Battiston: «Genitori, non fate finta di non vedere quello che fanno i vostri ragazzi»
Intervista con l'attore Giuseppe Battiston di Pane e Tulipani e Perfetti Sconosciuti sul suo nuovo «corto» presentato a Venezia: La Regina di cuori. Storia di disagio giovanile, ragazze «schiave» delle challenge online a base di soffocamenti e tagli sulla pelle. Un film che scuote i papà e le mamme e li educa ad essere presenti nelle vite dei loro figli. Prima che sia troppo tardi.
Giuseppe Battiston di Pane e Tulipani e Perfetti Sconosciuti, chiama in una mattina di fine agosto. Ha poco tempo. Quella Venezia festante che il Coronavirus ha messo alle strette è pronta a cominciare, il Lido a riempirsi nuovamente di gente e cinema. Vuol parlare di un corto che, prodotto da Manuela Cacciamani per One More Pictures e Gennaro Coppola per Direct2Brain con Rai Cinema, farà un passaggio al Videocittà – Festival della Visione il 19 settembre. Il breve filmato, diciassette minuti di racconto d'autore con Battiston guest star, è stato presentato alla Mostra del Cinema di Venezia il 2 settembre, giorno in cui una luce si è accesa su un tema altrimenti buio, relegato a poche e tristi pagine di cronaca nera. La Regina di Cuori, dove i riferimenti all'Alice di Lewis Carroll non sono casuali ma capovolti in un Paese che delle Meraviglie non ha conservato nulla, è la storia di Alice e Martina, schiave giovanissime delle challenge online. Si tagliano, le ragazze. Stringono attorno a colli esili pesanti cinture. «Blackout», comanda le sfida dei social network: «Filmati e poi soffocati, perdi conoscenza e, se sei fortunato, riprendila». Nel corto, diretto da Thomas Turolo, Battiston ha una parte piccola. È il terapeuta di Alice, ragazza in cerca di identità.
Perché ha accettato la parte, marginale nel quadro complessivo?
Gran parte del senso che il mio mestiere porta con sé sta nella capacità di far riflettere sulla società. Lo fa il teatro, soprattutto, poi l'arte in genere. Chi ha, come nel mio caso, una minima visibilità e riconoscibilità credo debba mettersi al servizio di cause come questa: tali da convogliare l'attenzione delle persone su temi urgenti.
Temi che, nel caso delle sfide online, hanno risvolti pratici devastanti. Secondo uno studio della European School Survey Project on Alcohol and other Drugs, il 15% degli italiani fra i 15 e i 19 anni ha sentito parlare di challenge durante il lockdown.
Eppure, l'informazione è stata, se non distorta, incompleta. In televisione, si sono generati diversi equivoci. La verità è che non si sa mai come rapportarsi a certe tematiche. Non ne parliamo, perché così i bambini non ne vengono a conoscenza. Io credo, invece, che valga l'opposto, che sia fondamentale parlarne proprio perché tanti adolescenti non siano lasciati soli. È importante, nel marasma di certe dinamiche fangose, far sentire loro che c'è consapevolezza e attenzione.
Ma chi dovrebbe far passare un tale messaggio?
In grandissima parte, la famiglia. Un corretto uso della rete dipende soprattutto da quanto noi siamo in grado, non di sorvegliare come secondini, ma di essere partecipi dello sviluppo psicologico e spirituale dei nostri figli. E, badi, per "nostri figli" non intendo, esclusivamente, quelli che portano il nostro cognome.
E cosa intende, allora?
Siamo tutti genitori. È nostro dovere, calciatori, poeti o impiegati, educare i giovani e accompagnarli nella crescita. I figli non devono essere un pensiero che responsabilizzi solo chi li ha messi al mondo. Deve esserci una rete sociale di sostegno: insegnanti, allenatori, siamo tutti genitori.
Più che ai ragazzi, dunque, un corto come La Regina di Cuori dovrebbe essere destinato agli adulti.
Certo, e a costo di sembrare noioso lo ribadisco. Bisogna svegliare le coscienze degli adulti. Se nelle scuole esiste il bullismo, è perché nelle stesse ci sono adulti che fingono di non vedere.
Cos'è cambiato da quand'era ragazzino lei?
Tutto e niente. Certe dinamiche, il bisogno di trovare approvazione e appartenenza, sono parte della crescita. Quando non c'erano i computer, c'erano le bande: si era parte di un branco. Quand'ero bambino io, non c'era niente, nemmeno i cellulari. Duole dirlo, ma erano altri tempi.
Migliori o peggiori?
C'erano altre problematiche. Una cosa, però, la porto con me, sempre: il bisogno di confrontarsi con le persone. Continuo a pensare che l'incontro diretto abbia un valore decisamente superiore all'incontro virtuale.
Perciò, nell'era della condivisione compulsiva, ha scelto di non avere i social?
In parte. Non ho nessuna forma di contatto con la rete: uso le mail e poco altro. Sono a-social, ed è una scelta precisa. La rete ha delle potenzialità immense, positive e negative. Quel che dobbiamo sempre aver presente, però, è che la rete non è depositaria della verità.
Difficile da ricordare, specie dopo un anno in cui la rete ci ha salvati dalla solitudine.
Ci ha salvati, perché ci ha restituito parte degli affetti. Quest'anno di lockdown ha dimostrato quanto potenziale positivo possa avere la rete, intesa come strumento che ci permetta di accorciare le distanze con amici e parenti. È un palliativo, però, come lo è stato il telefono: deve accorciare le distanze, non allungare le conversazioni.
Ha un'idiosincrasia anche per il telefono?
Ne ho molto. Sono figlio del fax. E, mi creda, non voglio sembrare demodé, ma i telefoni sono coercitivi in termini di risposta. Io rivendico il diritto di non rispondere al telefono se non sono in animo.
Da personaggio pubblico, è mai stato penalizzato da questa sua scelta di privacy?
Io ho un rapporto abbastanza difficile con la popolarità. Non mi manca l'affetto delle persone, e preferisco incontrare il mio pubblico in sedi apposite piuttosto che intavolare discussioni telematiche. I follower, la responsabilità che portano con sé mi lascerebbero inquieto.
In rete, si è letto che avrà una parte nel Pinocchio di Robert Zemeckis, accanto a Tom Hanks. Quanto c'è di vero?
Giuro, non lo so. È una storia che gira, ma io non ho sentito niente da nessuno.
Però, alla regia debutterà davvero, con Due, adattamento del romanzo postumo di Gustave Flaubert, Bouvard e Pécuchet.
Sì, ma è prematuro parlarne. Quel che posso dire è che la letteratura non invecchia mai, ma al film devo ancora dare una forma. Adesso sto girando War – La Guerra Desiderata, di Gianni Zanasi. Poi, mi dedicherò al mio debutto da regista. Il teatro non posso ancora programmarlo: non so quanto questo progetto mi terrà impegnato e ho una posizione un po' fredda nei confronti di quest'arte.
Fredda?
Il teatro è stato maltrattato, prima dal sistema politico, poi dal suo pubblico. Le proteste sono state poche, quelle vere si sono levate per ottenere la riapertura dei ristoranti e dei bar. E lo so che il quotidiano delle persone è fatto di altre esigenze, ma la cultura è stata trattata come fosse la radice del male: la vicinanza è stata tollerata in aereo e in corriera, non al cinema. Oggi, però, sono passati quasi due anni. Ci vorrebbero altre e migliori idee.
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