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Andy Capp, il supereroe da divano

Andy Capp, il supereroe da divano

Il protagonista dei celebri fumetti di cui leggevamo le avventure sulla Settimana enigmistica riappare in un volume che ne riedita le strisce uscite in Inghilterra dal 2007. Ottima idea: perché quell’ubriacone pigro maltrattato dalla moglie ci mancava davvero.


Ve l’avessero detto anche solo dieci anni fa, non ci avreste creduto. Eravate abituati a leggerne le avventure – ripetizione costante e confortante – sulle pagine della Settimana enigmistica. I bisticci di Carlo e Alice vi strappavano un sorriso leggero, talvolta uno sghignazzo. Rientravano nel novero delle dolci, vecchie, care cose che sembrano essere sempre lì, a portata di mano. Un divertimento per il nonno che ha finito le parole crociate e per il nipote che gli ruba il fascicoletto per compulsare le strisce, peccato finiscano subito. Mai, appunto, vi sareste aspettati che il personaggio di quei fumetti fosse strappato all’atmosfera di famigliarità che l’aveva sempre circondato per essere inserito d’ufficio nel novero dei cattivi.

Certo, sulla Settimana enigmistica il decoro la faceva da padrone, le strisce non erano mai sguaiate: bellezza dell’immaginario piccolo borghese. Sfumava un po’ il carattere ruvido di certe storie, e l’aria stagnante del pub – mescolanza di fumo di sigaretta ed effluvi alcolici – era mitigata a beneficio dei lettori italiani. Ma anche se ammirato in purezza, riportato nel suo contesto britannico e popolare, Andy Capp non è mai stato un cattivo. Eppure, oggi, le sue storie hanno acquisito il gusto pungente del politicamente scorretto.

Da qualche anno, lo sbevazzone inglese creato da Reg Smythe e apparso per la prima volta nel 1957 sull’edizione di Manchester del Daily Mirror è sotto processo. Descritto come un concentrato di tutto ciò che non va nel maschio-bianco-europeo, lo si inchioda alla sua (presunta) mascolinità tossica. In una puntata dei Simpson di Matt Groening, il meraviglioso Homer, con un pizzico di autoironia, mise il ditone nella piaga descrivendo Andy Capp come «un ubriacone che picchia la moglie». Riprendeva così le critiche che varie associazioni femministe avevano mosso al personaggio: alcolizzato, sfaticato, violento verso la moglie (che nella versione originale non si chiama Alice ma Flo). Nel 2018 la studiosa Rachel Wallace è tornata sul tema con un articolo accademico: Andy Capp e la violenza domestica.

In sostanza, dicono i critici – maschi e femmine – non bisogna ridere leggendo le strisce, ma indignarsi. Andy non è un simpatico sfaccendato, ma un personaggio oscuro, e diseducativo. Nel 2016 fu la Bbc a interrogarsi: «Andy Capp era un prodotto anni Cinquanta, un’era in cui i giornali dominavano e la violenza domestica era una fonte di umorismo mainstream. Perché, quasi 60 anni dopo la sua prima apparizione sul Daily Mirror, un fannullone del nord-est dell’Inghilterra è ancora popolare?».

Già, perché nonostante gli attacchi Andy Capp è vivo e vegeto, continua ad appassionare milioni di lettori e, a dirla tutta, non ha mai fatto male a nessuno. La pessima reputazione acquisita negli ultimi anni, che pure gli conferisce nuovo fascino, è fuori misura. Andy è ed è sempre stato l’incarnazione della «working class» britannica. Non il proletario politicizzato dei nostri anni di piombo, ma il rappresentante di un sottomondo britannico di cui si ritrovano filiali anche altrove. Ha qualcosa di Paolino Paperino: l’allergia al lavoro, la pigrizia incurabile. È uno dei progenitori di Homer Simpson, anche se meno dolce e meno ottuso dell’«americano medio» partorito da Groening, con cui condivide la passione per la birra. Smythe disse di averlo creato ispirandosi a suo padre, ma forse prese spunto anche da uno sconosciuto incontrato a una partita di calcio: un tale che aveva ben calato in testa il proverbiale berretto.

Andy non è un violento, anche se ama fare a botte, soprattutto al pub e allo stadio. Non maltratta la moglie: il più delle volte è lei che lo mena con un mattarello. Il suo matrimonio, nonostante tutto, dura, persino felice. Chiaro: non è il migliore dei mariti, ma qui sta la critica sociale che Smythe non ha mai trascurato. Andy Capp non è un modello di vita: è una figura realmente esistita (forse ancora esistente) da qualche parte ad Hartpool, nord Inghilterra, di cui l’autore ci mostra i tanti difetti e pure i pochi ma radiosi pregi.

Andy è il «forgotten man» per eccellenza, il dimenticato della fabbrica, sfugge per un soffio al disagio sociale perché il carattere glielo consente. Risulta scorretto perché, negli anni, è cambiato pochissimo: non si è adattato al buonismo imperante. Reg Smythe, negli anni Ottanta, gli tolse un solo vizio: il fumo. Si disse che fu una trovata commerciale, in realtà il disegnatore aveva a sua volta abbandonato le sigarette, e ha cercato un compagno con cui condividere il destino amaro. Poco prima di morire, nel 1998, Smythe decise che Andy avrebbe dovuto sopravvivergli; ne affidò le cure a Roger Mahoney e Roger Kettle, che hanno tenuto alta la bandiera britannica e l’onore dell’ometto della strada che non si fa troppo piegare dalla durezza della vita.

Ora l’editore Signs pubblica per la prima volta in Italia le strisce uscite in Gran Bretagna dal 2007 a oggi. Un’operazione meritoria, rivolta agli appassionati di fumetti così come al pubblico contemporaneo, che ha l’occasione di scoprire un piccolo tesoro in un’edizione elegante, curatissima: volumi corposi, che ripropongono anche il testo originale, una raffinata opera di filologia fumettistica.

Andy la merita. E merita di essere apprezzato per ciò che è: un pigro ubriacone appassionato di calcio e rubgy, e non disdegna fare a botte. Un uomo che ama la moglie e ne è riamato, nonostante le bastonate che spesso si prende. Un super eroe da divano pieno di difetti, che certo potrebbe migliorarsi. Ma anche a questo serve ridere delle sue tragicomiche vicende: a ricordarci che possiamo essere diversi da lui, se vogliamo. E a rammentarci che i cattivi, quelli veri, sono altri. n

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