Catherine Spaak: «Sono io il mio principe azzurro»
Lolita sensuale, donna spregiudicata che con un frustino cavalcava Jean-Louis Trintignant nel mitico La Matriarca, Catherine Spaak ha abitato i sogni proibiti degli italiani. Oggi, a 75 anni, guarda quel mondo lontano quasi con tenerezza mentre torna al cinema con La Vacanza, film duro e poetico, girato in un Cilento magico, dove i silenzi raccontano meglio di tante parole.
Cosa ha provato interpretando Carla, ex magistrato sul baratro dell'Alzheimer?
È stato uno dei ruoli più belli della mia carriera. E poi mi è piaciuto dare un contributo a un giovane talento come Enrico Iannacone. Negli ultimi anni ho rifiutato tante proposte. Invece sono stata felicissima di fare La Vacanza, anche se è stato faticoso.
Nel film diventa amica di un ragazzo molto più giovane di lei. L'amicizia tra uomo e donna esiste solo al cinema?
È molto rara. Quando si è giovani è praticamente impossibile. Ero io la prima a non crederci. Ora so che c'è ed è meravigliosa. Ma è qualcosa che ho provato con pochissimi uomini. È un rapporto che le donne dovrebbero sperimentare per capire meglio i maschi. E noi stesse.
Quando conduceva Harem ha fatto molte interviste a donne, che idea si è fatta del mondo femminile?
Se posso usare una parole forte, siamo un po' delle «coglioncione». Facciamo tutte lo stesso errore: aspettiamo sempre il principe azzurro. Finché non capiamo che il principe azzurro siamo noi, si moltiplicano i guai. La nostra serenità dipende dallo stato psicofisico e non da incontri miracolati. Questo punto debole delle donne va limato.
E gli uomini invece sono più fragili o egoisti?
Mettiamoli pure tutte e due insieme, non risparmiamo sugli aggettivi.
Il sesso le interessa ancora?
Assolutamente no. Mi diverto moltissimo a leggere le interviste delle mie colleghe che hanno più o meno la mia età e che raccontano le prodezze che compiono dopo i 70. La trovo una cosa esilarante.
Non sente la solitudine?
È un modo di vivere. Quando la sera mi ritrovo nel letto con i miei due cani che mi danno la buonanotte e un libro che posso leggere fino all'ora che mi pare, sono nel Nirvana. Non so cos'è la solitudine. Ho pochi amici e dopo quello che mi è successo ho avuto modo di capire quali erano le persone sincere.
Qualche mese fa è stata molto male. Come ci si sente a sfiorare la morte?
Non me ne sono accorta. Sia la prima volta, quando ho avuto l'emorragia cerebrale, che la seconda, un paio di settimane fa, con una crisi epilettica dovuta alla cicatrizzazione. Ho chiuso gli occhi e li ho riaperti al «Santa Lucia». Sono stata ricoverata due mesi, ho incontrato persone straordinarie che mi hanno salvato. Non camminavo, non vedevo quasi più. Uscire dal buio e dall'inerzia è stato solo grazie a loro. Ma non ho avuto paura della morte. È un passaggio che può essere estremamente interessante.
Come lo immagina?
Un grande portone che si apre sul senso della vita. Quando lo si accarezza, anche se poi si torna indietro, ti rendi conto che temiamo qualcosa che non conosciamo affatto, qualcosa che è una nostra creazione. In realtà non c'è niente di spaventoso.
La vecchiaia per molti invece è spaventosa. Come è riuscita a entrare nella mente di una malata di Alzheimer?
Andavo a trovare la mamma del mio ex marito che era malata da anni e stava in una casa di riposo. Ho potuto osservare lei e gli altri ospiti. Quando ripartivo ero straziata. Piangevo come quando da bambina mia madre mi lasciava in collegio e io mi sentivo abbandonata. Pensavo che per lei fosse lo stesso. Invece era serena, tranquilla. Viveva ricordando il suo lontano passato. Non sappiamo cosa provano davvero.
Come è stata la sua adolescenza?
La mia famiglia non c'era. Mia sorella e io siamo state messe in collegio a otto anni. Buona parte dell'infanzia l'ho passata lì. Il desiderio più forte era quello di evadere. Quando mi si è presentata l'occasione l'ho fatto. Appena sono arrivata in Italia a 15 anni per girare con Alberto Lattuada I dolci inganni ho capito che questo era il posto dove volevo vivere.
Da cosa lo capì?
Dal suo odore. Ogni città ne ha uno speciale e Roma aveva quell'atmosfera profumata di basilico, di cuoio, quella luce dorata che mi ha sedotta.
Era nella capitale durante il lockdown ?
Sì, con mia sorella. All'inizio eravamo impaurite. Poi piano piano ci siamo auto convinte che non avremmo preso il virus. È stato un periodo importante: abbiamo svuotato gli armadi, regalato tante cose, ci siamo occupate di persone in difficoltà.
Dal mitico Il Sorpasso di Dino Risi a La Vacanza: come è stato invecchiare sul set, nella vita?
Ho fatto una grande festa quando ho smesso di avere le mestruazioni. So che molte donne fanno di tutto per mantenere questa schiavitù il più a lungo possibile. Non ho iniziato alcuna cura ormonale. È più spirituale che fisico l'invecchiamento. Può essere la cosa più orribile del mondo oppure l'occasione migliore per ricucire gli strappi, rimettere a posto i cassetti del cuore. Se ne approfitti la vecchiaia porta con sé una grandissima dolcezza.
È riuscita a ricucire gli strappi della vita?
Nella maggior parte, sì. Poi ci sono cose che non si possono ricucire e questo va accettato.
Pensa al rapporto con sua figlia?
Non sono riuscita a ricomporlo. Mi fu tolta da un giudice quando mi separai da Fabrizio Capucci molti anni fa. Con questa dicitura: «La madre essendo attrice quindi di dubbia moralità». Questa cosa ha segnato una ferita reciproca difficilmente sanabile.
Con Gabriele, il figlio avuto da Johnny Dorelli, le cose sono andate meglio?
Questa mia disavventura ci ha molto riavvicinati. Lui e mia sorella sono stati fantastici durante i ricoveri.
Ha sofferto di depressione?
Quando ero giovane a vent'anni ho avuto una depressione tremenda. Sono stata in analisi a lungo. Ho affrontato attraversamenti difficili, soprattutto da un punto di vista sentimentale.
Oggi ha capito cosa è l'amore?
Non saprei definirlo. Forse un momento magico della vita dove tutto è meraviglioso, quasi facile, raggiungibile. Poi, con il tempo, ti rendi conto che le cose non durano.
Quando le domandano dei suoi quattro mariti risponde sempre che a Maurizio Costanzo non lo avrebbero chiesto.
Ma scusate, chi è meno colpevole: le donne che hanno quattro mariti o quelle che ne hanno uno solo, ma cento amanti?
È vero che Vittorio Gassman la tormentava sui set?
Non lo faceva per cattiveria, non poteva scostarsi dal suo gruppo di misogini. Era un modo per essere maschi gagliardi. Mettere in difficoltà una donna giovane, che non parlava bene l'italiano non è stata una cosa bella, ma non vorrei nemmeno più parlarne. Mi metto al posto dei loro figli: che una vecchia attrice, che poi sarei io, continui a ripetere queste storie è un po' spiacevole.
Chi è stato il suo maestro nella vita?
Io sono il mio principe azzurro.