L’infanzia difficile nella profonda provincia americana, il successo travolgente, il padre alcolista che poi diventa il suo tutore, l’aborto e le storie d’amore finite tutte male. La solitudine e gli psicofarmaci. La Spears, star da 100 milioni di dischi venduti, nell’autobiografia The Woman in Me, racconta in modo glaciale la sua verità. Eccola.
Una piccola vendetta è più umana di nessuna vendetta, scrisse Friedrich Nietzsche. Sicuramente Britney Spears non si è ispirata al filosofo tedesco quando ha deciso di dare alle stampe il suo memoir, ma certo è che alla vendetta deve averci pensato. E per molti lunghi anni. The Woman in Me (Longanesi), l’autobiografia appena uscita, è già diventata un caso. Nelle 288 pagine (15 milioni di dollari di compenso all’autrice) più che il racconto della donna dentro di lei c’è la storia di una ragazzina, cui è stato impedito di crescere. «Era quasi come se nella mia testa regredissi all’infanzia. Avete visto Il curioso caso di Benjamin Button? Ecco come mi sentivo». Dopo il silenzio, «la principessa del pop», la star mondiale da cento milioni di album venduti, ha deciso di raccontare la sua versione della storia.
E lo ha fatto in modo gelido, con una calma da ballata country e una prosa dolorosa e scarna, come in un racconto di Raymond Carver. L’infanzia di una bambina del Sud, vissuta a Kentwood, Louisiana, un paesino dove nessuno chiudeva la porta di casa e «tutti vestivano i bambini in abiti coordinati e sapevano maneggiare un’arma da fuoco». Tragiche permanenti, casette a schiera con moquette sbiadite e cortili dai pratini spelacchiati e il barbecue acceso la domenica. A 13 anni inizia a fumare sigarette e lo descrive come una ribellione (per gli adolescenti di oggi, roba da oratorio). Di notte si nasconde sotto le coperte per non sentire le urla del padre ubriaco contro la madre. «Da bambina avevo sempre covato una vergogna costante», scrive. La vergogna di avere una famiglia povera, di doversi nascondere negli armadi per ricevere l’attenzione della madre. Una vita tra la chiesa, le feste in giardino, i talent show per aspiranti piccoli cantanti di provincia (venne scartata insieme a Christina Aguilera). Poi le prime esibizioni nei centri commerciali. Il successo arriva, dirompente, a 16 anni con… Baby One More Time. È il suo esordio. Da allora sono passati 25 anni, ma è come se fosse rimasta incastrata in quel video dove balla con il reggiseno viola e le trecce bionde.
Arriva l’amore con Justin Timberlake. Vanno a vivere insieme e questa volta la casa è a due piani con la piscina. È nata una stella. Li fotografano ovunque in pacchiani completi coordinati, perché a lei piace così, le ricorda casa sua. Poi qualcosa inizia a traballare. A 19 anni ha un aborto sul pavimento del bagno. «Un dolore inconcepibile», lui non voleva il bambino, né andare in ospedale per paura dei fotografi. Mentre si contorce dai crampi, Justin le strimpella la chitarra. Eppure, è stata l’unica vera relazione amorosa della sua vita. Si erano incontrati al Mickey Mouse Club, programma tv per giovani talenti. Insieme hanno vissuto gli anni dell’ascesa, si sono traditi e poi lei è diventata la zavorra per il successo di Timberlake. Lasciata con un sms (ahimé è toccato anche a Britney) cade in una depressione da cui non si riprenderà mai del tutto. La vita dietro le quinte è sempre più amara. Anche se il successo la illumina.
Tutto le sembra veleno, ha paura di non essere mai abbastanza, di non piacere a tutti. Come se quell’odore malsano delle paludi del Sud le fosse rimasto attaccato addosso. Lotta, ma si sente terribilmente sola. E lo canta: My loneliness is killing me, la mia solitudine mi sta uccidendo. Bacia Madonna in mondovisione negli MTV Video Music Awards del 2003. Ma quel bacio, come scrive, è dato a una donna che ha la forza, la consapevolezza di quello che è, tutte cose che lei sa non riuscirà a raggiungere. Intrappolata nell’abito ormai troppo stretto dell’adolescente vergine. «Non avevo mai promesso di rimanere diciasettenne a vita».
La prima volta si sposa a Las Vegas: «Ero solo molto ubriaca e anche annoiata». Il matrimonio durerà 55 ore prima di venire annullato sotto le pressioni della famiglia. Poi è la volta di un ballerino senza arte né parte, Kevin Federline. Matrimonio da sogno (trash): «Mi aggrappai a lui come un’ancora». Altra villona con piscina e parco giochi per i figli, Sean e Jayden, ma il matrimonio non funziona. Divorziano e lui inizierà una guerra per non farle vedere i figli. Rasarsi i capelli a zero nel 2007 è in fondo la sua reazione più sensata, l’unica che le pare possibile per buttare fuori il dolore: «Volete che sia la ragazza dei vostri sogni? Fottetevi», grida al mondo.
Vorrebbe solo «la magnifica normalità: i balli di inizio e fine anno, i giri in macchina, i film al cinema». Restano invece il Prozac, le sbronze con le amiche Paris Hilton e Lindsay Lohan, le urla e le ombrellate contro i paparazzi che la seguono ovunque. Finché un giorno il padre, ex saldatore, proprietario di una palestra, alcolizzato e plurifallito, le comunica: «Adesso Britney Spears sono io». Dal 2008 iniziano i tredici anni di «conservatorship», forma estrema di tutela legale per individui con infermità mentale. Un tempo infinito dove lei non può decidere cosa mangiare, come vestirsi e neanche se togliersi la spirale per avere un altro figlio. Era Jamie Spears a decidere per lei. Eppure, racconta, molti suoi colleghi erano rockstar drogate e osannate, mentre lei odiava le canne e le droghe pesanti. Confessa che l’unica dipendenza era l’Adderall, anfetamina somministrata ai soggetti affetti da disturbi della concentrazione. I ricoveri diventano più frequenti e lunghi, la legano, le somministrano il litio per tenerla calma: «Cominciai a immaginarmi come un uccello senza ali». Un film dell’orrore accettato in silenzio pur di poter vedere i suoi figli. «La conservatorship mi ha spezzato l’anima» è la frase più triste del libro.
Altro che manifesto femminista. È la narrazione di una «tragedia americana», come Rolling Stone intitolò una copertina a lei dedicata nel 2008. Una delle più grandi icone pop trasformata dalla famiglia in una mucca da mungere. I concerti che tiene a Las Vegas ricordano la prigione in cui venne rinchiuso Elvis, tra lustrini e medley sempre uguali. Ma a un certo punto qualcosa cambia e lei diventa la regina del movimento #FreeBritney. Massicce manifestazioni, cortei supportati da celebrities, i fan che si battono perché abbia fine la tutela. La sua voce dopo anni di silenzio irrompe nell’aula del tribunale, per la prima volta riesce a dire cosa le sta accadendo. E l’incubo finisce. O almeno così sembra. Perché il libro è andato in stampa prima che l’ultimo marito, Sam Asghari, chiedesse il divorzio ad agosto. Ancora una volta Britney è rimasta da sola. Posta su Instagram video mentre balla in cucina con il rimmel colato e due coltelli in mano davanti ai cagnetti perplessi. Come se lo show fosse finito, ma lo spettacolo dovesse continuare.