno un vantaggio competitivo a chi guiderà la trasformazione
di Alessio Caprodossi
«Cina e Usa sono a un passo da una Guerra Fredda». Il virgolettato è dei giorni scorsi e a rilasciarlo non è stato un analista geopolitico ma Wang Yi, ministro degli Esteri di Pechino, che ha spedito una frecciata verso Washington nel corso dei lavori del Congresso del Popolo, il più importante appuntamento politico per i dirigenti della Repubblica Popolare. Parole dure e nette, che aggiornano e allungano il botta e risposta in voga da ormai quasi tre anni tra le superpotenze che combattono battaglie quotidiane, restando tuttavia lontano da una guerra che non conviene a nessuna delle due. La tensione però è alta e i venti di sfida continuano a soffiare forte nelle due direzioni per l’escalation di fatti, mosse, dichiarazioni al vetriolo e sgambetti che rimbalzano dall’Atlantico al Pacifico. Lo stesso Wang Yi, sempre a margine della riunione del parlamento cinese e a proposito delle accuse arrivate dagli americani (e non solo) sulla gestione cinese del Covid-19 – con lo Stato del Missouri a intentare per primo una causa contro il governo di Pechino – ha ribadito come i due paesi «dovrebbero collaborare e cooperare nel rispetto reciproco e senza avere conflitti», per poi aggiungere, come riportato dalla Reuters, che «negli Stati Uniti si sta diffondendo un virus pericoloso mirato ad attaccare la Cina».
IL CASO HUAWEI, ALLE RADICI DELLA TENSIONE
Sul tavolo delle accuse, quindi, c’è l’atteggiamento dei cinesi riguardo all’emergenza sanitaria e al ritardato allarme che per gli statunitensi ha innescato la diffusione nel resto del mondo del virus, con gli Usa che continuano ad aggiornare il conto di vittime e contagiati. Il Coronavirus però è solo la più recente tra le cause su cui viaggia il duello Cina-Usa, che passa anche dalle proteste di Hong Kong, con le potenziali ritorsioni americane e l’inammissibilità dei cinesi a considerare il punto di vista altrui sulle questioni interne. Per comprendere lo scenario attuale è necessario partire dalle origini, che non coincidono con i dazi sulle merci del paese del Dragone imposti da Trump, bensì risalgono a diversi anni prima, quando l’attuale presidente non era stato ancora neanche sfiorato dall’idea di trasferirsi a Washington e quando la tecnologia 5G era famigliare solo alla cerchia di addetti ai lavori. Come certificano le cronache di inizio ottobre del 2012, al termine di un’analisi sull’operato di Pechino, una commissione del Congresso statunitense dichiarò che Huawei e Zte fossero una potenziale minaccia per la sicurezza del paese, motivando l’accusa con l’impossibilità da parte delle due aziende di dimostrare documenti sui rispettivi rapporti con il governo cinese. In sostanza, quindi, per prevenire l’eventuale attività di spionaggio, militare e/o economico, nonché possibili attacchi informatici, la stessa commissione suggerì al governo di proibire alle due società di stipulare accordi e contratti sul territorio americano. All’epoca la Casa Bianca era occupata da Barack Obama, che mirò a contenere l’avanzata rivale, al contrario del suo successore, che durante le elezioni e nel corso del suo mandato ha voluto sfidare frontalmente la Cina. Un atteggiamento, quest’ultimo, culminato con la black list delle società cinesi impossibilitate ad avere rapporti commerciali con le aziende statunitensi, che ha provocato la reazione avversaria, non tanto con la creazione della contro lista nera, ma con il raffreddamento delle relazioni commerciali e la forte contrazione degli investimenti cinesi in Usa che, secondo un rapporto della National Committee on US China Relations e di Rhodium, nel 2019 si sono fermati a 5 miliardi di dollari (con una discesa costante dopo i 46 miliardi di dollari del 2016), mentre sull’altro versante gli Stati Uniti hanno puntato più di 14 miliardi di dollari sul mercato orientale.
RESTRIZIONI E ARRESTI
Tanti sono i fattori che hanno portato la Cina a guardare altrove, a cominciare proprio dal trattamento riservato da Trump a Huawei, considerato dai cinesi il cavallo di troia per tentare di frenare le mire del colosso di Shenzhen sullo sviluppo delle reti 5G. La multinazionale cinese è leader di mercato e a inseguirla non ci sono aziende a stelle e strisce ma le europee Ericsson e Nokia, che sono vicine ai cinesi (in particolar modo la prima) e le preferite dagli statunitensi. Oltre al ban sancito dal dipartimento del Commercio Usa il 20 maggio del 2019 ed esteso due settimane fa ai chip – con l’impossibilità per Huawei di stringere accordi commerciali con filiali straniere che utilizzano tecnologia americana (quindi pure con i taiwanesi di Tsmc, leader incontrastati nella produzione di semiconduttori), un altro duro colpo per l’ex secondo produttore al mondo di smartphone, dopo la forzata rinuncia alla suite di Google che nell’ultimo anno ha penalizzato le vendite dei dispositivi mobili cinesi nei mercati europei – a intensificare la tensione tra i paesi è stato anche l’arresto di Meng Wanzhou, direttrice finanziaria di Huawei e figlia del fondatore Ren Zhengfei, ancora bloccata a Vancouver (seppur in una villa di sua proprietà in attesa della possibile estradizione negli Usa, la cui richiesta è stata accettata dalla magistratura canadese) dopo il fermo avvenuto all’aeroporto della città canadese nel dicembre del 2018 su richiesta degli Stati Uniti, con l’accusa di aver violato l’embargo imposto all’Iran.
QUANTO VALE IL 5G
Schermaglie a parte, dunque, sullo sfondo del duello tra i due paesi c’è la questione 5G e per capirlo sono sufficienti numeri e peculiarità della tecnologia. Nel lustro 2015-2020 i principali operatori cinesi hanno investito circa 400 miliardi di dollari per lo sviluppo delle reti di quinta generazione, che trasformeranno non solo modalità e tempi di fruizione dei servizi ma permetteranno di cambiare il volto delle città, portare a compimento l’internet delle cose e dare un ulteriore grande impulso all’Intelligenza Artificiale. Arrivare prima degli altri e sfruttare il vantaggio competitivo è un imperativo per la Cina che vuole andare oltre la concezione di fabbrica del mondo, per diventare il paese leader anche sul versante tecnologico e dell’innovazione, come delineato dai piani quinquennali messi a punto dal presidente Xi Jinping (non a caso nel paese si lavora già allo sviluppo del 6G per un lancio tra 2030 e 2035). E per quantificare il punto di arrivo di tale percorso è utile lo studio commissionato da Qualcomm a Ihs Markit che, analizzando le trasformazioni generate dal 5G in agricoltura, edilizia, trasporti, servizi pubblici, manifattura e tutti gli altri ambiti, stima un valore di 13mila miliardi di dollari entro il 2035.
Un treno che non si può perdere, anche perché il 5G sarà l’elemento primario su cui si baseranno i futuri protocolli per le comunicazioni militari e la sicurezza informatica dei governi mondiali. Uno scenario che non piace agli Stati Uniti, se a guidare tale metamorfosi sarà Huawei. Per questo oltre che in casa lo sguardo degli uomini di Trump passa costantemente in rassegna i tanti paesi amici, dai più vicini come Inghilterra e Australia, fino a Giappone, Germania e Italia, che ospitano obiettivi sensibili come le basi militari. Del resto la guerra con la Cina non riporterà in auge missili, agguati e spedizioni aeree, perché si giocherà sull’alternanza tra furti di informazioni riservate, colpi da hacker e corsa alle nuove tecnologie, iniziata proprio con la caccia al trono del 5G.