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Milena Vukotic: «La bellezza? È intelligenza, umorismo e bontà»

Milena Vukotic: «La bellezza? È intelligenza, umorismo e bontà»

Dal servizio in pose sexy per Playboy all’incontro con Fellini, il rapporto agnostico con la religione e l’amicizia con Villaggio, Banfi e Tognazzi. L’attrice, che sta per compiere 88 anni, racconta a Panorama la sua vita sempre sul palco, «In barba alla mia scarsa avvenenza».


Dev’essere fastidioso, a dir poco, essere conosciuta più perché moglie di Fantozzi, Ugo Tognazzi e Lino Banfi che come attrice di vaglia, carica di premi e con una lista di spettacoli e film da far paura, tanto è ricca di titoli firmati da grandi registi. Invece Milena Vukotic, con un’eleganza sofisticata che subito colpisce, tiene tutto insieme. «Sono aspetti del mio lavoro. Ho sempre fatto, e faccio, ogni parte con lo stesso impegno. Si tratti della Pina del ragionier Fantozzi di Villaggio o della moglie del conte Mascetti, nobile spiantato cui diede anima Ugo Tognazzi nella saga Amici miei. Si aggiunga poi la moglie del nonno Libero di Lino Banfi, con il quale spopolammo in tv, nel Medico in famiglia. E mettiamoci la zitella di Venga a prendere il caffè da noi, film tratto da un romanzo di Piero Chiara, sempre con Tognazzi. Se queste parti mi hanno reso popolare, bene. Anche se so di averle avute perché la mia forza non è certo la bellezza».

Signora Vukotic, non si butti giù. A parte che bellezza vuol dire tante cose, lei ha addirittura posato nuda per Playboy. Ci ricorda come mai?

Ho posato nuda per un amico fotografo, Angelo Frontoni, nel 1976. Foto belle, delicate, nonostante non nascondessi niente. Non erano destinate alla pubblicazione. Sennonché Frontoni, che non era stupido, le propose a Playboy. Allora non ero conosciutissima, ma Venga a prendere il caffè da noi mi aveva fatto notare. C’era la curiosità di vedere nuda una dal fisico esile e irregolare come il mio, in mezzo alle bellone vitaminizzate. Frontoni si fece pagare, io non presi una lira. Volli semplicemente che il mio nudo venisse accompagnato da un testo elevato, e lo feci chiedere ad Alessandro Blasetti. Le risparmio i rimproveri di molti amici, non si capacitavano di vedermi con il seno appena velato e in pose ammiccanti. Ma io non mi rimprovero nulla.

Ora è in teatro con Pirandello, Così è (se vi pare). Non ha intenzione di smettere?

Sono al Quirino di Roma fino al 23 aprile, data in cui festeggio 88 anni. Smettere? Ma no, per noi vecchi attori il teatro resta un gioco da giocare sino alla fine. Provi a chiedere: nessuno del mestiere smette, se non glielo impedisce la salute. Per me, poi, nata in una famiglia di artisti.

Papà serbo commediografo, mamma italiana pianista. Lei nasce nel 1935 a Roma, all’apice dell’era fascista.

Pirandello aveva chiesto a mio padre, che faceva parte del movimento futurista, di essere tradotto e allestito in Jugoslavia. In casa parlavo serbo e italiano, a tavola con i fratelli francese e inglese. Ho frequentato le migliori scuole, parlo cinque lingue, compreso il tedesco. Il che mi ha dato un’apertura fondamentale per il lavoro.

Ha studiato anche danza.

Ho fatto la ballerina, a Parigi. Lì ho trovato la mia vera strada, guardando proprio il film La strada di Federico Fellini. Un amore totale. Lasciai la compagnia di danza e tornai a Roma, dove viveva mia madre. Mi ero messa in testa di arrivare a Fellini e propormi.

Fu facile?

Mi aiutai con una lettera di presentazione, ottenuta muovendo mari e monti a Roma. Ebbi tre piccole parti, meglio, apparizioni. Fellini era facile e difficile allo stesso tempo. I tecnici lo chiamavano Er Faro, per me è rimasto un faro tutta la vita. Ancora oggi quello che faccio lo filtro con il mio pensiero verso di lui e l’immensa ricchezza artistica che mi ha trasmesso. Ero diventata amica sua e di Giulietta Masina.

Anche di Villaggio, Tognazzi e Banfi era amica al di là del set?

Quando andavo a trovare Villaggio, la cameriera mi faceva entrare annunciando a gran voce: «Signora Maura, alla porta c’è la moglie di suo marito». Paolo mi manca tanto, era di poche parole, tra noi c’era rispetto e affetto. Con Tognazzi dovevo applaudire i piatti che preparava, credendosi un gran cuoco. Guai a criticarli: potevi pure parlar male di un suo lavoro, mai della sua carbonara. Avrebbe troncato l’amicizia. Con Banfi resto amica, ci vediamo qualche volta, conoscevo bene la sua Lucia, mancata da poco.

Quanti film e spettacoli teatrali ha fatto?

Ho perso il conto. Ho avuto fortuna, lavorando con registi che resteranno nella storia del cinema. Oltre a Fellini ricordo Monicelli, Risi, Scola, Lizzani, e Ferzan Özpetek, Andrej Tarkovskij, Luis Buñuel. Quest’ultimo incuriosiva Fellini. Quando chiesi a Federico se facessi bene a lavorare con don Luis – ho partecipato a tre dei suoi più grandi film – mi disse che il regista spagnolo era l’unico in grado di portare nel cinema il linguaggio dei sogni. Mi chiese di salutarglielo. Lo feci, scoprendo che Buñuel aveva la stessa ammirazione per il collega italiano e sognava di passare da Roma per bersi, con Federico e me, i migliori cocktail nei caffè dell’allora scintillante via Veneto. Il 2023 per lei è cominciato alla grande. Solo negli ultimi mesi, Pirandello a parte, ho ripreso A spasso con Daisy e portato in scena il monologo Émilie du Châtelet di Francesco Casaretti, con regia di Maurizio Nichetti. Storia di una grande scienziata, amante di Voltaire, donna sorprendente.

Sorprendente è anche Giorgia Meloni, prima donna alla presidenza del Consiglio. Che effetto le fa?

Non sono femminista, ma certo una donna a palazzo Chigi è cosa importante, che avrebbe già dovuto succedere prima. Noi donne possiamo dare all’umanità altrettanto, se non più, dei maschi. Sappiamo essere più coraggiose e forti degli uomini.

Perché non ha voluto figli?

Non sono venuti, purtroppo. Mi sono sposata tardi, non è stata una scelta, è capitato. Ho vissuto sempre con mia madre, tornassi indietro farei lo stesso. Un figlio non è mai stato tra i sogni da realizzare, assorbiti completamente dal lavoro.

Suo marito è dell’ambiente?

Sì, l’ho sposato nel 2003, si chiama Alfredo Baldi, è uno storico del cinema e dello spettacolo. Ha appena scritto un libro su Valentina Cortese, che sto leggendo assieme a un volume sui giardini raccontati nelle pagine degli scrittori italiani. Eppure io non saprei gestire un geranio, mio marito è molto più bravo. In casa so fare poco, anche cucinare non è nelle mie corde: me la cavo con pasta e zucchine e preparo una discreta mousse di cioccolato.

Lei crede in Dio?

Sono nipote di un pope ortodosso e battezzata ortodossa, almeno credo, perché mamma era cattolica. Ma non prego e non vado in chiesa. Tuttavia penso che dobbiamo essere coscienti di una forza superiore che ci guida, pur non potendo immaginarla.

Alla moglie di Fantozzi e modella per caso di Playboy chiediamo, per chiudere, la definizione di bellezza.

Sono attratta dalla bellezza fisica. Di uomini e donne. Grazie alla mia scarsa avvenenza non ho mai suscitato gare, con le colleghe attrici e le altre donne, trovando anzi solidarietà e amicizia. Ma non sto rispondendo, me ne scuso e rimedio. Per me bellezza è la triade composta da intelligenza, senso dell’umorismo e bontà. Quando si palesa, impossibile resistere.

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