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Germogliano ristoranti

Germogliano ristoranti

Ottime notizie per gli amanti del buon cibo: l’Italia del «fine dining» non molla e, anzi, spinge con nuove aperture dove regnano ricerca e gusto, da Nord a Sud. Ne ricordiamo alcuni.

Sì, il momento è da far tremare le vene e i polsi. E sì, parlare di aperture di ristoranti mentre troppi ne chiudono, può far male. Eppure è proprio questa la notizia: che il mondo del food non molla, e anzi rischia, rilancia e si reinventa in nome del buon cibo nostrano, che sa di speranza, è identitario fino al midollo e se si ferma quello addio. Locali che nascono, dunque. Sono stati circa 1.500 in Italia soltanto nel terzo trimestre di quest’anno, rivela il nuovo Osservatorio permanente sulle aperture e sui trend della ristorazione appena lanciato da TheFork.

Ovviamente troppi per elencarli tutti, ma vale la pena ricordare alcuni di quelli posizionati da qualche parte tra il fine dining e l’eccellenza suprema, luoghi dove si ha cura dei prodotti più veri del Belpaese. Anche perché la qualità premia, stante la recente ricerca dell’American Express per cui la spesa per «cibo di livello» è salita del 47 per cento negli ultimi tre anni. Il grosso lo fa Milano, come ci ha abituato. La zona calda del momento è Brera-via Solferino. Qui, in attesa dello sbarco dell’icona fiorentina Rivoire e pochi mesi dopo l’apertura di Coraje, il ristorante del bomber dell’Inter Lautaro, è via Fiori Chiari il centro del fermento. È arrivato Vesta, ristorante che innova la zona con il suo ampio ingresso in travertino: una scalinata che porta luce e voglia di sedersi a bere qualcosa sui gradini o ad assaggiare – dentro – la cucina mediterranea dello chef Giorgio Bresciani. Soprattutto pesce, rivisitato in chiave contemporanea per esaltare la materia prima. Il locale è parte dell’ambizioso progetto di quattro giovani imprenditori italiani (tra cui Leonardo Maria Del Vecchio, figlio minore dello scomparso patron di Luxottica) riuniti nel gruppo Triple Sea Food: rinnovare Fiori Chiari strappandola almeno un po’ al turismo di massa. Per questo entro l’inizio del 2023 apriranno qui altri due ristoranti, mentre è già operativo al numero 8 un laboratorio destinato al «sistema Vesta».

Sempre in Brera, in una location in via dei Bossi che colpisce sense and sensibility ha aperto Il Marchese, noto a Roma come ristorante frequentato da certi politici in vena di parlottii. In cucina, lo chef Daniele Roppo orchestra prelibatezze del territorio laziale, ma non solo. Poco distante da lì, via Solferino è sempre più in fermento. La notizia della settimana è che lo chef Niko Romito ha lanciato un flagship store-laboratorio al numero 12: pane e panettoni non plus ultra come si confà a un tre stelle Michelin. Al 34 è fresca di apertura l’ennesima importazione arciromana, l’Osteria delle Coppelle: ambiente informale e menu che ruota intorno ai sapori capitolini. Al 46 c’è il recente Filippo Osteria, con una cucina che «parte dalla tradizione culinaria italiana e ovviamente di Milano». E infatti giù (anche) di costoletta, risotto alla milanese e ossobuco. Infine, al 48 è arrivato Quadri Bistrot, tra contemporaneità (si propone un sapiente «pairing» di cocktail) e «tradizione che arriva dalle ricette tramandate di generazione in generazione», recita il sito. La mano è una garanzia: quella di Riccardo Quadri, che ha studiato con Gualtiero Marchesi ed è stato a lungo tra i pur-sang di Carlo Cracco.

Ad arricchire un’altra zona a tutto food, via Sottocorno, ora c’è Ricci Osteria della coppia di chef Antonella Ricci e Vinod Sookar, direttamente dal Fornello da Ricci a Ceglie Messapica, ovvero la prima stella Michelin di Puglia. Qui, seguito dal resident chef Francesco Bordone, il menù cambia quattro volte l’anno in base all’appuntamento con le stagioni, ma si trovano sempre le famose gocce di ricotta avvolte nella semola (adesso con crema di bietole , pancetta croccante e tartufo nero), piatto «signature» della casa fin dal 2002. Per il resto qualità e porzioni vere. Ottimo e abbondante, come si suol dire.

Nel «rebelot» di aperture milanesi, tre nomi innalzano ulteriormente il profilo gastronomico della città. Il primo è Horto, ristorante diretto dallo chef tristellato Norbert Niederkofler, patron del blasonato St. Hubertus a San Cassiano e campione della cucina sostenibile, etica e legata al territorio. E lo stesso si fa qui, con la cura diretta dell’executive Alberto Toè insieme a Stefano Ferraro, che creano una sinergia tra cucina ed eccezionalità della terra lombarda. A cena, due menù degustazione per scoprire abbinamenti come la cagliata di latte vaccino con battuta di manzo, caviale e castagna, o la chips di pelle di storione. E i suoi aperitivi in terrazza? Sono già un must.

«Percorsi gastronomici» anche da Andrea Aprea, nuovo ristorante presso la Fondazione Rovati, in Porta Venezia. Piano terra bistrot, all’ultimo otto tavoli per provare i colpi di genio dello chef partenopeo. Tra i piatti più «apreiani», la patata in stagnola all’amatriciana, il rombo alla mugnaia e il Ri-Sotto-Marino, cioè il mare come mai prima. Infine DaV, la scelta meneghina del tristellato Da Vittorio a Brusaporto, ora al primo piano della Torre Allianz a Citylife nella sua versione più informale (e meno cara). Il menu spazia da piatti che occupano la scena del tavolo, «para compartir», ad altri noti e meno noti della Casa ma sempre in omaggio alla cucina italiana come da tradizione della famiglia Cerea. Ci sono anche le pizze, realizzate da Alessio Rovetta (25 euro la Margherita, Cracco docet).

Altro grande nome della ristorazione meneghina, lo stellato Claudio Sadler, ha invece scelto Monza per differenziare le sue attività. Supervisiona la cucina nel nuovissimo Il Circolino, che è ristorante gastronomico, caffè e cocktail bar curato da Filippo Sisti, star della mixology. Ma è viaggiando verso Est che si trova un modo tutto nuovo di ospitare a cena: è il Lorenzo Cogo Social Club, in provincia di Vicenza. Lo chef stellato di El Coq a Marano Vicentino e alla guida del Dama a Venezia (nell’hotel Ca’ Bonfadini), tornato in Italia dopo vasti giri che lo hanno portato anche al Noma di Copenhagen e dal dio spagnolo della brace Etxebarri, spariglia le carte e crea un format in cui la location è segreta e si viene guidati in un appartamento che è come casa. Biliardino, videogiochi, relax ma piatti di alta cucina che parlano di territorio e di estro totale. Vera esclusività per serate gourmand in compagnia.

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Vesta. Cucina e stile in Via Fiori Chiari a Milano.
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Osteria Ricci, Milano. Gocce di ricotta avvolte nella semola.
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Risotto al nero di trippa al ristorante Concezione di Catania.
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Lo chef Andrea Aprea, dell’omonimo ristorante alla Fondazione Rovati di Milano.
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Stefano Colombo e Claudio Sadler, soci del Circolino di Monza. (Jacopo Salvi)
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Cagliata di latte vaccino di Norbert Niederkofler al ristorante Horto di Milano (Francesca Moscheni)

Viaggiando verso sud lo stop è a Terricciola (Pisa), dove Antonino Cannavacciuolo, fresca terza stella al Villa Crespi, ha aperto il quarto resort: Laqua Vineyard, con ristorante guidato dell’executive Marco Suriano. Pochi mesi di vita e già si è meritato una stella Michelin. Da provare. Roma conferma il gran fermento degli ultimi tempi. Le aperture sono tante. Da Sbracio, locale di belle carni, verdure e altre pietanze che passano da una dotta brace, a Sarkós in quel di Monti, e la firma dello chef Umberto Vezzoli è una garanzia. Anche qui grande attenzione alla cottura «au feu de bois». Vanno poi citati Celeste, villetta dove arredamento e cucina gourmet parlano di anni Ottanta, e il due stelle Michelin Il Pagliaccio, che ha creato Parallels Experience, una sala privata dove lo chef Anthony Genovese fa «viaggiare» nella sua visione gastronomica. Il nuovo progetto dello chef Andrea Fusco (quello di Giuda Ballerino) è Taki Off, per fare abbracciare la cucina nostrana e quella giapponese. Tanto a esaltare le radici della più forte lazialità c’è Li somari di Tivoli, del variamente stellato Antonio Baldassarre (ex Tordomatto e Avvolgibile): tra i piatti, coniglio alla cacciatora, agnello sia tonnato sia cacio e ovo, lingua e via declamando, fino a varie interpretazioni di quinto quarto, imperatore dei sapori.

Si torna al pesce scendendo in Sicilia, dove la vivace Catania spicca per due aperture da parte di giovanissimi. Una è Angiò, «macelleria di mare» e gastronomia con la missione di difendere pratiche di pesca sostenibili, aperto dal 25enne Alberto Angiolucci, gavetta dorata al tristellato Mudec di Enrico Bartolini. E si vede nella complessità delle sue elaborazioni: dal pesce spada frollato in cera d’api, alla salsiccia di san Pietro con tenerumi e nocciole siciliane, al Wellington di rana pescatrice alla carruba, ripieno di patate, cipolla rossa e menta. Tutto da scoprire.

L’altra è Concezione, creatura del 29enne Manuel Tropea: ingredienti e ricette che onorano la storia gastronomica della città, riletti in chiave concettuale. Lo chef spiega a Panorama: «È un ristorante fine dining con soli 8 tavoli. I miei piatti sono frutto della mia curiosità. Qualcuno dice avveniristica, ma rimango fedele ai sapori e ai profumi siciliani, con la ricerca dell’umami e della tecnica». Un prodotto su tutti? «Il grano. È il cuore della mia terra, è condivisione e passione. Una bandiera. Per questo qui facciamo otto pani diversi». Giovani chef crescono. C’è della fragranza in tutto questo.

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