Nella più blasonata dinastia italiana la convivenza al vertice diventa sempre più difficile. Andrea ha commesso troppi errori con la Juventus e il plenipotenziario John Elkann non sopporta più costi economici e danni all’immagine. Reduce dai successi nella cessione di Fca, ora deve risolvere il nodo familiare. Magari tagliandolo.
Dopo la figuraccia della Superlega, dai giornali inglesi sono arrivate le prime indiscrezioni sulle prossime dimissioni di Andrea Agnelli da presidente della Juventus. Il 20 aprile, la società bianconera ha smentito seccamente. Venti giorni dopo, è arrivata la disfatta dello 0-3 in casa con il Milan, nello scontro diretto per l’accesso alla prossima Champions League. Qualificazione poi conquistata all’ultimo respiro, grazie al suicidio del Napoli.
Tre giorni dopo, il 12 maggio, ecco le immagini che dovrebbero rinsaldare la rappresentazione pubblica di un rapporto ai minimi storici. Andrea Agnelli e il cugino John Elkann, azionista di riferimento della Juventus attraverso la holding di famiglia Exor, accompagnano Cristiano Ronaldo a Maranello. Il centravanti portoghese doveva ritirare la sua nuova Ferrari Monza da 1,6 milioni di euro. L’unico che sorride, quel giorno, è CR7. A Torino, i maligni già dicono: l’anno prossimo, due su tre non ci saranno più.
Nonostante quella gita con fotografi al seguito, non si placano le voci sul malcontento di Elkann per l’ultimo biennio della Juve. Per tappare i buchi di una gestione diventata fallimentare con l’allontanamento di Beppe Marotta e Massimiliano Allegri, servirebbe un altro aumento di capitale da 300 milioni, dopo quello del gennaio 2020. Ma non succede nulla. Il 27 maggio, ad Amsterdam, è andata in scena l’assemblea di bilancio della Exor e il presidente John Elkann ha parlato di tutto l’impero, periferie comprese, senza dire una sola parola sulla Juventus. Un silenzio incredibile. Ricapitalizzazione che non serve più (magari entra un nuovo socio), o l’arrivo di soldi freschi è legato alle dimissioni del cugino?
Se si scorre l’albo della squadra si nota come la presenza di un Agnelli alla guida del club sia una rara eccezione. Rara e prudente, perché il calcio è uno sport di emozioni forti, unisce e divide, scatena amori e gelosie. Ma «solo le cameriere si innamorano», diceva sempre Gianni Agnelli. E così, per trovare un altro Agnelli alla guida della Juve bisogna andare alla presidenza di Umberto (1955-1962), preceduto dal fratello Gianni nel primo dopoguerra (1947-1954). Andrea, figlio di Umberto, prende in mano la società il 19 maggio 2010 e, pur non essendo mai riuscito a centrare la vittoria della Champions League, fino a due anni fa ha raccolto successi, con i famosi nove scudetti consecutivi. Negli ultimi tempi, però, è accaduto di tutto: la sostituzione inspiegabile di Beppe Marotta come amministratore delegato; l’acquisto costosissimo di un Ronaldo (115 milioni) in fase calante (36 anni) senza riuscire a cedere un gioiello incompatibile come Paulo Dybala (27 anni); due allenatori a libro paga come Maurizio Sarri e l’esordiente Andrea Pirlo; lo smacco dell’inchiesta della Procura di Perugia sull’esame finto di Luis Suárez e la micidiale autorete del golpe Superlega, che ora rischia di causare anche la squalifica del club in Europa.
Il tutto condito da un oggettivo sfregio al famoso «stile Juve», ben rappresentato dalla folle vicenda del passaporto di Suárez, che ha irritato non poco il cugino John. Il quale, però, era già nervosetto per i numeri della gestione. Chi segue il mondo della scuola conosce l’autorevolezza delle ricerche che arrivano puntualmente dalla Fondazione Agnelli, presieduta da John Elkann. Il consiglio elargito da Torino a ministri, insegnanti, presidi ed educatori della Repubblica, da anni, è uno solo: «merito». Ecco, se le ricette della Fondazione andassero applicate al management della Juve, a cominciare da Andrea Agnelli e dal suo braccio destro Pavel Nedved, sarebbero dolori.
L’ultima semestrale al 31 dicembre ha fatto registrare un rosso di 113,7 milioni (+126 per cento sull’anno precedente), attribuito in gran parte agli effetti dei lockdown sugli incassi al botteghino. Prevedere come chiuderanno i conti del 2020-2021 non è facile, perché il calcio ha una notevole stagionalità, ma di sicuro ci sarà una perdita importante. In ogni caso, nei dieci anni dell’era Andrea Agnelli, la Juventus ha perso, fino allo scorso 31 dicembre, 266 milioni di euro. Solo tre volte, dal 2014 al 2017, ha chiuso in attivo. Non è andata molto meglio in Piazza Affari, dove il titolo ha esordito il 21 dicembre del 2001 a 3,48 euro per azione e oggi vale 0,75 euro.
Insomma, chi avesse comprato azioni Juve dal primo giorno, oggi avrebbe una perdita potenziale del 78 per cento sul proprio investimento. Immaginate la gioia di Exor e del cugino John, che ha in mano il 63,8 per cento di un club che oggi in Borsa vale un miliardo tondo. E che a Natale di due anni fa è costato una ricapitalizzazione da 300 milioni.
A onore di Agnelli, però, va detto che nel maggio 2010, quando è diventato presidente, il titolo in Borsa boccheggiava a 30 centesimi, quindi ben sotto la metà di oggi. A parte i nove scudetti nel deserto della Seria A, è questo il suo unico successo concreto. Per capire che servirebbe una nuova ricapitalizzazione, bastano due dati: l’indebitamento finanziario netto al 31 dicembre è a quota 357,8 milioni e il patrimonio netto è sceso a 125,5 milioni. Insomma, servono di nuovo soldi freschi e in molti scommettono che Exor non li sgancerà, o lo farà solo chiedendo un passo indietro al presidente. La holding guidata da John Elkann, invece, vive una stagione gloriosa, macina utili e cedole, compresi i 5,5 miliardi di dividendi straordinari per la cessione di Fca.
I cugini però ogni tanto si vogliono bene. Almeno John ad Andrea. Anche se nel 2015, quando il presidente della Juve lasciò la moglie Emma Winter per mettersi con Deniz Akalin, ex modella turca e moglie di un dirigente del club bianconero, per qualche mese a corte scese il gelo con John e la consorte Lavinia Borromeo. Poi sono arrivate due bambine e si è tornati allo stadio tutti insieme.
Nel frattempo, John è stato assorbito dalla vendita dell’auto ai francesi di Psa-Peugeot con la nascita di Stellantis, affidata alla guida di Carlos Tavares. Il manager portoghese ha fama di essere un formidabile tagliatore di teste e di costi vari. Ma i cugini torinesi gli hanno giocato uno scherzetto non da poco.
Ecco che cosa si legge nell’ultimo bilancio della Juve: «In considerazione della reciproca soddisfazione della partnership tra Juventus e il brand Jeep dalla stagione sportiva 2012/2013, nel mese di dicembre 2020 Juventus e Fca Italy S.p.A. hanno raggiunto un accordo per il rinnovo della sponsorizzazione della maglia di gara per le stagioni sportive 2021/22, 2022/23 e 2023/24».
L’accordo prevede per la Juve l’incasso di 45 milioni l’anno, oltre a premi aggiuntivi in funzione dei risultati sportivi. Stellantis è nata il 16 gennaio e chissà se avrebbe staccato lo stesso assegno da 135 milioni alla Juve. Da settimane gira il nome del successore di Andrea Agnelli, che sarebbe stato individuato da John Elkann in un altro cugino, l’allampanato Alessandro Nasi, 47 anni, compagno di Alena Seredova, ex moglie del portiere Gianluigi Buffon. Ma al momento è tutt’altro che cosa fatta. Il punto di forza su cui può giocare Andrea al cospetto del resto della famiglia è che se la «sua» Juve imbarca acqua, non è da meno la Gedi di John, che con la Repubblica e La Stampa ha perso 166 milioni nel 2020.
I due business hanno in comune un aspetto meta-finanziario: pallone e carta stampata, ormai ben lungi da essere imprese con le quali si guadagnano soldi, servono a mantenere alto il consenso. Un consenso del quale c’è bisogno ancora per qualche anno, mentre si materializza il lungo addio all’auto e all’Italia. E poi, gli equilibri in Exor sono tali per cui è assai difficile far fuori Andrea senza mettere a rischio la pace nell’intera holding.
La cassaforte olandese che controlla, oltre che la Juve e Gedi, anche la Ferrari, le assicurazioni PartneRe, Cnh Industrial e la quota in Stellantis, vede come azionista di maggioranza la Giovanni Agnelli B.V., sempre olandese, con il 52,9 per cento. Ed è qui che si pesano i vari rami della famiglia. In ordine di importanza, ci sono gli eredi di Gianni Agnelli con il 38 per cento, quelli di Umberto con l’11,8 per cento e i discendenti di Giovanni Nasi con l’8,8 per cento. Insomma, per silurare il cugino Andrea, John dovrebbe federare mezza famiglia, con il rischio però di scatenare una guerra che il pallone non merita. Il tutto per issare sulla tolda bianconera Alessandro Nasi, manager più rodato e affine, che però ha un problema: sarebbe un ottimo presidente, ma del Torino. Squadra della quale è grande tifoso.