Un membro della famiglia reale del Paese che organizza i Mondiali di calcio 2022 conclude un affare da 6 miliardi di dollari. Peccato che la transazione in cui è coinvolto anche un faccendiere italiano si riveli un «bidone».
Ci sono un arabo, un italiano e un parco giochi che vale 6 miliardi di dollari. Anzi no, i 6 miliardi non ci sono più: al loro posto, una truffa colossale e una sentenza di tribunale inapplicata. Sembra una barzelletta, ma è quanto accaduto tra il Qatar, l’Italia e la Gran Bretagna dopo che è avvenuta la frode per mezzo di un faccendiere torinese pluricondannato.
Vediamo di spiegare l’intricata storia e capire dove siano finiti quei soldi (spoiler: sono ancora in Qatar nel conto del truffatore che è molto conosciuto, ma rifiuta anche categoricamente di restituirli nonostante la condanna in primo grado). Il truffatore altri non è che lo sceicco Fahad bin Ahmad bin Mohamed bin Thani Al Thani. Se il cognome vi suona familiare è perché Fahad è un membro della potente e ricca famiglia degli Al-Thani, ovvero la tribù che governa la penisola del Qatar da oltre un secolo e i cui rampolli del re-emiro negli ultimi dieci anni hanno fatto grandi affari in Europa, acquisendo marchi di moda come Valentino, hotel di lusso in Italia e nel mondo, e facendo svariate immissioni di capitale in aziende del calibro di Vivendi, Lvmh, Porsche, la stessa Volkswagen e Shell. Nonché coloro i quali si sono aggiudicati i Mondiali di calcio 2022 grazie a una serie di bustarelle, anche ai rappresentanti della Fifa (l’inchiesta è tutt’ora in corso).
Fahad, in particolare, è il cugino primo dell’emiro che governa il Paese. Ed è lo stesso sceicco che nel 2003 aveva violato le sanzioni dell’Onu, facilitando l’importazione in Iraq di dispositivi di puntamento laser dual use (a doppio uso civile e militare) in piena Guerra del Golfo. Insomma, un personaggio affidabile.
Grande appassionato di calcio, avrebbe in seguito tentato di acquistare da Massimo Cellino (ex patron del Cagliari) il Leeds United. Si dice che l’operazione non si chiuse perché la Federazione inglese si oppose, vista la reputazione dello sceicco. Non solo. I suoi fratelli Khalid, Jassim e Hamad, sono i membri fondatori dell’Al Gharrafah Fc, un club di calcio di successo nel campionato locale del Qatar, il cui presidente è Jassim bin Thamer, cugino di primo grado dello sceicco. Ed è proprio su questo punto – cioè sulla credibilità del Qatar in vista dei Mondiali di calcio 2022 – che il nostro fa un incontro decisivo.
Quello con un altro faccendiere dal curriculum non proprio specchiato: si tratta di Antonio Castelli, sedicente intermediario finanziario che gestisce una società di obbligazioni denominata InProgramme, controllata dallo stesso Castelli. Lo sceicco Al Thani, fiutata l’abilità dell’italiano, decide di entrare nella società e allarga le ramificazioni di InProgramme in Svizzera, Libano e ovviamente in Qatar. Castelli sarà così il rassicurante volto occidentale da presentare ai nuovi investitori nella costruzione di stadi e immobili per il grande appuntamento sportivo. Ma Castelli all’epoca è già noto alle procure, perché nel 2009 ha inondato l’Italia di polizze fideiussorie considerate «buone solo per la spazzatura», perché prive di copertura patrimoniale. Il torinese è stato particolarmente creativo: ha siglato 5.875 polizze-truffa, per un valore di quasi 470 milioni di euro. Viene così arrestato nel 2012 per aver prosciugato i risparmi di ben 600 clienti, patteggiando un anno e otto mesi.
Non solo. Castelli ha avuto problemi anche con Banca Mediolanum, che sempre in quel fatidico 2009 si era insospettita per il fatturato della società InProgramme, che appariva incompatibile con l’entità di titoli depositati: 400 mila euro a fronte di un’obbligazione per 25 milioni. La Procura di Milano, infatti, dopo la segnalazione, nell’estate dello stesso anno dispone il sequestro del titolo per riciclaggio.
Anche lo sceicco Al Thani viene interrogato dalla procura sul suo legame con InProgramme e con Castelli, ma dichiara di non essere a conoscenza di quei fatti e sostiene, anzi, che un ex partner commerciale gli ha rubato informazioni. Le attività truffaldine della coppia italo-qatariota sembrano destinate a terminare qui. Ma non disponendo di prove che dimostrino un rapporto più profondo tra lo sceicco e Castelli, e ottenendo un muro di gomma dal Qatar e dal Libano, la procura è costretta ad archiviare.
I due tuttavia tornano in pista. Ed ecco che nello stesso 2009 spunta una nuova potenziale vittima di raggiri. Stavolta si tratta della Fondazione Swifthold, un fondo fiduciario di una famiglia anglo-spagnola, con sede a Panama e uffici a Londra. All’epoca, la Swifthold stava cercando di raccogliere fondi per la costruzione di centri e parchi di divertimento nelle principali città del mondo, e aveva pianificato l’apertura in aree particolarmente frequentate dal turismo di massa. E qui torniamo al punto con cui si è aperta la nostra storia: quale miglior destinazione se non la futura sede dei Mondiali di calcio più costosi di sempre?
Quando i membri di Swifthold incontrano l’intermediatore Castelli, ne ignorano i precedenti, mentre si fidano della presenza nell’affare di un membro della famiglia reale del Qatar, proprio il nostro Fahad Al Thani. Castelli suggerisce agli inglesi di utilizzare delle obbligazioni emesse da un’altra società, la Luxor Global Plc: le polizze sarebbero servite come garanzia per un prestito, che poi avrebbe potuto essere utilizzato per il commercio di titoli.
Somiglia al gioco delle tre carte, ma in effetti lo schema è piuttosto semplice: la Fondazione sborsa parte dei soldi richiesti e Castelli garantisce che l’investimento non subisca variazioni ma rimanga a tasso d’interesse fisso sino a che il parco divertimenti non sarà realizzato. Nella truffa viene coinvolta anche la Landbank Limited, che aveva intenzione di utilizzare la sua quota di fondi per costruire un resort di lusso in Libia chiamato Green City. Inutile dire che non accadrà mai.
Ma tutto questo gli inglesi non potevano saperlo. Così, il 15 luglio 2009 dopo la firma dell’accordo erogano i soldi, due obbligazioni da 450 miioni di dollari, seguite da una successiva da un miliardo in favore di InProgramme, e aspettano notizie sullo stato dei lavori. Che però non arrivano. Da Londra iniziano allora (agosto 2009) a scrivere lettere allo sceicco Fahad senza ottenere risposte.
Pertanto, nel luglio 2010 Swifthold avvia un procedimento legale presso l’Alta Corte inglese, che il 26 luglio 2011 riconosce al fondo fiduciario 4 miliardi di risarcimento più gli interessi (i famosi 6 miliardi). La famiglia Al Thani suggerisce a Fahad di non lasciare più il Qatar, per sicurezza.
La sentenza viene confermata in primo grado anche dal tribunale di Doha, che finalmente nell’estate del 2019 emette un atto di esecuzione per riconoscere formalmente la condanna al pagamento anche nell’emirato. Ma ancora oggi, gli inglesi stanno aspettando. Gli avvocati della fondazione truffata, con a capo Christopher DeLise raccontano oggi a Panorama: «La frode su Swifthold si è verificata prima che le cattive azioni di Castelli fossero conosciute, e inizialmente non eravamo neanche a conoscenza del coinvolgimento del mediatore italiano in InProgramme».
Ma che possibilità di risarcimento c’è per la Fondazione a oltre dieci anni dai fatti? «Anche se ci è voluto molto tempo per arrivare a questo punto, la sentenza è valida e si sta facendo strada attraverso i tribunali del Qatar. Una volta superati gli ostacoli legali, la Corte dell’emirato dovrebbe essere in una posizione forte per sequestrare i beni in modo da soddisfare la sentenza».
Qual è la vostra opinione sullo sceicco e sul suo modo di fare affari? «Lo sceicco ha dimostrato e di barattare il prestigio e il buon nome della famiglia reale del Qatar per dare alle sue vittime un falso senso di sicurezza, dopo di che se ne è approfittato attraverso schemi fraudolenti e false dichiarazioni». Ma voi non avete mai avuto contatti con il resto della famiglia Al Thani? «Molti dei nostri consulenti hanno parlato con la famiglia reale sulla questione. Loro sono pienamente consapevoli della situazione e sostengono i nostri sforzi per risolvere la questione attraverso i tribunali».
Sarà. Ma la famiglia reale del Qatar – peraltro al centro di ben più grandi controversie geopolitiche legate alla violazione dell’embargo iraniano e per tali ragioni in aperta rottura diplomatica con l’Arabia Saudita e gli Stati Uniti – non esce molto bene da questa storia. Un memento (forse tardivo) in vista dei Mondiali 2022 in Qatar, dove molti imprenditori hanno già investito pesantemente. Intanto, a battaglia legale ancora in corso, lo sceicco Fahad Al Thani continua a godersi la vita nelle sue residenze di Doha, spendendo il molto denaro e infischiandosene dell’intera vicenda. Probabile che lo si veda prima allo stadio a sbracciarsi sugli spalti durante la finale dei Mondiali, che non in un’aula di tribunale.