Le caratteristiche di questa divinità ancestrale sembrano attagliarsi alla nostra epoca. Dall’androginia all’animalismo sfrenato, all’ecologia senza critica, sono molti i punti in comune che riportano al paganesimo. Lo evidenziano saggi importanti e anche uno spettacolo teatrale.
In un saggio importante pubblicato in Italia dall’editore Cantagalli, la filosofa francese Chantal Delsol annuncia «La fine della cristianità e il ritorno del paganesimo». In Occidente, spiega, si sono imposti nuovi paradigmi, e la traccia più evidente di questa ricomparsa del culto pagano è senz’altro l’ossessione per l’ecologia che è divenuta «una religione, una credenza». Secondo Delsol, «il paganesimo, cosmico, risponde alle preoccupazioni dell’ecologia». Si afferma una visione «cosmoteista» – una nuova forma di panteismo – in cui l’uomo «si sente a casa nel mondo, che rappresenta l’unica realtà e che contiene il sacro e insieme il profano». Il seguace delle religioni monoteiste è «nel mondo» ma non è «del mondo». Il pagano, invece, nel mondo trova una dimora confortevole. La sua divinità è, nei fatti, la Natura stessa, non una entità sovrannaturale.
Questa visione – che la Delsol affronta con piglio critico – innerva Le Baccanti, il regno del dio che danza, uno spettacolo andato in scena al teatro Litta di Milano e in tour in varie città italiane, con drammaturgia e regia di Filippo Renda, tratto dalle Baccanti di Euripide, il tragediografo greco del quinto secolo avanti Cristo. Più che uno spettacolo, un vero rito pagano, con la scena invasa da sole attrici che si agitano al ritmo frenetico della musica «psytrance». Presentato come «un inno alla potenza del corpo femminile come strumento di rivoluzione e cambiamento», in effetti è una perfetta rappresentazione del ritorno del paganesimo. In particolare è una evocazione di Dioniso, ambiguo dio dell’ebbrezza che in questi tempi sembra aver ripreso almeno in parte il suo antico potere. A ben vedere, le caratteristiche di questa divinità ancestrale sembrano corrispondere ai tratti fondamentali della nostra epoca. Proprio come mostrato nelle Baccanti presentate da Filippo Renda, Dioniso è il dio della «liberazione» – o meglio dello scatenamento – femminile.
È un dio androgino, con tratti femminili. Come scriveva Elémire Zolla, «la sua essenza è voluttà sconfinata, in cui estati virile e femminile si confondono». Secondo il grande studioso di antropologia, «nucleo del culto dionisiaco fu l’affrancamento delle donne. Cadeva nei cortei bacchici la tirannide patriarcale, l’uomo tendeva all’androginia. Dioniso scaccia fuor di casa, fa abbandonare spola e telaio, fa scalpitare come puledre le sue seguaci che, balzando in deliquio, provano, come disse Euripide, “la gioia della carne divorata cruda”». Nei sensuali cortei dionisiaci, gli uomini indossano abiti femminili, essi – lo notava Julius Evola – si privano delle caratteristiche maschili e della virilità per celebrare il Femminino come massima espressione del sacro. Secondo alcune versioni del mito, non a caso, Dioniso è figlio di Semele, cioè della Grande Madre. In qualche modo, insomma, stiamo parlando di una divinità con tratti femminei, che oggi definiremmo «fluida».
Che questa fosse la caratteristica del dio si era accorta un’altra studiosa francese, ovvero Camille Paglia, nel suo capolavoro Sexual personae (di recente ripubblicato dalla casa editrice della Luiss). «Erede della Grande Madre della natura ctonia, egli è, insieme a Osiride, il maggiore degli dèi morenti delle religioni misteriche», scrive Paglia. «Dal suo culto provengono due rituali che hanno avuto importanza decisiva per la civiltà occidentale, il dramma tragico e la liturgia cristiana. L’androginia di Dioniso ha origine, come quella di Atena, da una nascita sessualmente innaturale. Quando la madre Semele, incinta, esige dal suo amante che le dimostri di essere Zeus, rimane incenerita. Zeus le preleva il figlio dall’utero, si pratica un’incisione nella coscia e vi cuce dentro il feto perché giunga a termine. Nelle Baccanti Euripide immagina Zeus che invita Dioniso a “entrare in questo mio grembo maschile”. L’utero artificiale di Zeus ricorda la coscia di Adone squarciata dalla zanna di un cinghiale, simbolo di castrazione nei culti materni». Suggestivo: Dioniso nasce da una sorta di utero artificiale, un «utero in affitto». Molto adatto alla nostra epoca.
È sempre Camille Paglia a insistere sul carattere fluido del dio, anzi umido. Dioniso, in virtù del suo legame con il femminile, è la divinità della Natura e dei suoi frutti. «Il travestitismo di Dioniso simboleggia dunque la sua identificazione di fondo con le madri. Ciò sta in rapporto con la sua associazione con acqua, latte, sangue, linfa, miele e vino. Il Bacco romano e del Rinascimento non è nient’altro che un dio del vino. Ma il Dioniso greco è il signore di quella che Plutarco chiama la hygra physis, la natura umida o liquida», sostiene l’autrice francese. A suo dire, Dioniso è il principio liquido delle cose. «La liquidità dionisiaca è il mare invisibile della vita organica, che impregna le nostre cellule e ci ricongiunge col mondo animale e vegetale. […] L’hygra physis è il corpo femminile maturo, che definisco la prigione del suo sesso. L’esperienza femminile è tutta sommersa nel mondo fluido, come si evidenzia drammaticamente nelle mestruazioni, nel parto e nella lattazione. La ritenzione dei liquidi o edematica, questa maledizione delle donne, è l’abbraccio soffocante di Dioniso».
La Paglia, da femminista vecchio stile, non gradisce troppo questo legame tra il femminile e la natura, anzi sembra desiderare che esso si recida, che la donna non sia necessariamente ricondotta al suo ruolo di generatrice della vita. Questo, dopotutto, è il lato oscuro del legame con la natura. Alain Danielou, grande esperto di cultura indiana, scriveva che il dionisismo rappresenta «uno stadio in cui l’uomo è in comunione con la vita selvaggia, con le bestie della montagna e della foresta». Ma questa comunione ha un prezzo, ovvero l’incatenamento al ritmo inesorabile delle stagioni, al ciclo infinito di morte e rinascita – sempre uguale a sé stesso – che caratterizza la natura. Dioniso, sosteneva Friedrich Georg Jünger in Apollo, Pan, Dioniso (appena ripubblicato da Le Lettere) è il dio della natura che genera. Ma quella natura è anche mortifera, e infatti i riti orgiastici del dio spesso – come nelle Baccanti – si concludono con efferati omicidi.
Anche questo aspetto dice molto del nostro mondo. Dioniso, per certi versi, è il dio adatto a quest’epoca perché è un dio delle masse, è un sovvertitore: sotto la sua guida si invertono le leggi e i valori, il mondo si capovolge, i confini fra alto a basso si sfarinano. Dice a Panorama Claudio Kulesko, uno dei più interessanti pensatori italiani, che «nell’epoca dell’ipermodernità, lo spirito dionisiaco sopravvive in tutte le espressioni della dismisura e dell’esagerazione. O, almeno, tutte quelle nelle quali il soggetto si perde fino a trascendersi nella dissoluzione di sé. Il bodybuilding stereoideo è una di queste espressioni: corpi che oltrepassano la perfezione apollinea per entrare nella sfera del mostruoso; identità mutanti sottomesse a un’alterità mutante chimico-farmaceutica che ne esalta i lati più paranoici e maniacali.
Difficile trovare figure più selvagge e dissacranti del pioniere del «fitness influencing» conosciuto come Zyzz, o del compianto Rich Piana. Basta dare un’occhiata ai loro video su YouTube. Altro settore in cui l’eccesso regna sovrano», continua Kulesko, «è quello della musica estrema e dell’anti-musica: black e death metal, drone, harsh noise e power electronics celebrano lo smisurato e l’affermazione fisica e muscolare del rumore sull’armonia, sul testo, sulla poetica e sugli orizzonti socioculturali. Non sarebbe esagerato ipotizzare che questi “nuovi” generi musicali incarnino le attuali modalità di estasi radicale. Ci vuole poco a perdersi, in questo caso, a sublimare in atti di distruzione gratuita, nel suicidio o nell’omicidio». Ebbrezza e perdizione: ecco Dioniso che bussa alla porta. Sovverte le norme e le gerarchie (che infatti di questi tempi non sono granché rispettate), ma poi presenta il conto, distruggendo. Non è un dio solare, come Apollo, ma nemmeno è del tutto oscuro come la dea Cibele. È una via di mezzo, un ibrido. Un dio del tramonto, perfetto per l’Occidente che declina.