- Vito Comencini: «Perché è importante aiutare i missionari cattolici in Eritrea e Niger»
Non si arresta la pressione del governo eritreo sulla Chiesa Cattolica. Come riferito dalla testata americana Crux, i vescovi locali stanno protestando per l’ulteriore giro di vite imposto dal governo autoritario di Asmara. Nel dettaglio, si sono recentemente verificate nuove confische e chiusure di scuole cattoliche. «Siamo profondamente rattristati e profondamente feriti dalle misure che il governo sta adottando con la forza o che ha già adottato, togliendoci le istituzioni educative e sanitarie che legittimamente ci appartengono» ha scritto l’episcopato in una lettera indirizzata, lo scorso 26 maggio, al ministro dell’Istruzione eritreo, Semere Re’esom. «Con la presente, denunciamo formalmente e respingiamo fermamente queste misure» hanno proseguito i vescovi. «Dichiariamo che la Chiesa Cattolica non cesserà mai di rivendicare la restituzione delle istituzioni sociali sottratte con la forza, così come il diritto di svolgere tutti i servizi di cui era stata privata» ha aggiunto la missiva.
Si tratta di una situazione grave, ma non certo nuova. Nel giugno del 2019, il governo eritreo decretò la requisizione e la chiusura di tutti i centri sanitari cattolici del Paese, innescando anche allora la dura reazione dell’episcopato locale. All’epoca il sito della Bbc ipotizzò che la misura fosse stata presa come ritorsione nei confronti del fatto che, nell’aprile precedente, la Chiesa avesse invocato delle riforme, con lo scopo di ridurre i flussi migratori diretti verso l’Europa. Come si può immaginare, quel provvedimento non costituì un duro colpo soltanto alla stessa Chiesa ma anche al sistema sanitario eritreo, visto che – sottolineò sempre la Bbc – il servizio pubblico locale risulterebbe particolarmente scadente.
In tutto questo, nel settembre del 2019, il governo di Asmara nazionalizzò alcuni istituti scolastici cattolici e – secondo quanto riferito all’epoca da Vatican News – anche alcune scuole legate al mondo protestante e musulmano. “Dichiariamo di non voler scendere a compromessi viste le violazioni dei diritti e dei doveri che ci spettano come cittadini e credenti. Non dimentichiamo che quando siamo privati di questi diritti, le prime vittime sono gli uomini e le donne di questo Paese”, tuonarono i vescovi in quell’occasione. Fu tra l’altro riferito che, all’epoca, l’episcopato cercò invano di intavolare un dialogo con il governo. Senza poi trascurare che – come riportato da Crux – molti di quegli istituti scolastici fossero stati realizzati proprio da missionari italiani circa 70 anni fa.
Ricordiamo a tal proposito che, secondo l’ultimo report dell’organizzazione Porte Aperte, proprio l’Eritrea figura al sesto posto tra i Paesi in cui i cristiani risultano maggiormente a rischio di persecuzione. Più in generale, il sistema politico del Paese presenta tratti fortemente autoritari: l’attuale presidente, Isaias Afewerki, è ininterrottamente al potere dal 1993 e su di lui pesano da tempo gravi accuse di violazione dei diritti umani, soprattutto per quanto riguarda l’incarcerazione degli avversari politici. I cattolici sono appena il 5% della popolazione totale del Paese (che si aggira attorno ai sei milioni di abitanti) e risultano al momento sono uno dei pochi gruppi religiosi autorizzati dal governo. Un governo che proprio in materia religiosa mantiene – soprattutto dalla metà degli anni Novanta – un atteggiamento particolarmente diffidente e guardingo. Verrebbe da chiedersi per quale ragione i fari della comunità internazionale facciano così fatica ad accendersi su questo contesto così grave.
Vito Comencini: «Perché è importante aiutare i missionari cattolici in Eritrea e Niger»
L’attività dei missionari cattolici in Africa sta diventando sempre più problematica e pericolosa. Nel silenzio generale, si verificano spesso episodi di intolleranza e o di vera e proprio persecuzione ai danni della Chiesa Cattolica in vari Paesi africani. Per cercare di comprendere la situazione (anche dal lato geopolitico) Panorama ha intervistato Vito Comencini, deputato leghista e membro della Commissione Esteri della Camera.
Vito Comencini, qual è la situazione della Chiesa Cattolica in Eritrea oggi?
«La principale problematica sorta in Eritrea è la questione delle strutture sanitarie, che il regime dittatoriale che c’è in questo momento ha messo fuori uso o comunque in difficoltà. La gran parte sono strutture cattoliche, portate avanti dai nostri missionari, dai nostri religiosi cattolici. In questa maniera, andando a colpire tali strutture, si va di fatto a colpire anche il precario sistema sanitario che c’è in Eritrea. La questione non è solo quella di occuparsi dei cristiani perseguitati, ma anche – in generale – della popolazione locale, che – grazie alla buona azione cattolica da questo punto di vista – disponeva di un servizio sanitario migliore. Tuttavia, l’azione di questo regime (e in generale questa politica di fatto anticristiana) va oltre, perché colpisce anche gli istituti scolastici e quindi in tal modo l’educazione e l’istruzione, che sono appunto i capisaldi che servirebbero all’Africa per uscire da alcune situazioni di forte arretratezza. Colpire l’aspetto sanitario e quello educativo in una zona così problematica significa assestare un duro colpo a quanto si può costruire di buono nel Corno d’Africa».
Quali sono in tal senso le sue iniziative parlamentari?
«Come Lega, abbiamo deciso di sollevare la questione a livello parlamentare nei confronti del governo, già ai tempi del Conte bis e anche adesso, per chiedere interventi da questo punto di vista. Avendo in passato l’Italia avuto un ruolo da protagonista nel Corno d’Africa, dovremmo cercare di tornare protagonisti, non lasciando spazio ad altri Paesi che vanno a intervenire in situazioni del genere (si pensi solo alla Turchia). Dovremmo fare quindi la nostra parte. E non solo per l’aspetto di influenza italiana su questa zona molto importante, ma anche per tutelare i nostri fratelli cattolici. Come cattolici sentiamo questo dovere nel chiedere un intervento da parte del Ministero degli Esteri. Un Ministero che finora però non ha dimostrato di avere a sufficienza il polso della situazione né di essere in grado di intervenire per riuscire a frenare queste situazioni. Situazioni che sono anche legate alla questione migratoria. Riuscire a intervenire in queste aree significa infatti anche portare avanti quella che è sempre stata la nostra politica dell””aiutiamoli a casa loro”. In questo senso, è importante sostenere l’attività dei missionari».
Mi pare quindi di capire che, almeno per ora, la Farnesina non si sia impegnata troppo su questo fronte.
«Sì, esattamente. Secondo noi, non ha dimostrato di essere in grado di intervenire né di comprendere l’importanza di essere protagonisti in questi territori. Tutto ciò rischia di lasciare spazio ad altre influenze straniere».
E invece qual è la situazione dei cristiani nel Niger?
«Il Niger è un frangente diverso. È un frangente in cui è l’Italia è protagonista con un contingente militare che svolge un’opera molto importante di addestramento e supporto alle forze armate nigerine. Anche lì tuttavia si registra una preoccupazione molto forte rispetto alle comunità cattoliche e ai nostri missionari, per quello che stanno vivendo. In questo senso, abbiamo già presentato due interrogazioni proprio per chiedere interventi sulla situazione dei cristiani in loco. Riteniamo che anche lì l’Italia debba giocare da protagonista. Da una parte, dovrebbe dare attenzione al contingente militare anche in termini di controllo dell’immigrazione clandestina; dall’altra parte, dovrebbe difendere i nostri fratelli cristiani, supportando i missionari. Una delle cose che dispiace è che, nella sua recente visita in Niger, Luigi Di Maio non abbia incontrato alcuni missionari che invece sarebbe stato opportuno incontrare, per ascoltarli e sostenere il grande lavoro che fanno, per dare speranza a questi Paesi. Non basta infatti l’addestramento militare, occorre anche lo sviluppo economico».