A oltre cinque anni dal sisma nel Centro Italia, il recupero dei territori colpiti è in grave ritardo. Fondi raccolti e mai spesi, burocrazia farraginosa che blocca gli interventi su abitazioni ed edifici pubblici. Con questi precedenti, anche il Piano nazionale di ripresa e resilienza appena partito rischia di impantanarsi nelle stesse procedure soffocanti.
Cinque anni dopo è tutto uguale, o poco ci manca. Con intere comunità sradicate, che ormai stanno programmando la propria vita altrove, lontana da quei borghi distrutti dal terremoto del Centro Italia dove restano ancora macerie da rimuovere, e il tentativo di ricostruzione procede con fatica. Una speranza soffocata dalla burocrazia e da una legislazione farraginosa. La stessa che, oggi, può stroncare le ambizioni del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), perché il passo è quello e la semplificazione resta soprattutto uno slogan da agitare. Addirittura, dei fondi raccolti con le donazioni solidali degli italiani è stata effettivamente impiegata solo metà della cifra. Stando ai calcoli della Corte dei conti, l’altra metà è ancora «giacente».
Erano le 3 e 36 del 24 agosto 2016 quando un violento terremoto colpì la valle del Tronto e Amatrice. Venti secondi di scossa. Non di più. Tanto bastò per rendere un campanile – quello di Sant’Agostino – il simbolo di un sisma dopo il quale non restavano altro che fumo e macerie. A quella prima scossa ne seguirono altre nelle ore e nei mesi successivi, tanto che un anno dopo lo stesso campanile è crollato.
Il bilancio è stato 303 morti, altre centinaia di feriti, oltre 40.000 sfollati e circa 16 miliardi e mezzo di danni nelle quattro regioni colpite (Lazio, Marche, Umbria e Abruzzo). Da allora si sono succeduti cinque governi, Renzi, Gentiloni, Conte, Conte bis e Draghi, e quattro commissari, Vasco Errani, Paola De Micheli, Vito Crimi e Giovanni Legnini, ma le promesse di rapida ricostruzione sono rimaste parole.
E visti questi precedenti, oggi ci si chiede come il nostro Paese, con la sua elefantiaca macchina normativa, sia in grado di gestire i 209 miliardi in arrivo dall’Ue per il Recovery Fund. «I provvedimenti vengono scritti da burocrati che elaborano procedure sempre più complicate» osserva Paolo Trancassini, parlamentare di Fratelli d’Italia. «Poi, invochiamo interventi per la loro semplificazione».
Un esempio indicativo di malfunzionamento della ricostruzione riguarda gli sms solidali per le popolazioni terremotate: grazie alla generosità degli italiani, la Protezione civile aveva raccolto 34,5 milioni di euro. Ma solo 14 risultano spesi. Dai piccoli ai grandi numeri, al 31 dicembre 2020, per le attività della gestione commissariale sono a disposizione 4,118 miliardi di euro, ma 2,7 miliardi sono stati impegnati. Il resto è rimasto sui conti.
Va ancora peggio se si passa dagli impegni di spesa alle effettive erogazioni: fino al 30 giugno 2020 eravamo al 9,7% dei finanziamenti programmati, oggi è stato raggiunto il 17% grazie all’accelerazione impressa dall’attuale commissario Legnini, nominato a febbraio 2020. Ma si è ancora distanti dagli obiettivi: meno di un euro su cinque è stato effettivamente erogato per far ripartire i territori.
Sono numeri, dati e fatti messi nero su bianco da una relazione Corte dei conti che punta il dito ancora una volta contro una burocrazia paralizzante. «L’organizzazione della struttura commissariale è risultata complessa e di difficile gestione, anche in ragione della stratificazione delle norme» scrivono nelle conclusioni i magistrati contabili. Ma c’è di più: «Al momento sono in corso sei processi di ricostruzione nel Paese, ciascuno con una disciplina speciale, proprie procedure e modelli di “governance” diversi».
Un disastro tanto che non siamo stati capaci, in cinque anni, neanche di raccogliere i dati sui danni. La loro stima risale al febbraio 2017. Da allora ogni censimento effettuato è risultato «non esaustivo» e i tentativi di quantificare le situazioni critiche o aggiornare valutazioni esistenti è naufragato.
Se ancora ad Arquata del Tronto o ad Accumoli, due dei paesi dove il sisma ha colpito più duramente, si cammina tra le macerie, sono più che legittimi i dubbi sull’inadeguatezza dell’Italia nel rendere il Pnrr qualcosa di concreto o, come si dice oggi, «passare alla messa a terra» al di là della teoria. «Facessero come vogliono a Palazzo Chigi! Io non farò domanda per nessun bando o iniziativa… Sono ancora in attesa di capire quando riceverò i soldi per casa mia» si lamenta Michele, ex tabaccaio marchigiano la cui abitazione è stata lesionata dalle scosse. Fa parte delle 6.721 persone che hanno avanzato richiesta per «danni lievi» solo nell’ultimo anno.
Le domande presentate – dopo cinque anni – riguardano ancora circa 22.000 edifici privati. «E per forza» fa eco Franca che ad Amatrice aveva una piccola attività «con tutte le leggi che si sono succedute nessuno ci ha capito più nulla. E così si va in ritardo».
Proprio le istanze relative ai danni lievi sono state prorogate 11 volte. Un caos legislativo. «Fin dall’inizio era chiaro come i criteri burocratici fossero più complicati rispetto alle gestioni ordinarie» aggiunge Trancassini, che fino al 2019 è stato sindaco di Leonessa (Rieti), uno dei comuni del cosiddetto «cratere», la zona maggiormente colpita dal sisma: «Nelle situazioni che si vengono a creare c’è una totale assenza di buonsenso. È stato prorogato lo stato di emergenza, ma al cittadino non sono stati prolungati i mutui sulle macerie da rimuovere e sulle bollette».
L’emendamento in Legge di bilancio è stato respinto. Perché, osserva amaro Trancassini, «il terremoto è ormai sparito dai radar della politica. Si parla di Pnrr ma, per ciò che vedo, anche su quello si rischia il solito groviglio di competenze». I ritardi maggiori riguardano i finanziamenti post sisma in arrivo dall’Europa. Al 30 settembre 2021 risultano erogati 400 milioni su 2,3 miliardi programmati. Appena il 16% del totale. Un caso emblematico è quello dell’Abruzzo e delle 15 scuole su cui, in teoria, si doveva intervenire: a fine 2020 il presidente di Regione aveva ricevuto 2,47 milioni e risultano spesi 67.000 euro.
«I territori vengono utilizzati come cavie» nota Stefania Pezzopane, deputata abruzzese del Pd che ha seguito da presidente della Provincia dell’Aquila l’iter della ricostruzione. La parlamentare indica un altro motivo cruciale di inefficienza: «A ogni terremoto si propongono sempre nuovi modelli d’intervento, le procedure vengono riviste di volta in volta. Manca un meccanismo univoco in caso di evento sismico, ancora oggi vengono modificate le norme sulla ricostruzione del 2009». Altro esempio concreto. «Di fronte a un piccolo abuso, spesso compiuto nei decenni precedenti, si blocca lo stanziamento per la ricostruzione. Ma è possibile interrompere per tre-quattro anni il rifacimento di un immobile perché è stata aggiunta una finestra in più dal bisnonno?».
Com’è intuibile, il problema va ben oltre i confini dell’Aquila. Il Lazio, governato da Nicola Zingaretti, non se la passa meglio. Per gli alloggi popolari il sub-commissario Zingaretti ha emanato svariate ordinanze, eppure il programma «risultava ancora in fase embrionale alla data del 31/12/2020». Stesso spartito per gli interventi sui dissesti idrogeologici: dei 12,8 milioni stanziati risultano effettivamente impiegati poco più di 64.000 euro.
Uguali ritardi e inefficenze in Umbria dove neanche sono note, al di là dei fondi a disposizione, le effettive uscite per interventi su opere pubbliche. Eppure le cose potrebbero cambiare. «Servirebbe un modello certo per la ricostruzione» ragiona Trancassini, indicando una serie di passaggi: «Occorre una strategia nell’immediato, prendendo come esempio L’Aquila, con il capo della Protezione civile che interviene nell’emergenza grazie a poteri speciali per ripristinare strade, acquedotti, servizi principali. Il secondo passo è il “modello Friuli”, l’unico che ha davvero funzionato nelle calamità di questo Paese: qui i sindaci hanno gestito direttamente la ricostruzione. In questo modo viene “perimetrata” la zona colpita dal sisma e qualsiasi intervento sugli edifici diventa opera pubblica». Fin qui la teoria. Per la pratica i tempi non sono ancora maturi.