Per rispondere alla domanda di trapianti, il dragone schederebbe medicalmente milioni di prigionieri. Per poi ucciderli a richiesta
Il trapianto d’organi è una terapia che ha salvato la vita a milioni di pazienti in tutto il mondo ed è uno dei più grandi successi della medicina moderna. Tuttavia, una fornitura limitata di organi da donatore, unita a una enorme richiesta, ha alimentato il business illegale globale del traffico di organi che sfrutta chi è ai margini della società, i poveri e i perseguitati, come fonte di «pezzi di ricambio» acquistabili da ricchi turisti in attesa di trapianto.
Anche se questa pratica si verifica in molti Paesi – per esempio in Nord Africa e Medio Oriente, come provato dal Rapporto globale 2020 dell’Ufficio delle Nazioni Unite per il controllo della droga e la prevenzione del crimine – in Cina il fenomeno assume proporzioni preoccupanti. Ogni anno vi vengono effettuati tra i 60 mila e i 100 mila trapianti di organi, da sei a dieci volte quelli ammessi dal Partito Comunista cinese il cui programma basato su queste pratiche è il secondo più grande al mondo.
Operazioni che hanno iniziato ad aumentare vertiginosamente a partire dai primi anni Duemila, senza però che a ciò corrispondesse un adeguato aumento dei donatori volontari. Il che, da un lato ha portato inevitabilmente al crescere della domanda senza un’offerta adeguata; dall’altro, le operazioni sono continuate a ritmi serrati e senza alcuna scarsità apparente di organi. Per questo motivo le Nazioni Unite, attraverso alcune indagini dell’Ufficio per il controllo della droga e la prevenzione del crimine (Unodc) hanno cominciato a far luce sul caso. E ciò che hanno scoperto è inquietante.
Si dà infatti il caso che, durante il periodo di rapida crescita dei trapianti, i praticanti della disciplina buddista del Qi Gong, nota come Falun Gong, siano stati perseguitati, detenuti e quindi giustiziati in massa dal governo (in Cina la pena di morte è applicata a numerosi reati, tra cui rapina, frode, evasione fiscale, gioco d’azzardo e bigamia, per dire). Allo stesso modo, a partire soprattutto dal 2017, Pechino ha avviato una campagna di detenzione di massa, sorveglianza e lavoro forzato specificamente diretto contro il gruppo etnico degli Uiguri, popolazione di religione musulmana proveniente dalla regione dello Xinjiang. Per capire come funziona questo sistema potrebbe bastare un esempio: poniamo che un paziente in Germania necessiti di un trapianto cardiaco che potrebbe salvargli la vita, ma purtroppo debba restare nella lista d’attesa fino a morte avvenuta di un donatore compatibile e in condizioni adeguate. Tutto questo può richiedere settimane, mesi o addirittura anni. In Europa, la media di attesa per un rene è intorno ai due anni, negli Stati Uniti tre. Ma una soluzione rapida esiste: uno specifico programma di trapianti in Cina è in grado di garantire un netto anticipo sui tempi, in virtù dell’alta probabilità di disponibilità che esso assicura. Ora, dato che un trapianto cardiaco può provenire solo da donatori deceduti, come può il programma sanitario cinese dare simili garanzie? Com’è possibile sapere in anticipo quando quello specifico donatore morirà? Un modo esiste, come vedremo tra poco.
L’analisi forense condotta dopo il 2015 da figure come Matthew P. Robertson, ricercatore di China Studies presso il Victims of communism memorial foundation (Voc), organizzazione nonprofit basata a Washington, Stati Uniti, indica che il governo di Pechino falsifica regolarmente i dati sui trapianti di organi per mascherare le loro crescenti pratiche di prelievo forzato. In questo modo, il reparto trapianti del Primo Ospedale affiliato all’Università medica cinese di Shenyang può orgogliosamente affermare che, riguardo ai reni, «potrebbe essere necessaria una settimana per trovare un donatore compatibile» ma in ogni caso «il tempo massimo di attesa è di un mese».
Non solo. Se viene scoperta una situazione anomala per l’organo da trapiantare, il centro «si renderà responsabile nello scegliere un nuovo donatore per il paziente e ricominciare l’operazione entro una settimana». Se dunque la Cina è in grado di procurarsi un rene entro una settimana, si teme (si ha quasi la certezza, anzi) che vi sia un alto numero di donatori viventi tipizzati che possono essere giustiziati su richiesta. E che questi corrispondano esattamente ai condannati per reati gravi e alla popolazione degli uiguiri internati nei campi di prigionia. Questi ultimi sono stati sistematicamente presi di mira dal governo, e negli ultimi cinque anni con particolare ferocia e crudeltà: secondo numerose testimonianze fornite da organi terzi, i funzionari cinesi hanno persino intrapreso una raccolta su vasta scala di campioni di sangue, Dna e altri dati sanitari grazie a test invasivi, tac, radiografie, ultrasuoni e altro ancora, su ogni detenuto che varchi la soglia di un penitenziario la Cina comunista.
Tutto questo è emerso da un corposo report della citata organizzazione Victims of communism memorial foundation (Voc), che ha condotto un esame sulle esecuzioni capitali extragiudiziali per il prelievo di organi da parte degli apparati del Partito comunista cinese, e fornito prove alla base di tali accuse.
Il rapporto redatto da Matthew P. Robertson (e di recente pubblicato sulla rivista di etica medica BMC Medical Ethics) raccoglie dati provenienti da oltre 300 ospedali cinesi a partire dal 2000, in particolare basandosi sulla statistica forense per dimostrare la falsificazione dei dati del registro cinese dei donatori di organi. Sono così riportati documenti d’archivio, discorsi interni e circolari del Partito Comunista, documenti clinici, manuali e testi di trapianto, oltre a centinaia di dati archiviati sui siti web degli ospedali specialisitici. Le appendici di questo rapporto (disponibili online) contengono anche il primo tentativo di creare un quadro completo delle dichiarazioni ufficiali sul volume dei trapianti di organi, rivelando una serie di discrepanze e tentativi evidenti di manipolare retroattivamente le cifre verso il basso.
Leggendo le oltre 150 pagine del report di Voc emerge che dal 2000 al 2004, la Cina ha più che triplicato il numero di ospedali che effettuano questo tipo di interventi, portando a una crescita del volume di trapianti di rene del 510 per cento; del fegato del 1.820 per cento; di cuore del 1.100 per cento; e di polmone addirittura del 2.450 per cento. Dopo lo scandalo seguito alla pubblicazione del rapporto, i funzionari del governo di Pechino hanno inizialmente affermato di aver utilizzato in quel periodo solo organi donati volontariamente; ma poiché un così eccezionale volume non poteva essere spiegato con quella scusa, hanno dovuto ammettere che provenivano in effetti dai prigionieri nel braccio della morte.
Ethan Gutmann, ricercatore e attivista per i diritti umani, ha dichiarato al giornale israeliano Haaretz che alla fine del 2020 erano circa 15 milioni i soggetti «sottoposti a visite mediche essenziali per controllare le corrispondenze degli organi da trapiantare». Di questi, oltre un milione erano Uiguiri detenuti nei campi di prigionia. Gutmann ha quindi stimato che la Cina uccida almeno 25 mila persone ogni anno per prelevare loro gli organi. Il suo racconto lascia attoniti: nei pressi dei campi di prigionia sarebbero stati costruiti non solo aeroporti per il trasporto rapido dei «pezzi sostitutivi», ma persino forni crematori per smaltire i corpi. I clienti sarebbero principalmente cinesi ricchi e bisognosi di cure, disposti a pagare cifre folli. Tuttavia, ha aggiunto, «ci sono anche turisti d’organi e tra loro giapponesi, sudcoreani e musulmani degli Stati del Golfo che preferiscono organi “halal” (accettabili dalla legge islamica, ndr) prelevati da musulmani come gli uiguri». Quanto vale tutto questo in termini di denaro? Secondo alcune stime almeno 1,2 miliardi di dollari all’anno. Ma in termini di umanità perduta, non c’è prezzo per questo orrore.