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L’italiano ai tempi di Whatsapp

L’italiano ai tempi di Whatsapp

La struttura del discorso spesso «collassata». Migliaia di parole inglesi che colonizzano il vocabolario, spesso per pigrizia più che per necessità. Una punteggiatura «naïf» che ribalta il significato originale di pause e di segni. L’idioma cambia alla velocità di messaggini e social. E non necessariamente in meglio.


Lo chiamano «e-taliano». L’italiano scritto, e anche parlato nella vita di tutti i giorni, che si è diffuso con l’uso dei social network, dei messaggi WhatsApp, degli sms e delle e-mail, ha già un nome, con tanto di voce sui dizionari della nostra lingua. È caratterizzato da immediatezza, frammentarietà, semplificazione sintattica, massiccio uso di anglicismi, spesso distorti nel loro significato, errori ortografici, stravolgimento della punteggiatura e spesso assenza di coerenza logica. «Whatsappami ASAP bro, ok?!!! dv and XOXO», cioè: «Mandami un messaggio con WhatsApp al più presto possibile, amico fraterno, d’accordo? Devo andare. Baci e abbracci». È incomprensibile alla generazione più anziana, tanto è stata rapida questa evoluzione dall’avvento di computer e cellulari. Ma nessuno deve stupirsene. Quello che rende i linguaggi umani così differenti dai mezzi di comunicazione degli altri mammiferi è proprio il loro grado di complessità, variabilità e adattabilità. Più preoccupante è però il fatto che recenti indagini sui testi dagli studenti destinati alla scuola, all’università e al lavoro rivelino carenze linguistiche imputabili anche alla diffusione dell’e-taliano. Insomma, la distanza tra un testo scritto su carta in italiano corretto e uno trasmesso dal computer o dal cellulare, molto vicino al parlato informale, è aumentata a dismisura. E i giovanissimi sembrano sempre meno capaci di discernere tra i due registri e di scrivere correttamente nei testi formali.

Nel corso di tre anni di ricerche effettuate dalle università di Bologna, Pisa, Macerata e Perugia su un campione di 2 mila iscritti a 45 atenei italiani, nell’ambito del UniverS-ITA finanziato con un bando Prin, sono emerse le difficoltà degli studenti nella produzione e nella comprensione della lingua scritta, tutte riconducibili all’affermarsi dell’e-taliano. In un elaborato lungo tra le 250 e le 500 parole, analizzato dal punto di vista di grammatica, sintassi, lessico e punteggiatura, gli errori sono risultati in media 20 e, di questi, 10 riguardano proprio quest’ultimo aspetto. Una delle conclusioni più salienti di queste ricerche è il completo stravolgimento dell’uso della punteggiatura. Così, il «punto fermo» non è più un segno che chiude una frase di senso compiuto, ma semmai esprime negatività, aggressività e a volte perfino rabbia. Come afferma Paolo D’Achille, presidente dell’Accademia della Crusca, «un punto alla fine di una frase o dopo il saluto “ciao” in un messaggio può esprimere una totale chiusura a proseguire il dialogo o addirittura la volontà di non voler vedere più il proprio interlocutore. La tendenza a non usare il punto, o a renderlo un segno di interpunzione non più neutro, deriva proprio dall’e-taliano in uso nei social o nei messaggi sms e whatsapp».

Se il punto si carica di un significato negativo, quello esclamativo ne assume uno positivo. Così «Vieni a casa.» e «Vieni a casa!» adesso hanno differenti valenze. La prima locuzione esprime un comando perentorio (il vieni è interpretabile come un indicativo piuttosto che come un imperativo); la seconda comunica invito accorato, implorazione, e ha dunque una valenza positiva. Il punto e virgola, quello che l’autore di questo articolo ha utilizzato appena sopra, è di fatto scomparso dai testi scritti, in particolare da quelli giornalistici. «Il fatto che su una tastiera del computer l’uso del punto e virgola richieda una pressione su due tasti anziché uno può avere avuto un ruolo nella sua quasi scomparsa» afferma D’Achille, aggiungendo: «Un’altra concausa riguarda la sottigliezza di significato di questo segno: è una pausa necessaria tra proposizioni autonome che esprimono però idee concettualmente molto vicine oppure una pausa in un elenco di frasi o sintagmi che seguono i due punti».

Anche i due punti sono quasi inesistenti nell’e-taliano. Dato che introducono spiegazioni e integrazioni di informazioni sono poco utili in una scrittura affrettata che deve adattarsi a un’esigenza di riduzione, contenimento e sintesi. Di contro, puntini di sospensione, punti esclamativi e interrogativi hanno acquistato una seconda vita e vengono usati in una maniera davvero creativa. Come spiega Lucia Francalanci, linguista dell’Opera del vocabolario italiano – Cnr, «la forma ripetuta di punti esclamativi e interrogativi è ammessa nella lingua italiana, tuttavia quello che si osserva è un ricorso sovrabbondante a questi segni». Per esempio, nei componimenti degli studenti si osserva questo: «!!??!», ma anche «??!!» e «?!?!» o «!?!?», per non parlare di «!!!!!!!» e «??????». «La differenza tra il punto esclamativo e interrogativo è sempre più sfumata e la loro collocazione è spesso inusuale», aggiunge Francalanci: «I puntini di sospensione superano il numero di tre o cinque, previsto dalle regole, sostituiscono spesso il punto e vengono collocati all’inizio e in mezzo alla frase, e non solo alla fine». Come i puntini, le virgole vengono spesso usate per sostituire il punto o mancano del tutto. Questo uso della punteggiatura, lungi da essere fine a se stesso, rivela una mancanza di struttura e organizzazione nell’espressione del pensiero.

Ancora: le virgole servono – tra le altre cose – a separare le proposizioni principali dalle subordinate. I punti e virgola indicano che i concetti espressi in due frasi vicine sono legati fra loro e i due punti introducono livelli più profondi di spiegazione, senza esplicitarli. Il loro venir meno va di pari passo con un collasso della struttura del discorso. D’altra parte, l’impoverirsi dei modi e tempi verbali o il loro cattivo uso non permette di comunicare efficientemente le sfumature di significato, come quando, mancando il congiuntivo, non si percepisce lo scetticismo del soggetto rispetto alla realizzabilità di un evento. «Altre distinzioni che si perdono sono quelle fonologiche: per esempio, quelle pésca/pèsca e bótte/bòtte e, nel consonantismo, le distinzioni chiese, con la sorda, passato remoto di chiedere, a variazione dei significati delle parole esistenti, comprese quelle con radici anglosassoni. E questo fa ben sperare. Ma meglio tenere a mente la lezione di George Orwell nel suo 1984. Lo scrittore britannico immaginò una «neolingua», imposta da una potenza totalitaria e costruita in modo da impedire ogni forma di pensiero eretico contrario al regime. Tra le sue varie caratteristiche vi era quella di attribuire a una parola significati differenti così che qualunque critica potesse sempre essere interpretata positivamente. Con l’impoverimento della sintassi e del vocabolario il Partito mirava a rendere il linguaggio inadatto a esprimere la complessità di un pensiero articolato e più simile alla gamma dei versi di una specie animale. Insomma, mirava a trasformare l’uomo in una sorta di scimmia zelante priva di capacità critica e prona a soddisfare i suoi interessi.

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