Salvatore Garau, l'artista che difende il paesaggio
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Salvatore Garau, l'artista che difende il paesaggio

Il pittore sardo Salvatore Garau si oppone alle pale eoliche che si stanno innalzando nella sua terra. Per obbedire al dettato della rivoluzione verde, si rischia di alterare per sempre una delle più più belle regioni d’Italia.

C’è un artista coraggioso in Sardegna che non pensa di cambiare il mondo con la sua arte, ma di impedire che glielo cambino, con le sue parole. È Salvatore Garau. Musicista, poi pittore e sperimentatore, è oggi attivo in Francia, dove una sua mostra al Museo di Arte Moderna di Saint-Étienne, propone «spazi di strutture che si scuotono con movimenti che ricordano forti venti, terremoti o formazioni architettoniche, e che, per contenere chiarezza e obiettività geometrica, si relazionano con il gioco delle emozioni in una frenesia che può essere perturbatrice, incosciente e irrazionale» (Lóránd Haegyi). Sarà così. Ma ci interessa per altro. Salvatore Garau, comunque, è nato a Santa Giusta, in Sardegna, e si è affermato con sorprendenti «sculture immateriali». Una provocazione? Dopo la vendita all’asta di Io sono per 15 mila euro nel 2021, il web e i colleghi dell’artista di origini sarde si interrogarono: genio o illusionista? «La scultura immateriale non la vedi con gli occhi ma con il cuore» afferma Garau, «e l’idea viene da quarant’anni di lavoro, di pittura e di musica» (prima di essere apprezzato pittore, Garau è stato batterista della band Stormy Six negli anni Settanta-Ottanta).

La casa d’aste Art-Rite di Milano sostiene l’autore e le opere vendute: «Abbiamo venduto il niente?» Sbarcate prima a New York con Afrodite piange e poi a Milano con Buddha in contemplazione, le sculture immateriali sono immaginate per usi sia pubblici sia privati: «Ciò che mi ha mosso è stata la pandemia perché» conclude Garau, «il senso dominante per strada era l’assenza. Ecco, io ho fatto dell’assenza una materia prima». Oggi la sua azione, altrettanto immateriale, si rivolge sulla sua isola, per sottrarla a mostri materiali che ne vogliono trasformare il volto. Occorrono parole, anima. Per Garau, gentile scultore dell’assenza, una intera isola «deve gridare il proprio sdegno, più forte di qualsiasi legge o imposizione dall’alto. Se poi l’imposizione ti costringe a veder mutare il volto della tua terra, dove il tuo spirito si è formato, quelle leggi di uno Stato lontano le chiamerei leggi terroristiche e pericolose». Garau invita alla disobbedienza.

La Sardegna è una madre: «Chi resterebbe a guardare una violenza sulla propria madre senza reagire?». Ricordo Beuys, e l’esaltazione per il suo ambientalismo, e tutti i maestri della Land Art, da Burri a Christo, fino al patetico Terzo Paradiso di Michelangelo Pistoletto, ma mai prima di Garau un artista che invitasse alla rivolta per non fare, partendo dal modello programmatico delle sue sculture invisibili. Ora tocca alla Sicilia e alla Sardegna, ed è già toccato alla Puglia e alla Calabria. Il paesaggio sta per essere definitivamente sconvolto. Nessun artista ha reagito, nonostante che si parli di arte e di impegno politico dalla Biennale del Sessantotto, quando Emilio Vedova e Gastone Novelli esposero le loro tele a rovescio, con la scritta: «La Biennale è fascista». Gradatamente l’arte si è ritirata in una dimensione edonistica, lontana da ogni lotta che non sia altrove come la Palestina. E la Sardegna devastata? Si può essere «Stranieri ovunque»? Sul versante sardo, minacciato e colpito senza pietà, si registra solo l’impressionante denuncia dell’artista non velleitariamente ribelle, ma nobile e convinto. Garau ci propone un autentico manifesto, un documento più forte e coraggioso di qualsiasi protesta politica e della disperata battaglia, soli, dei benemeriti sindaci che si sono uniti per rivendicare dignità e integrità dei loro paesaggi.

Garau parla con la forza dell’arte e si innalza come simbolo: «Non possiamo permettere allo Stato di chiedere il nostro suicidio in nome dell’ambiente. Non possiamo più accettare di veder torturare nostra madre davanti ai nostri occhi! Le grandi estensioni di pannelli fotovoltaici surriscaldano l’ambiente e alterano il microclima locale causando l’allontanamento di tutte le specie animali di terra e di cielo e degli insetti impollinatori! Eppure, perfino il Wwf di fronte a questa tragedia tace, da parte loro silenzio assoluto. Ripeto, stiamo vivendo il momento più drammatico della nostra storia. Una transizione ecologica che ci sta portando dritti all’inferno!». Chi dovrebbe difendere è complice. E a qualcuno tocca prenderne la parte, in difesa della maestà del paesaggio. «A parte l’orrore estetico e l’inquinamento acustico, quanti problemi creeranno queste pale?». Garau, lo scultore immateriale, sa che il basamento di ciascuna di queste torri è grande quasi come un campo di calcio. Anche sott’acqua la profondità delle fondamenta andrà a rovinare falde acquifere sconvolgendo un equilibrio naturale. E come non vedere quante specie di uccelli vengono fatte fuori dalle pale? Alla loro base si trovano i cadaveri. Garau si ribella: «La situazione e richiederebbe una sommossa popolare. In ballo c’è la sopravvivenza della nostra cultura antropologica e identitaria. La devastazione che portano migliaia di pale eoliche in terra e in mare e di chilometri di pannelli fotovoltaici, decreterà la nostra fine e non ci sarà più ritorno. Lo Stato considera la Sardegna una colonia, terra di sfruttamento».

Si è persa la nozione espressa da Giovanni Lampis: «Nella teoria dello Stato, un Paese è fatto di tre elementi: popolo, territorio e sovranità. Senza controllo del territorio non c’è popolo. Senza controllo del territorio non c’è sovranità. Senza controllo del popolo c’è solo servitù». C’è opera d’arte che superi la pesca dei tonni a Carloforte? Essa è irrimediabilmente compromessa a causa delle trivelle in azione per creare sul fondale i basamenti delle pale. «E stiamo ancora parlando di ecologia? E quando saranno dichiarati obsoleti (cosa che avverrà tra pochi anni) chi smaltirà tutta questa ferraglia? Non certo le società che installano gli impianti. 34 pale montate tanti anni fa in cima al Monte Arci, regno dell’ossidiana, non sono mai entrate in funzione e hanno lasciato sul monte solo devastazione, con le colossali fondamenta in cemento armato che sono lì a fare bella mostra dello sfacelo ambientale».

Quale artista si batte per l’ossidiana? E non è questo anche il compito dell’artista, in una cultura fatta di tradizioni, da Grazia Deledda a Gavino Ledda, da Francesco Ciusa a Giuseppe Biasi? La distruzione è già avvenuta in tante parti dell’isola, tra Alghero e Stintino, in Gallura (ma non in Costa Smeralda: la ricchezza protegge il paesaggio, mentre i paesi poveri della intatta Sardegna sono aggrediti, e perdono la verginità che avevano). Nel porto di Oristano sono sbarcate le nuove colossali pale eoliche che montate saranno alte circa 250 metri (50 in meno della Tour Eiffel) in viaggio verso alcuni centri destinati ad «accoglierle». Per far transitare i monconi, di oltre 40 metri ciascuno, si è già cominciato a smantellare rotonde, incroci, alberi adiacenti di qualsiasi età o natura e, a colpi di ruspa, si tracciano nuove strade nei terreni privati, che si inerpicheranno anche sulle colline. Dovrà essere Garau a ricordarcelo? Un artista a ribellarsi alla devastazione autorizzata contro la sua terra? Un artista contro il potere? Eppure esiste una recente sentenza storica del 4 aprile 2022 del consiglio di Stato che boccia senza appello la criminale (è la parola giusta) idea del governo Draghi e delle sue pale eoliche, dichiarando che: «…la Regione Autonoma della Sardegna in base al proprio Statuto ha competenza legislativa primaria nel disciplinare gli aspetti paesistico-ambientali del proprio territorio…». Garau si chiede: «Perché i politici sardi della precedente e odierna legislatura non si sono avvalsi di questa lapidaria sentenza?».

È quello che, anch’io penso da sempre. Si parla, si legifera di «autonomia differenziata». E non sono modelli di autonomia compiuta proprio la Sicilia e la Sardegna? E tra le più forti e più solide? E la Sicilia prima ancora, disciplinata dalla legge costituzionale n. 2 del 16 febbraio 1948, a norma dell’articolo 116 della Costituzione italiana, che l’ha dotata di un’ampia autonomia legislativa, amministrativa e fiscale, garantendole la giurisdizione assoluta sui Beni culturali e il paesaggio? Ora che sarebbe più che mai necessaria per difendere la terra più bella dallo stesso Stato che la amministra?

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Vittorio Sgarbi