L’ex casalinga di Wisteria Lane dirigerà Flamin’ Hot, una storia vera sull’origine delle patatine americane più saporite. A Panorama racconta il film e la sua vita, da quando lavorava in un locale a come fu scelta per il ruolo di «housewife».
Altro che casalinga disperata. Eva Longoria è una peperina che si si è fatta strada a Hollywood gradualmente, ma inesorabilmente. E non si ferma più. Forte di 60 titoli da attrice e una trentina da produttrice, per lo più di show televisivi, arriva ora con il primo film ideato, prodotto e diretto per Disney+. Celebre per aver interpretato una delle magnifiche quattro Desperate Housewives, dal 2004 al 2012 per 8 stagioni e 180 episodi, la 48enne americana sarà sulla piattaforma internazionale il 9 giugno con una storia vera che rende omaggio pure alle sue origini latine.
Flamin’ Hot, questo il titolo, racconta il sogno americano di Richard Montañez, l’inserviente della casa produttrice di snack Frito Lay che inventò i Flamin’ Hot Cheetos e, usando le spezie del suo Messico, rivoluzionò l’industria alimentare e solleticò le papille del pubblico statunitense (a interpretarlo è Jesse Garcia). «Quando ho presentato il film nel Regno Unito ero tesa, perché lì non sanno cosa siano i Cheetos e neppure amano il cibo piccante» ha raccontato Longoria al 76mo Festival di Cannes, durante le Women’s Talks organizzate dal gruppo Kering (società-ombrello di brand del lusso da Gucci a Yves Saint Laurent). «Invece è piaciuto molto e ne hanno capito lo spirito: il protagonista è un uomo che, come me, crede nelle sue idee e non si fa fermare da pregiudizi o barriere sociali e razziali».
Anche l’ambiziosa Eva, cresciuta nella comunità messicana del Texas, a Corpus Christi, è abituata a non mollare. Dopo Flamin’ Hot vedremo – non si sa in quale data – il suo Land of Women, serie in sei episodi girata per Apple TV+, altro progetto impegnativo e costoso. «Che segna il mio ritorno in tivù, da attrice oltre che regista e produttrice» dice fiera. «È anche la prima volta che recito in spagnolo oltre che in inglese: abbiamo girato in Spagna, accanto a me c’è Carmen Maura che interpreta mia madre nella storia. Non riuscivo a credere di avere accanto l’attrice di Pedro Almodóvar!».
Ultima di quattro sorelle, da adolescente Eva Longoria lavorava part-time in un fast food mentre frequentava le scuole superiori, per guadagnare qualcosa. «Vedevo quanto faticasse mia madre e facevo di tutto per aiutarla». Inizia a farsi strada, con una gran voglia di riscatto sociale per la famiglia e la comunità latina nella quale è cresciuta. Trova un agente, ottiene piccole parti in puntate di Beverly Hills, 90210 e General Hospital, diventa famosa con la soap opera Febbre d’amore tra il 2001 e il 2003 (in Italia sulle reti Mediaset). Fino all’exploit in Casalinghe disperate che le ha portato una candidatura ai Golden Globe nel 2006. È vulcanica e verace anche quando racconta, ridendo e gesticolando, di come ottenne quel ruolo vent’anni fa. «In quel periodo facevo otto o nove provini ogni giorno, correndo in auto per tutta Los Angeles» dice.
«Mi cambiavo in macchina passando dal “look infermiera” alla “mise prostituta”, facevo la mia performance e via verso la successiva, ma stranamente lì mi chiesero cosa pensassi di Desperate Housewives. Rimasi spiazzata: “Non l’ho letta tutta ma la mia parte è fantastica!” risposi. E loro hanno deciso che ero proprio come il personaggio di Gabrielle, egocentrica, perfetta per la parte. È stata la mia grande scuola di film, visto che sognavo di dirigere, ed ero orgogliosa di quella squadra femminile diventata un fenomeno nel mondo. Quando fui candidata ai Golden Globe, nel 2006, andai in ansia: non sapevo come navigare nel mondo di Hollywood, perché non basta semplicemente mettersi in tiro per il red carpet».
Ora invece è una super-navigatrice. Dal 2006 è ambasciatrice beauty del marchio L’Oréal Paris, ha disegnato alcune collezioni moda, ha varie attività filantropiche e una stella sulla Walk of Fame di Hollywood. Ed è pronta a fare da mentore a molte altre. «Non mi sono improvvisata regista o produttrice, ci sono arrivata a piccoli passi, salendo di esperienza in esperienza. Con il progetto di Flamin’ Hot sentivo il peso di essere una regista donna e di appartenere a una comunità marginale, due elementi che non attraggono certo grandi investitori nel cinema. L’ultimo film di una donna latina è stato girato 20 anni fa, mentre ai registi bianchi vengono dati finanziamenti di milioni di dollari anche dopo titoli andati male al botteghino» racconta. «Vorrei che le cose cambiassero, che Hollywood diventasse davvero inclusiva perché oggi lo è solo a parole. Se la popolazione latina forma il 28 per cento del pubblico, perché solo il 5 per cento lavora nelle troupe, alla fotografia o nel marketing? Perché non dev’esserci sul grande schermo un eroe che somiglia a questi spettatori? La gente vuole rispecchiarsi nelle storie». Lei, amica storica di Victoria Beckham e madrina dei suoi figli, sogna un giorno di poter interpretare anche una donna british. «Magari proprio Victoria Beckham in un film sulle Spice Girls» ride. «Del resto mi sento una del gruppo. Chiamatemi Spicy Spice».